Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-05-2012, n. 8295 Recesso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- La sentenza attualmente impugnata respinge l’appello di T.M. avverso la sentenza del Tribunale di Roma dell’8 marzo 2006, di rigetto della domanda del T. – volta ad ottenere: a) la dichiarazione dell’ingiustificatezza del recesso con preavviso della società Diners Club Italia s.p.a. dal rapporto di agenzia intercorso tra le parti (effettuata con comunicazione del 18 aprile 2000 e con effetto dal 18 settembre 2000); b) la conseguente dichiarazione di legittimità dell’anticipata cessazione dal rapporto del T. posta in essere il 24 maggio 2000; c) l’accertamento dell’ingiustificato arricchimento della società derivante dal divieto imposto all’agente di operare in concorrenza della società stessa per i due anni successivi alla cessazione del rapporto, senza la percezione di alcun corrispettivo; d) la condanna della società al pagamento di varie somme di denaro, rispettivamente a titolo di indennità di mancato preavviso, indennità suppletiva di clientela, "indennizzo per danno patrimoniale", connesso all’impossibilità di operare in concorrenza per il biennio successivo alla cessazione del rapporto – e di accoglimento della domanda riconvenzionale della società di condanna del T. al pagamento dell’indennità sostitutiva di preavviso, oltre che delle spese del giudizio di appello.

La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il ricorrente non ha diritto all’indennità prevista dall’art. 1751-bis c.c., comma 2 in quanto – come ritenuto dal giudice di primo grado, con statuizione sulla quale si è formato il giudicato interno – nella specie non si applicano le modifiche apportate al suddetto articolo dalla L. n. 422 del 2000, visto che il diritto all’indennità suddetta sorge al momento della cessazione del rapporto di agenzia verificatasi prima del 1 giugno 2001 e comunque quando il contratto è stato stipulato l’art. 1751-bis cit. consentiva l’apposizione del patto di non concorrenza senza diritto ad alcun compenso per l’agente, purchè con forma scritta e durata massima biennale, limiti che risultano essere stati rispettati;

b) è vero che il Tribunale ha omesso di pronunciarsi sulla domanda di ingiustificato arricchimento, tuttavia pur prendendo atto della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., la domanda va respinta nel merito in quanto l’arricchimento della società non può dirsi ingiustificato, ma anzi risulta giustificato proprio dalla clausola del contratto di agenzia contenente il patto di non concorrenza sottoscritto liberamente dall’agente, quindi manca l’elemento tipico della fattispecie di cui all’art. 2041 cod. civ.;

e) il Tribunale ha respinto la domanda di indennità sostitutiva – recte: suppletiva – di clientela in quanto ha ritenuto che i comportamenti posti in essere dalla società in senso peggiorativo del lavoro dell’agente non sono stati di gravità tale da integrare la giusta causa di recesso dell’agente;

d) ne consegue che, essendosi estinto il rapporto per volontà dell’agente e non della preponente, non è fondata la censura di violazione dell’art. 1751 cod. civ. e dell’art. 2 AEC 30 novembre 1992, prevedenti la spettanza della indennità suppletiva di clientela in ogni ipotesi di recesso del preponente;

e) nè assume valore, in contrario, la circostanza che il recesso dell’agente sia intervenuto durante il periodo di preavviso successivo alla comunicazione del recesso della società, visto che esso ha causato un’anticipazione dell’effetto estintivo del rapporto di agenzia, sicchè la cessazione anzi tempo del rapporto stesso è da ricondurre alla volontà dell’agente e non della preponente;

d) d’altra parte, alla società spetta l’indennità sostitutiva del preavviso del recesso dell’agente, diretta a risarcire il pregiudizio subito del manifestato interesse ad ottenere le prestazioni dell’agente per tutta la durata del periodo di preavviso indicato nella comunicazione del recesso in data 18 aprile 2000;

e) va precisato, al riguardo, che l’art. 9 AEC 9 giugno 1988 prevede che l’agente possa rinunciare, in tutto o in parte, al preavviso del recesso intimatogli dal preponente, senza obbligo di indennità sostitutiva, purchè la rinuncia intervenga entro trenta giorni dalla comunicazione del recesso della controparte, mentre nella specie tale termine non è stato rispettato;

