Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-06-2011) 16-11-2011, n. 42104 Reati commessi a mezzo stampa diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 3 giugno 2008 il Tribunale di Catania assolveva B.M., C.G.M. e Z.S. – il primo nella qualità di direttore e gli altri due di giornalisti del quotidiano (OMISSIS) – dai reati loro rispettivamente ascritti:

C. e Z. dalla diffamazione a mezzo stampa in danno di R.F., con riferimento all’articolo pubblicato il (OMISSIS), dal titolo Incontrai R. e V., per loro 5 miliardi; e B. dall’omissione di controllo sulla pubblicazione, ai sensi dell’art. 57 c.p..

L’articolo riportava le dichiarazioni di M.I., superteste del procedimento cd. Telekom Serbia, rese nel corso di un confronto con il teste P.F.. Il teste aveva, tra l’altro, sostenuto di essersi incontrato – tra il 10 ed il 13 ottobre 2010, in un noto ristorante romano – con gli esponenti politici F. R. e V.W., ai quali avrebbe promesso il finanziamento della campagna elettorale, poi realizzato mediante la consegna del danaro contenuto in una borsa, fatta recapitare, tramite il socio P., in Campidoglio, nell’ufficio del sindaco R..

Pronunciando sul gravame proposto dalla parte civile F. R., la Corte di Appello di Catania, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava la pronuncia impugnata, con ulteriori statuizioni di legge.

Avverso la pronuncia anzidetta, il difensore della parte civile ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.

Motivi della decisione

1. – Con unico motivo d’impugnazione, parte ricorrente denuncia erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità di motivazione, nella parte in cui i giudici di merito avevano escluso l’antigiuridicità del fatto riconoscendo la causa di giustificazione del diritto di cronaca giudiziaria. Reputa, in sostanza, che, nel caso di specie, sarebbero stati superati i limiti entro i quali avrebbe potuto trovare applicazione l’anzidetta esimente, considerato che il testo dell’articolo di stampa aveva enfatizzato il contenuto delle false dichiarazioni del M., sposandone la gratuita versione accusatoria, nonostante la stessa fosse stata smentita dalle informazioni assunte dal direttore del personale del ristorante romano, che aveva negato la presenza nel locale del V. o del R.. Si doleva, inoltre, che non fosse stato dato adeguato risalto alle contrarie dichiarazioni rese dal P. in sede di confronto, recependo in tal modo, per evidenti strategie di delegittimazione politica, la versione sensazionalistica del M., ancorchè palesemente mendace e calunniatrice.

2. – La censura è destituita di fondamento.

Ed infatti, l’esame dell’articolato sviluppo argomentativo della sentenza impugnata non consente di ritenere fondate le doglianze di parte, in merito al preteso superamento dei limiti notoriamente immanenti al cd. diritto di cronaca giudiziaria. In proposito, si osserva che è ius receptum, alla stregua di copiosa elaborazione giurisprudenziale di questa Corte regolatrice, che l’esercizio del diritto di cronaca giudiziaria, sottospecie del diritto di cronaca costituzionalmente garantito, rende del tutto lecita la pubblicazione della notizia dell’esistenza di un’indagine in corso nei confronti di una determinata persona, sul fondamentale rilievo che l’interesse della collettività a conoscere di quella indagine – e del modo con cui viene esercitata l’azione penale nel nostro Paese – prevale sulla presunzione di innocenza dell’indagato sino a sentenza definitiva e sul correlato diritto al riserbo che ogni persona, specie se personaggio pubblico o uomo delle istituzioni, vorrebbe fosse mantenuto sulla vicenda che lo riguarda, stante l’indubbia valenza diffamatoria insita nella propalazione del suo coinvolgimento in indagini penali, tanto più se per gravi reati. L’ineludibile esigenza dell’informazione, connessa al noto riflesso passivo della libertà di stampa, inteso come diritto dei consociati ad essere informati, non rende però legittima qualsivoglia pubblicazione in merito, ossia indipendentemente dalle forme in cui essa sia resa e dal relativo contenuto.

I noti limiti che circoscrivono l’ambito della lecita esplicazione del diritto di cronaca si ripropongono, infatti, per la sua sottospecie della cronaca giudiziaria, pur assumendo una peculiare connotazione in ragione della delicata natura della materia trattata, riguardante appunto vicende giudiziarie. Ed infatti, pacifica l’esistenza del pubblico interesse alla propalazione, alla stregua di quanto sopra evidenziato, il rispetto degli altri due parametri assume, nella fattispecie in esame, le seguenti peculiarità.

Innanzitutto, quanto alla verità, è indiscusso insegnamento di questo Giudice di legittimità che la verità della notizia mutuata da un provvedimento giudiziario sussiste qualora essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso, sicchè è sufficiente che l’articolo pubblicato corrisponda al contenuto degli atti e dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria, non potendo richiedersi al giornalista di dimostrare la fondatezza delle decisioni assunte in sede giudiziaria (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5,16.11.2010, n. 43382, rv. 248950; cfr, pure, id sez. 5 9.12.2010, n.. 4558, rv.

