T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 21-12-2011, n. 1786

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente impugna con la procedura di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a. il comportamento inerte tenuto dall’amministrazione degli Interni sulla domanda volta ad ottenere la cittadinanza italiana, domanda che egli aveva presentato il 3. 3. 2008.

Si costituiva in giudizio l’Avvocatura dello Stato, che deduceva l’infondatezza dei motivi di ricorso.

Nulla si conosceva sulla sorte del procedimento amministrativo aperto dall’istanza dell’interessato.

Il Tribunale disponeva, allora, istruttoria per conoscere lo stato del procedimento amministrativo, ed all’esito della stessa si scopriva che nel mese di maggio 2011 era stato emesso preavviso di diniego ex art. 10bis l. 241/90.

Nel corso dei mesi successivi nessun provvedimento espresso è poi seguito (almeno, a quanto consta in giudizio).

All’udienza del 23. 11. 2011 il ricorso veniva trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Preliminarmente, il Tribunale ritiene di trattenere la competenza a decidere sul ricorso oggetto del presente giudizio; per le motivazioni della decisione sulla competenza, ci si riporta, utilizzando la tecnica del precedente conforme prevista dall’art. 74 c.p.a., agli argomenti spesi nella pronuncia di questo stesso Tribunale 22. 10. 2010, n. 4115.

Nel merito, il ricorso è fondato.

La questione oggetto di questo giudizio è la seguente: in che modo incide l’emanazione del preavviso di diniego ex art. 10bis l. 241/90 sul giudizio introdotto con il rito del silenzio? In altri termini, il preavviso di diniego interrompe il silenzio e rende improcedibile il ricorso?

Il Tribunale ritiene che il preavviso di diniego non interrompa il silenzio per le ragioni che passa a spiegare di seguito.

L’azione per la dichiarazione di illegittimità del silenzio ex art. 31 c.p.a. è lo strumento predisposto dall’ordinamento per dare tutela agli interessi pretensivi per il caso in cui l’amministrazione violi la norma dell’art. 2 l. 241/90 che impone di emettere il provvedimento espresso conclusivo del procedimento amministrativo entro il termine massimo di durata dello stesso.

Il preavviso di diniego non è il provvedimento espresso conclusivo del procedimento amministrativo previsto dall’art. 2 l. 241/90, ma è un atto interlocutorio interno al procedimento destinato ad essere seguito dal provvedimento conclusivo, che è l’unico atto che soddisfa la regola prevista dall’art. 2 l. 241/90 di concludere il procedimento con provvedimento espresso e che, conseguentemente, rende, a seconda dei casi, inammissibile o improcedibile il rito del silenzio.

D’altronde, a ragionare diversamente, si finirebbe per negare completamente la tutela dei diritti civili nello spazio intercorrente tra l’emanazione del preavviso di diniego e quella del provvedimento conclusivo, perché dopo il preavviso di diniego il rito del silenzio diventerebbe improcedibile, ma – non essendo immediatamente impugnabile il preavviso ex art. 10bis l. 241/90 – l’interessato non avrebbe la possibilità neanche di agire in giudizio con una normale azione di annullamento.

Ne conseguirebbe che l’amministrazione, emettendo il preavviso di diniego ed evitando di emettere il provvedimento finale, avrebbe la possibilità di paralizzare del tutto la tutela dei diritti, perché renderebbe improcedibile il rito del silenzio ed impedirebbe – al tempo stesso – di azionare il rito ordinario.

Una simile interpretazione sarebbe, pertanto, non conforme all’art. 24 della Costituzione, ed in quanto tale deve essere respinta.

Nella fattispecie in esame si deve, pertanto, dettare il seguente principio di diritto:

– con l’emanazione del preavviso di diniego ex art. 10bis l. 241/90 il silenzio non cessa, perché esso termina non con qualsiasi pronunciamento dell’amministrazione, ma soltanto con l’emanazione del provvedimento conclusivo della procedura aperta dall’istanza dell’interessato;

– non si verifica neanche sopravvenuta carenza d’interesse a coltivare ulteriormente il ricorso, perché in ogni caso il ricorrente ha l’interesse ad ottenere un provvedimento che concluda il procedimento aperto dalla sua istanza (provvedimento che a questo punto avrà verosimilmente contenuto negativo), anche al solo fine di poterlo impugnare con una normale azione di annullamento.

In definitiva, il ricorso deve essere accolto, perché comunque l’amministrazione non ha fornito la prova di aver emesso il provvedimento conclusivo entro i termini di conclusione del procedimento amministrativo (termine iniziato a decorrere con l’istanza del 3. 3. 2008, e scaduto il 3. 3. 2010).

Va ordinato, pertanto, ex art. 117, co. 2, c.p.a. all’ amministrazione resistente di rispondere con provvedimento espresso alla istanza presentata dal privato (fermo restando il potere della stessa di decidere nel merito se l’istanza volta ad ottenere la cittadinanza è fondata o meno, versandosi nell’ambito di attività amministrativa connotata da ampia discrezionalità nel contenuto del provvedimento da adottare).

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

ACCOGLIE il ricorso, e per l’effetto, ordina al Ministero degli Interni di emettere entro 30 gg. decorrenti dalla data di comunicazione di questa sentenza il provvedimento conclusivo del procedimento aperto dall’istanza del ricorrente del 3. 3. 2008.

SPESE a carico quantificate in euro 500, oltre iva e cpa.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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