f) la previsione del suddetto termine è frutto del bilanciamento dell’interesse dell’agente a liberarsi del vincolo contrattuale con l’interesse del preponente receduto con preavviso ad ottenere le prestazioni lavorative per tutta la durata del preavviso, il T. è, quindi, tenuto a corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso, non essendo il suo recesso giustificato da giusta causa;

g) infatti, come ritenuto dal Tribunale, le modifiche peggiorative delle condizioni contrattuali sono state concordate e sottoscritte per accettazione dall’agente, gli ulteriori comportamenti addebitati alla società non risultano adeguatamente allegati e provati e, in ogni caso, non appaiono discriminatori, così come il mancato rinnovo della modulistica, che interessò tutti gli agenti obbligandoli ad riadattare i vecchi moduli, e che, quindi, non può considerarsi idoneo a configurare una giusta causa di recesso.

2.- Il ricorso di T.M. domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, la Diners Club Italia s.r.l., che deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

Motivi della decisione

1 – Profili preliminari.

1 – Preliminarmente deve essere dichiarata l’infondatezza della censura di inammissibilità del ricorso prospettata nel controricorso in riferimento all’ipotizzato mancato rispetto dell’art. 360-bis cod. proc. civ., inserito dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47 con applicazione ai provvedimenti impugnati con ricorso per cassazione depositati a decorrere dal 4 luglio 2009 (quale è la sentenza attualmente impugnata, depositata il 14 dicembre 2009).

Va ricordato, al riguardo, che, per consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte il ricorso scrutinato ai sensi dell’alt 360-bis c.p.c., n. 1 deve essere rigettato per manifesta infondatezza e non dichiarato inammissibile, se la sentenza impugnata si presenta conforme alla giurisprudenza di legittimità e non vengono prospettati argomenti per modificarla, posto che anche in mancanza, nel ricorso, di argomenti idonei a superare la ragione di diritto cui si è attenuto il giudice del merito, il ricorso potrebbe trovare accoglimento ove, al momento della decisione della Corte, con riguardo alla quale deve essere verificata la corrispondenza tra la decisione impugnata e la giurisprudenza di legittimità, la prima risultasse non più conforme alla seconda nel frattempo mutata (Cass. SU 6 settembre 2010, n. 19051; Cass. SU 19 aprile 2011, n. 8923).

Ne deriva che, diversamente da quanto sostenuto dalla controricorrente, nella specie non può venire in considerazione l’applicazione dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1 perchè – come si dirà più avanti – manca il relativo presupposto, rappresentato da un orientamento interpretativo espresso dalla Corte di cassazione e tuttora condiviso al momento della decisione sul ricorso al quale la sentenza impugnata si sia uniformata (arg. ex Cass. 8 febbraio 2011, n. 3142; Cass. 16 giugno 2011, n. 13202).

2 – Sintesi dei motivi del ricorso.

2.- Con il primo motivo di ricorso si denuncia: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1322, 1325, 1343, 1344, 1751-bis e 2041 cod. civ. nonchè degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in riferimento alla statuizione secondo cui qualsiasi divieto di concorrenza contrattualmente imposto all’agente è legittimo, anche in difetto di un corrispettivo, sicchè l’arricchimento conseguito dalla società Diners in danno dell’attuale ricorrente è giustificato.

Si rileva che la Corte d’appello ha affermato la gratuità dell’imposto divieto di concorrenza per il biennio successivo alla cessazione del rapporto solo perchè contrattualmente convenuto, richiamando l’art. 2546 cod. civ., ma forse intendendo riferirsi all’art. 2596 cod. civ. che disciplina il patto di non concorrenza tra imprenditori e non è applicabile, per analogia, al contratto di agenzia.

Comunque la Corte territoriale non ha considerato che, nella specie, i limiti contrattuali posti al preponente sono stati ampiamente oltrepassati, così come sono stati oltrepassati i limiti previsti dall’art. 1751-bis cod. civ. nella formulazione antecedente la novella di cui alla L. 29 dicembre 2000, n. 422, art. 23 (più favorevole per il preponente, rispetto alla versione successiva), in quanto il divieto non è stato circoscritto nè ad una determinata zona nè ad una determinata attività.