249264).

L’enunciazione anzidetta va, però, specificata anche con riferimento all’ipotesi in cui, in costanza di attività giudiziaria, non sia stato ancora emesso un vero e proprio provvedimento. E’ risaputo, del resto, che, nell’ordinaria configurazione, il procedimento penale consta di una sequela di atti funzionalmente intesi alla verifica della notitia criminis ed all’acquisizione, nelle forme di rito, di elementi sintomatici che si rivelino poi sufficienti, univoci e comunque idonei per sostenere l’accusa in sede dibattimentale.

All’attività delle indagini preliminari, istituzionalmente deputata a tale scopo, può, come è noto, far seguito o meno la fase del giudizio e quest’ultima, poi, dispiegarsi o meno nei successivi gradi di giurisdizione previsti dal vigente sistema processuale.

Ecco, allora, che il limite della verità (rectius il suo rispetto) non può che calibrarsi in rapporto alla particolare fase procedimentale cui si riferisce la notizia pubblicata. Se si tratta di atto conclusivo del procedimento o di subprocedimento (sentenza od ordinanza che sia) od introduttivo di successiva fase processuale (quale, ad esempio, il decreto dispositivo del giudizio) la notizia deve rifletterne fedelmente il contenuto, in riferimento all’esatto titolo della contestazione (nomen iuris dell’imputazione) ed alla ragione giustificativa (fatti o condotte oggetto di attenzione investigativa). L’obbligo della verità sarà, dunque, rispettato a fronte dell’effettiva esistenza di un provvedimento siffatto e della propalazione del suo contenuto.

Ove si tratti, invece, della fase delle indagini preliminari, la verità della notizia pubblicata dal cronista giudiziario – del quale è ragionevole attendersi una conoscenza, almeno di base, delle dinamiche salienti della procedura penale – postula, come è ovvio, che esista davvero un’indagine in corso e, ove sia stato adottato un provvedimento cautelare, di esso naturalmente potrà essere data notizia, non rientrando ovviamente tra gli atti coperti da segreto investigativo.

Se si tratta di attività d’indagine volta alla conferma della notitia criminis od all’acquisizione di elementi di prova o di cose pertinenti al reato (perquisizioni personali o reali) la notizia dell’atto (già in sè potenzialmente lesiva dell’altrui reputazione), dovrà essere accompagnata anche dall’esito della stessa ricerca (cfr. sul punto, Cass. sez. 5, 17.7.2009. a 4505, rv 245154). Il rispetto della verità postula, infatti, piena completezza dell’informazione, tale non potendosi dire quella che ne riproduca un solo frammento.

Ed infatti, anche una notizia incompleta può arrecare pregiudizio all’altrui reputazione ove non accompagnata dal segmento conclusivo potenzialmente capace di elidere, in prospettiva a d’assieme, quel riflesso pregiudizievole.

Il dovere deontologico del cronista richiede, dunque, l’attento e prudente controllo della fonte informativa e, in caso di difficoltà di acquisizione dei necessari dati di conoscenza, egli potrà pur sempre contattare direttamente l’interessato – tanto più se si tratti di personaggio pubblico – per attingere da lui stesso notizie, anche a sua discolpa (cfr. Cass. sez. 5, n. 25003/06, non massimata, secondo cui "in tema di diffamazione con il mezzo della stampa, la scriminante putativa dell’esercizio del diritto di cronaca è ipotizzabile solo qualora, pur non essendo obiettivamente vero il fatto pubblicato, il giornalista abbia assolto all’obbligo di esaminare, controllare e verificare quanto oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio, non essendo sufficiente l’affidamento riposto in buona fede sulla fonte, e quando si intende pubblicare la notizia di un fatto lesivo dell’altrui reputazione, la verifica, per una deontologica esigenza di garanzia, va fatta, quando ciò è possibile, interpellando la persona che dalla pubblicazione risulterebbe lesa, anche per riceverne eventuali giustificazioni o spiegazioni").

Resta, ovviamente, inteso che la verifica del parametro della verità dovrà pur sempre essere rapportata, temporalmente, al momento della pubblicazione dell’articolo, con riguardo allo stato delle indagini ed agli sviluppi istruttori sino a quel momento maturati, restando ovviamente ininfluenti, all’uopo, le successive statuizioni in sede giurisdizionale.

Decisa peculiarità, in rapporto alla materia, assume poi il limite della continenza. Premesso che la nozione di continenza va intesa in senso sia formale che sostanziale, la specificità della notizia riferita ne condiziona fortemente la modalità di configurazione. Sul piano sostanziale, va considerato che l’esistenza di indagini preliminari in corso significa nulìaltro che a carico di una determinata persona si sono addensati – a ragione o torto – meri sospetti od elementi indiziali, suscettivi di verifica nel corso dell’istruttoria, non potendo ritenersi in alcun modo giustificata alcuna proiezione di colpevolezza o di estraneità.