Invero, l’agente avrebbe potuto essere vincolato gratuitamente sono rispetto all’assunzione di un nuovo incarico di agenzia nella medesima zona, con la stessa clientela e per il medesimo genere di beni o servizi cui si riferiva il contratto di agenzia cessato, invece il divieto di cui si tratta, nella sua abnorme ampiezza, non poteva essere imposto all’agente senza la corresponsione di alcun indennizzo, ancorchè previsto nell’art. 3 del contratto di agenzia concluso tra le parti il 4 febbraio 1998.

La suddetta clausola contrattuale si deve considerare contra ius perchè, in contrasto con gli artt. 4 e 35 Cost., ha consentito alla società di arricchirsi a svantaggio dell’agente e senza una giusta causa, visto che il vantaggio conseguito dalla società non trova corrispondenza in alcuna controprestazione sinallagmatica.

3- Con il secondo motivo di ricorso si denuncia: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1751 e 2118 cod. civ. nonchè dell’art. 9 dell’Accordo 9 giugno 1988 e del punto 2^ dell’AEC 27 novembre 1992; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in riferimento alla statuizione secondo cui il recesso con preavviso della società non determina la maturazione in via definitiva dell’indennità di cessazione del rapporto.

Si sottolinea che la Corte d’appello ha negato il diritto dell’agente a vedersi liquidare l’indennità di cessazione del rapporto nei termini di indennità suppletiva di clientela, prevista dagli AEC richiamati dalle parti nel contratto individuale, perchè ha ritenuto che il rapporto di agenzia si sia estinto anticipatamente per esclusiva volontà dell’agente.

Tale statuizione viene contestata in quanto si rileva che è stata la società ad interrompere il rapporto (con comunicazione del 18 aprile 2000), mentre l’agente si è limitato ad anticipare il termine della cessazione già perentoriamente disposta dalla preponente, senza attendere la scadenza del preavviso concessogli dalla società.

Per effetto della ricezione della suddetta comunicazione del recesso, priva di giusta causa, l’agente ha maturato il diritto alla percezione dell’indennità di cessazione del rapporto e a godere del preavviso, salva la possibilità di rinunciare, in tutto o in parte, al preavviso, senza obbligo di corrispondere l’indennità sostitutiva, entro trenta giorni dal ricevimento della predetta comunicazione ex art. 9 dell’A.e.c. 9 giugno 1988.

Sebbene la raccomandata con la quale il T. ha anticipato il termine di scadenza del rapporto, rispetto a quella della fine del preavviso, sia stata spedita dopo più di trenta giorni dalla ricezione della comunicazione di recesso della società e non sia sorretta da una giusta causa anticipatoria della scadenza, ciò non può incidere sul diritto dell’agente all’indennità di cui si tratta.

L’assenza della giusta causa anticipatoria, infatti, può solo dare luogo al diritto della società ad un indennizzo per l’interruzione del periodo di preavviso, ma non può incidere sul diritto, diverso e prodromico, all’indennità di cessazione del rapporto nei termini della c.d. indennità di clientela, maturato dall’agente in conseguenza dell’interruzione del rapporto senza giusta causa effettuata dalla società, nella specie pacificamente avvenuta.

In riferimento alla quantificazione dell’indennità in oggetto, il ricorrente ricorda la giurisprudenza dei legittimità, secondo cui in tema di indennità in caso di cessazione del rapporto di agenzia, a seguito dell’interpretazione data dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee (con sentenza 23 marzo 2006, in causa C-465/04) sulla portata degli artt. 17 e 19 della direttiva 86/653/CEE del Consiglio del 18 dicembre 1986, relativa al coordinamento del diritto degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, l’art. 1751 c.c., comma 6 nel testo sostituito dal D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303, art. 4 (attuativo della predetta direttiva comunitaria), va inteso nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell’agente comporta che l’importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive.

Conseguentemente, nella specie, il ricorrente ha rivendicato la liquidazione dell’indennità nei termini minimi di garanzia fissati dal punto 2 dell’Accordo economico collettivo del 27 novembre 1992 (applicabile ratione temporis), essendo essa più vantaggiosa rispetto a quella risultante dall’applicazione della disciplina codicistica, perchè svincolata dalla sussistenza dei presupposti meritocratici richiesti dall’art. 1751 cod. civ..

3 – Esame dei motivi di ricorso.

4.- I motivi di ricorso – da trattare congiuntamente, data la loro intima connessione – sono da accogliere, per le ragioni e nei limiti di seguito precisati.

4.1.- Innanzi tutto appare opportuno porre attenzione sul fatto che il rapporto di agenzia in oggetto ha avuto inizio il 1 marzo 1996 e che, con comunicazione del 18 aprile 2000, la società preponente ha dichiarato di recedere dal rapporto con preavviso (e, quindi, con decorrenza dal 18 settembre 2000), mentre l’agente, rinunciando al preavviso, ha dichiarato di anticipare il termine di cessazione del rapporto con comunicazione del 24 maggio 2000.

Conseguentemente, la Corte d’appello ha dato atto che, con statuizione sulla quale si è formato il giudicato interno, nella specie non si applicano le modifiche apportata all’art. 1151-bis c.c., comma 2, dalla L. n. 422 del 2000.

Al riguardo deve essere considerato che la disciplina del contratto di agenzia è stata oggetto di molteplici modifiche, nel corso del tempo, con conseguenti mutamenti degli orientamenti della giurisprudenza, incentratisi soprattutto sui diritti da riconoscere all’agente in caso di risoluzione del rapporto (criteri di determinazione dell’indennità di cessazione del rapporto spettante all’agente, altre indennità, patto di non concorrenza etc.) in ragione dell’incidenza del diritto dell’Unione europea sull’ordinamento interno.

Come già rilevato da questa Corte (vedi, per tutte, Cass. 23 giugno 2010, n. 15203):

1) l’art. 1751 cod. civ., nella sua originaria formulazione, prevedeva l’indennità per lo scioglimento del contratto per fatto non imputabile all’agente;

2) la norma è stata modificata dalla L. 15 ottobre 1971, n. 911, che ha esteso il diritto all’indennità ad ogni ipotesi di risoluzione del contratto di agenzia a tempo indeterminato: l’indennità doveva essere proporzionale all’ammontare delle provvigioni liquidate nel corso del rapporto e la sua misura era stabilita dagli accordi o contratti collettivi, oppure dagli usi e, in difetto, doveva essere determinata dal giudice secondo equità;

3) successivamente il suindicato art. 1751 cod. civ. è stato riformulato in attuazione di specifiche prescrizioni della normativa comunitaria (artt. 17 e 19 della Direttiva del Consiglio 18 dicembre 1986 n. 86/653/CEE, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti; in particolare l’art. 17 della direttiva disponeva che gli Stati membri erano tenuti a prendere le misure necessarie per garantire all’agente commerciale, dopo l’estinzione del contratto, un’indennità "se e nella misura in cui": a) avesse procurato nuovi clienti al preponente o avesse sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente avesse ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti; b) il pagamento di tale indennità fosse equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente commerciale perdeva e che risultavano dagli affari con tali clienti;

4) l’art. 19 della direttiva prescriveva poi che gli Stati membri non potessero derogare a tale disciplina a detrimento dell’agente commerciale;

5) il legislatore italiano, invece di articolare in modo più puntuale la normativa comunitaria, soprattutto individuando in concreto i criteri di calcolo dell’indennità onde rispondere a quell’esigenza di equità richiesta dal legislatore comunitario, si è limitato a trasporta quasi pedissequamente (D.Lgs. 10 settembre 1991, a 303), sostituendo l’art. 1751 cod. civ. con un nuovo testo che ripeteva, in sostanza, la formulazione dell’ari 17 della direttiva e lasciando senza specificazioni il riferimento al predetto canone dell’equità, con l’effetto di allargare la platea degli agenti potenzialmente beneficiari dell’indennità di cessazione del rapporto, in contrasto con la normativa comunitaria, che ne limitava il riconoscimento agli agenti "meritevoli";

6) per questo la Commissione delle Comunità Europee ritenne che l’Italia non avesse dato attuazione del tutto corretta alla direttiva con riferimento all’indennità in questione e avviò un procedimento d’infrazione;

7) conseguentemente, il legislatore italiano (D.Lgs. 15 febbraio 1999, n. 65, art. 5) ha nuovamente riformulato l’art. 1751 c.c., comma 1, primo alinea, (già sostituito dal D.Lgs. n. 303 del 1991, art. 4) nel seguente modo: All’atto della cessazione del rapporto, il preponente è tenuto a corrispondere all’agente un’indennità se ricorrono le seguenti condizioni: l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti; il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti;