E’ per questo che il racconto giornalistico deve limitarsi a riferire dell’esistenza dell’attività investigativa, senza apriorististe scelte di campo o sbilanciamenti di sorta a favore dell’ipotesi accusatoria, capaci di ingenerare nel lettore facili suggestioni.

Se, infatti, il cronista non è certamente tenuto a verificare la fondatezza dell’accusa, in quanto, diversamente, si sostituirebbe agli organi inquirenti, parimenti non può indulgere ad alcuna preconcetta opzione di responsabilità, rendendo una ricostruzione della vicenda in chiave colpevolista. Se, di certo, non gli si può impedire di avere al riguardo un’opinione e magari anche di esternarla, non gli è però consentito rappresentare la vicenda in termini diversi da ciò che è realmente: allo stato, null’altro che un mero progetto di accusa attorno ad ipotesi di illecito e di responsabilità, tutte però da verificare.

In fondo, ciò che conta realmente non è tanto l’opinione del cronista, quanto piuttosto quella dei lettori, alla cui corretta formazione – al riparo da qualsivoglia strumentale distorsione – è ineludibile un resoconto quanto più obiettivo, corretto ed esaustivo possibile.

D’altronde, il rispetto di siffatte condizioni è dettato – ancor prima che dalla deontologia professionale – da elementari regole di prudenza, non fosse altro che per la stessa possibilità che le indagini – nell’ordinaria fisiologia della loro evoluzione – non sortiscano esito alcuno, a parte ovviamente l’ipotesi – neppure questa da escludere in partenza – che possano poi rivelarsi, ab initio, affatto ingiustificate o persino arbitrarie. Non può, peraltro, trascurarsi neanche il fatto che la notizia successiva dell’eventuale archiviazione, ove mai venga davvero resa (e, comunque, assai di rado con lo stesso risalto attribuito alla notizia del coinvolgimento) non sempre può a posteriori reintegrare il pregiudizio all’immagine ed alla reputazione della persona ingiustamente coinvolta.

Orbene, applicando tali principi di diritto alla fattispecie, è preliminare il rilievo che la notizia di stampa in esame riguardava l’esistenza di indagini preliminari ingenerate dalle dichiarazioni accusatorie di M.I. e che l’atto d’indagine oggetto di pubblicazione era un confronto tra le stesso M. ed il teste P.. Impregiudicato il rispetto dei limiti dell’interesse pubblico e della verità – neppure in discussione nel caso di specie – la verifica della continenza postulava – per quanto si è detto – l’accertamento del modo con cui la notizia delle indagini è stata offerta, con particolare riferimento all’esito del riferito confronto.

A siffatta verifica il giudice di appello non si è certamente sottratto, rilevando, positivamente, che la notizia rifletteva fedelmente lo sviluppo delle indagini anzidette ed il contenuto delle dichiarazioni accusatorie del teste M., che – in termini veritieri o meno – aveva sostenuto di aver versato una cospicua somma di danaro all’odierno ricorrente, per finanziarne la campagna elettorale.

Orbene, il fondamento della notizia (consistente, ovviamente, non già nell’oggetto delle propalazioni, ossia l’effettiva dazione di danaro, ma nel fatto che le stesse fossero state realmente rese, anche in sede di confronto) non è in alcun modo contestato dalla parte oggi ricorrente.

Parimenti incontestato è che il confronto abbia davvero avuto luogo.

Trattandosi di atto investigativo affidato all’esame di contrapposte versioni, la completezza della notizia in merito richiedeva che fosse dato atto dell’anzidetta contrapposizione, che ne costituiva l’intima essenza, e, ove possibile, dell’esito, ossia del mantenimento delle due versioni antagoniste ovvero dell’eventuale allineamento di una all’altra.

Ad un onere siffatto i giornalisti – secondo quanto, puntualmente, rilevato dalla Corte di merito – avevano però diligentemente adempiuto, dando conto della recisa smentita del teste posto a confronto. E per quanto concerne la continenza, lo stesso giudice a quo ha rilevato la sostanziale correttezza dell’informazione, che, al di là del particolare risalto grafico con cui era stata offerta, rendeva una versione sufficientemente bilanciata, dando conto non solo della smentita del P., ma anche della raffica di querele preannunciate nei confronti del dichiarante M..

Restava, ovviamente, inteso che determinate enfatizzazioni del racconto erano in perfetta sintonia con la linea editoriale del quotidiano in questione, notoriamente collocato in area politica diametralmente opposta a quella di appartenenza dell’odierno ricorrente. La notorietà di siffatta collocazione ideologica escludeva in nuce qualsivoglia possibilità di suggestione, condizionamento o distorsione dell’opinione del lettore medio dell’anzidetto quotidiano.

Per quanto precede, il ricorso deve essere rigettato, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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