8) va anche tenuto presente che, con il citato D.Lgs. n. 303 del 1991, art. 5 (di attuazione della direttiva n. 86/653/CEE), è stato inserito nel codice civile l’art. 1751-bis, sul patto di non concorrenza, con il seguente testo: "il patto che limita la concorrenza da parte dell’agente dopo lo svolgimento del contratto deve farsi per iscritto. Esso deve riguardare la medesima zona, clientela e genere di beni o servizi per i quali era stato concluso il contratto di agenzia e la sua durata non può eccedere i due anni successivi all’estinzione del contratto";

9) la suddetta disposizione, in base al D.Lgs. n. 303 del 1991, art. 6 si applica anche ai contratti in corso al 1 gennaio 1990 a decorrere dal 1 gennaio 1994, sicchè per i contratti che (come quello di cui si tratta) hanno decorrenza successiva a tale ultima data non può certamente farsi applicazione dell’art. 2596 cod. civ., cui la giurisprudenza faceva riferimento in precedenza per la disciplina dei limiti dello svolgimento dell’attività dell’agente per il tempo successivo alla cessazione del contratto di agenzia, in considerazione sia del suo carattere di norma generale sui limiti contrattuali della concorrenza sia della specialità dell’art. 2125 cod. civ., la cui normativa, improntata a maggior rigore rispetto a quella dettata dall’art. 2596 cod. civ., era considerata non estensibile a contratti diversi da quello di lavoro subordinato, ancorchè caratterizzati dalla cosiddetta parasubordinazione, come il contratto di agenzia (Cass. 6 novembre 2000, n. 14454; Cass. 8 novembre 1997, n. 11003; Cass. 24 agosto 1991, n. 9118; Cass. 23 novembre 1990, n. 11282);

10) da ultimo, con la L. 29 dicembre 2000, n. 422, art. 23 (entrata in vigore il 4 febbraio 2001) è stato stabilito, in attuazione dell’art. 20 della citata direttiva 86/653/CEE, di aggiungere un comma all’art. 1751-bis cod. civ. dal seguente tenore: L’accettazione del patto di non concorrenza comporta, in occasione della cessazione del rapporto, la corresponsione all’agente commerciale di una indennità di natura non provvigionale. L’indennità va commisurata alla durata, non superiore a due anni dopo l’estinzione del contratto, alla natura del contratto di agenzia e all’indennità di fine rapporto. La determinazione della indennità in base ai parametri di cui al precedente periodo è affidata alla contrattazione tra le parti tenuto conto degli accordi economici nazionali di categoria. In difetto di accordo l’indennità è determinata dal giudice in via equitativa anche con riferimento: 1) alla media dei corrispettivi riscossi dall’agente in pendenza di contratto ed alla loro incidenza sul volume d’affari complessivo nello stesso periodo; 2) alle cause di cessazione del contratto di agenzia; 3) all’ampiezza della zona assegnata all’agente; 4) all’esistenza o meno del vincolo di esclusiva per un solo preponente;

11) lo stesso art. 23 ha stabilito che le suindicate disposizioni – efficaci a partire dal 1 giugno 2001 – si applicano esclusivamente agli agenti che esercitano in forma individuale, di società di persone o di società di capitali con un solo socio, nonchè, ove previsto da accordi economici nazionali di categoria, a società di capitali costituite esclusivamente o prevalentemente da agenti commerciali;

12) va, infine, tenuto presente che la Corte di Giustizia UE, con la sentenza 23 marzo 2006, in causa C-465/04, interpretativa degli artt. 17 e 19 della direttiva 86/653, ha stabilito che: a) l’art. 19 della direttiva del Consiglio 18 dicembre 1986, 86/653/CEE, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, deve essere interpretato nel senso che l’indennità di cessazione del rapporto che risulta dall’applicazione dell’art. 17, n. 2, di tale direttiva non può essere sostituita, in applicazione di un accordo collettivo, da un’indennità determinata secondo criteri diversi da quelli fissati da quest’ultima disposizione a meno che non sia provato che l’applicazione di tale accordo garantisce, in ogni caso, all’agente commerciale un’indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall’applicazione della detta disposizione; b) all’interno dell’ambito fissato dall’art. 17, n. 2, della direttiva 86/653, gli Stati membri godono di un potere discrezionale che essi sono liberi di esercitare, in particolare, con riferimento al criterio dell’equità.

Parallelamente alla suddetta evoluzione legislativa le parti sociali con l’accordo economico collettivo (AEC) 27 novembre 1992 per gli agenti di commercio, modificativo dell’AEC 9 giugno 1988, hanno determinato i criteri di calcolo dell’indennità di cessazione del rapporto in argomento, criteri che tenevano conto essenzialmente dell’ammontare globale delle provvigioni maturate dall’agente nel corso del rapporto e calcolavano l’indennità sulla base di percentuali ben determinate (l’1% di base sull’ammontare globale, oltre una percentuale aggiuntiva – dell’1% o del 3% – su scaglioni specifici di provvigioni annue in ragione anche della previsione, o meno, della clausola di esclusiva).

Al suddetto accordo ha fatto seguito l’Accordo economico collettivo del 26 febbraio 2002, non applicabile nella specie, che ha introdotto la "indennità meritocratica", ove l’agente provi di aver procurato nuovi clienti al preponente o di aver sviluppato gli affari con i clienti esistenti (ed il preponente riceva ancora vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti).

Tale ultimo Accordo è stato seguito dall’AEC 16 febbraio 2009 (integrato in data 10 marzo 2010) ove, nel dichiarato intento di modificarne il regime in senso migliorativo, si prevedono, fra l’altro specifici criteri per la determinazione dell’indennità di risoluzione del rapporto e per l’indennità suppletiva di clientela.

4.2.- In questo contesto, per quel che riguarda la risoluzione del rapporto, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte, si è, fra l’altro, precisato che:

1) al fine di stabilire se lo scioglimento del contratto di agenzia sia avvenuto per fatto imputabile al preponente o all’agente può essere utilizzato per analogia il concetto di giusta causa previsto per il lavoro subordinato, pur nella diversità delle rispettive prestazioni e della configurazione giuridica, e il relativo giudizio costituisce valutazione rimessa al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità ove sorretto da adeguata e logica motivazione (vedi, per tutte, da ultimo: Cass. 7 febbraio 2011, n. 3869; Cass. 14 giugno 2008, n. 14771; Cass. 14 febbraio 2011, n. 3595; Cass. 12 gennaio 2006, n. 422);

2) in tema di cessazione del rapporto di agenzia, il recesso senza preavviso dell’impresa preponente – secondo la disciplina del codice civile prima delle modifiche introdotte, in attuazione della direttiva comunitaria 86/653/CE del 18 dicembre 1986, dal D.Lgs. n. 303 del 1991, non applicabile prima del 1 gennaio 1994 ai rapporti già in corso alla data del 1 gennaio 1990 – è consentito nel caso in cui intervenga una causa che impedisca la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Pertanto, in caso di ricorso da parte dell’impresa preponente ad una clausola risolutiva espressa, che può ritenersi valida nei limiti in cui venga a giustificare un recesso in tronco attuato in situazioni concrete e con modalità a norma di legge o di accordi collettivi non legittimanti un recesso per giusta causa, il giudice deve verificare anche che sussista un inadempimento dell’agente integrante giusta causa di recesso (Cass. 18 maggio 2011, n. 10934);

3) al fine di stabilire se, a norma dell’art. 1419 c.c., comma 1, la nullità di una parte del contratto comporti la nullità del tutto ovvero se debba operare il principio utile per inutile non vitiatur la scindibilità del contratto deve essere valutata attraverso la potenziale volontà delle parti (Cass. 4 settembre 1980 n. 5100, 5 maggio 2003 n. 6756), conseguentemente il patto di non concorrenza inserito in un contratto di agenzia può, ai sensi dell’art. 1751-bis c.c., comma 1, ritenersi operante soltanto per la medesima zona e clientela per le quali era stato concluso il contratto d’agenzia e considerasi nullo per la parte eccedente (Cass. 30 dicembre 2009, n. 27839);

4) il patto di non concorrenza stipulato tra agenti di assicurazione è valido solo nell’ambito della medesima zona e clientela, mentre deve ritenersi nullo per le parti eccedenti, con esclusione di ogni derogabilità da parte degli usi e dalla contrattazione collettiva attesa la natura indisponibile alle parti della previsione di cui all’art. 1751-bis c.c., comma 1, (Cass. 16 settembre 2010, n. 19586);

5) in tema di indennità di cessazione del rapporto di agenzia non può affermarsi una generale prevalenza della normativa contrattuale collettiva rispetto a quella legale nè l’invalidità della normativa contrattuale per contrarietà all’art. 1751 cod. civ. Infatti, in seguito alla sentenza dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 23 marzo 2006, in causa C-465/04, interpretativa degli arti 17 e 19 della direttiva 86/653, ai fini della quantificazione della suddetta indennità di cessazione del rapporto spettante all’agente, nel regime precedente all’accordo collettivo del 26 febbraio 2002 (che ha introdotto la "indennità meritocratica"), ove l’agente provi di aver procurato nuovi clienti al preponente o di aver sviluppato gli affari con i clienti esistenti (ed il preponente riceva ancora vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti) ai sensi dell’art. 1751 c.c., comma 1, è necessario verificare se – fermi i limiti posti dall’art. 1751 c.c., comma 3, -l’indennità determinata secondo l’accordo collettivo del 27 novembre 1992, tenuto conto di tutte le circostanze del caso e in particolare delle provvigioni che l’agente perde, sia equa e compensativa del particolare merito dimostrato, dovendosi, in difetto, riconoscere la, differenza necessaria per riconduca ad equità (Cass. 19 febbraio 2008, n. 4056; Cass. 23 giugno 2010, n. 15203; Cass. 15 marzo 2012, n. 4149);

5) l’indennità suppletiva di clientela – finalizzata al compenso indennitario del particolare pregiudizio, diverso da quello della mancata percezione delle provvigioni durante il periodo di virtuale preavviso, derivante dalla perdita della clientela procurata al preponente nell’ambito del rapporto di agenzia – ha origine e disciplina esclusivamente collettiva, essendo stata introdotta dalla contrattazione collettiva (AEC 18 dicembre 1974) e conservata negli accordi successivi, tutti con natura ed efficacia meramente negoziale. Essa, pertanto, è dovuta solo agli agenti il cui rapporto sia regolato, direttamente o per relationem, da detti accordi e per la sola ipotesi che il contratto si sciolga per iniziativa del mandante, oppure nell’ipotesi di dimissioni dell’agente dovute a sopravvenuta inabilità permanente o totale o successiva al conseguimento della pensione di vecchiaia; tale indennità, quindi, non può ritenersi inclusa nella generica voce "importi di fine rapporto (Cass. 30 novembre 2011, n. 25607; Cass, 10 settembre 2009, n. 19508; Cass. 16 dicembre 2004, n. 23455), 4.3.- Dall’insieme delle suesposte considerazioni si desume che la Corte territoriale si è discostata dai principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di risoluzione del contratto di agenzia, oltre che in materia di risoluzione del contratto in genere.

In particolare, va rilevato che la Corte romana:

a) dopo aver preso atto della omessa pronuncia da parte del Tribunale sulla domanda dell’agente di ingiustificato arricchimento ai sensi dell’art. 2041 cod. civ., ha respinto nel merito la domanda stessa limitandosi a considerare l’arricchimento della società giustificato dal patto di non concorrenza sottoscritto dall’agente, senza porsi il problema dei limiti di validità di tale patto, su cui si è pronunciata più volte la giurisprudenza di questa Corte, stabilendo, come si è detto, che il patto di non concorrenza stipulato nell’ambito del contratto di agenzia è valido solo nei limiti posti per la medesima zona e clientela per le quali era stato concluso il contratto d’agenzia, mentre deve considerasi nullo per le parti eccedenti, con esclusione di ogni derogabilità da parte degli usi e dalla contrattazione collettiva attesa la natura indisponibile per le parti della previsione di cui all’art. 1751-bis c.c., comma 1, (Cass. 16 settembre 2010, n. 19586; Cass. 30 dicembre 2009, n. 27839);

b) quanto alla vicenda risolutoria, in senso stretto – per la parte tuttora rilevante – la Corte romana è pervenuta alla decisione di escludere il diritto dell’agente all’indennità suppletiva di clientela, ponendo a carico dello stesso l’obbligo di corrispondere alla società l’indennità sostitutiva del preavviso, muovendo dall’erroneo presupposto secondo cui il rapporto in oggetto si sarebbe estinto per volontà dell’agente e non della preponente, senza che possa attribuirsi alcun valore, in contrario, alla circostanza che il recesso dell’agente sia intervenuto durante il periodo di preavviso successivo alla comunicazione del recesso della società, visto che è stato il recesso dell’agente a determinare un’anticipazione dell’effetto estintivo del rapporto e quindi la cessazione anzi tempo del rapporto stesso è da ricondurre alla volontà dell’agente e non della preponente.

Mentre è jus receptum che, in base al principio dell’ultrattività del rapporto in pendenza de termine di preavviso, il contratto di agenzia a tempo indeterminato non cessa nel momento in cui uno dei contraenti recede dal contratto, ma solo con la scadenza del prescritto periodo di preavviso, il quale è predisposto nell’interesse e a tutela della parte non recedente (Cass. 11 marzo 2004, n. 4982; Cass. 13 dicembre 1980, n. 6848).

4.4. Dai suesposti principi si desume che, nella specie, la volontà risolutoria del rapporto da considerare prevalente non può non essere quella della società preponente (del 18 aprile 2000) – la quale è quindi l’unica responsabile della chiusura del rapporto – mentre la successiva comunicazione dell’agente (del 24 maggio 2000) non può che essere configurata come una dichiarazione di rinuncia al preavviso (predisposto nel suo interesse e a sua tutela), con conseguente anticipazione della conclusione del rapporto, decisa dalla preponente.

Ne consegue che – a parte il profilo della incontestata tardività della comunicazione dell’agente, eventualmente rilevante ai fini dell’indennità di mancato preavviso a suo carico – non può negarsi il diritto del T. all’indennità di cessazione del rapporto, cui, in base all’art. 1751 cod. civ. (le cui disposizioni sono inderogabili a svantaggio dell’agente, ai sensi dello stesso articolo, comma 6), l’agente ha diritto anche quando recede dal contratto per circostanze che, pur non configurando un giusta causa, sono comunque "attribuibili al preponente" (Cass. 12 ottobre 2007, n. 21445; Cass. 27 gennaio 1988, n. 716).

Per quel che riguarda la quantificazione della suddetta indennità di devono applicare i su riportati principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, in seguito alla sentenza della Corte di giustizia CE del 23 marzo 2006 cit.

Pertanto, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, ai suddetti fini, non può affermarsi una generale prevalenza della normativa contrattuale collettiva rispetto a quella legale nè l’invalidità della normativa contrattuale per contrarietà all’art. 1751 cod. civ. perchè, in seguito alla sentenza dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 23 marzo 2006, in causa C-465/04, interpretativa degli artt. 17 e 19 della direttiva 86/653, per la quantificazione della suddetta indennità di cessazione del rapporto spettante all’agente, nel regime precedente all’accordo collettivo del 26 febbraio 2002 (che ha introdotto la "indennità meritocratica"), ove l’agente provi di aver procurato nuovi clienti al preponente o di aver sviluppato gli affari con i clienti esistenti (ed il preponente riceva ancora vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti) ai sensi dell’art. 1751 c.c., comma 1, è necessario verificare se – fermi i limiti posti dall’art. 1751 c.c., comma 3, – l’indennità determinata secondo l’accordo collettivo del 27 novembre 1992, tenuto conto di tutte le circostanze del caso e in particolare delle provvigioni che l’agente perde, sia equa e compensativa del particolare merito dimostrato, dovendosi, in difetto, riconoscere la, differenza necessaria per ricondurla ad equità (Cass. 19 febbraio 2008, n. 4056; Cass. 23 giugno 2010, n. 15203; Cass. 1 giugno 2009, n. 12724; Cass. 15 marzo 2012, n. 4149).

4 – Conclusioni.

5.- In sintesi il ricorso deve essere accolto, per le ragioni e nei limiti suindicati.

La sentenza impugnata va, quindi, cassata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che si atterrà ai principi su affermati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 20 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2012

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