T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 21-12-2011, n. 1784

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 – Il ricorrente, di minor età all’atto dell’ingresso in Italia, impugna, sotto vari profili, che saranno al seguito meglio specificati nel corso dell’esposizione, l’atto di cui in rubrica tramite il quale la Questura di Brescia rifiuta di convertire il suo permesso di soggiorno per minore età in permesso di soggiorno lavorativo ai sensi delle rinnovellate norme in discorso e perciò in ragione di quanto previsto dalla l. n. 94 del 2009 entrata in vigore il giorno 08082009 (art. 32 dec. lg.vo 286/98).

2 – Resiste partitamente l’Avvocatura erariale concludendo per la reiezione del detto ricorso.

3 – All’U.P. del 23.XI.2011 la causa è stata spedita in decisione, dopo brevissima discussione.

4 – Al fine di compiutamente definire i contorni di fatto e temporali della vicenda il Collegio rileva che il ricorrente:

a) è entrato in Italia il 09.06.2009;

b) è stato sottoposto a tutela civilistica ex art. 343 c.c. e seguenti il 15.09.2009;

c) il primo permesso di soggiorno, per minore età, è stato adottato in data 05.11.2009;

d) la maggiore età è intervenuta il 15.09.2010;

e) ha iniziato direttamente a lavorare il 12.1.2010 e perciò prima del compimento della maggiore età;

f) non è stato mai avviato a nessun percorso di integrazione biennale né prima né dopo il compimento della maggiore età, né ha mai fatto alcuna richiesta sul punto.

4.1 – Le descritte e pacifiche circostanze in fatto sono equiparabili, in relazione ai periodi temporali ai quali si riconnettono, per alcuni aspetti con uguale caratterizzazione qualitativa, a quelli propri, ma solo temporalmente diversi – di un altro caso trattato dal Consiglio di Stato (Sez. III°, 4.7.2011 n. 3987), con esito negativo per l’ex minore.

In tale caso il detto minore:

a) era entrato in Italia il 03.08.2009;

b) in data 10.09.2009 veniva sottoposto a tutela;

c) in data di poco successiva otteneva un primo permesso di soggiorno per minore età;

d) era stato avviato al lavoro il 23.11.2009, prima del compimento della maggiore età;

e) era divenuto maggiorenne il 25.1.2010;

f) era stato ammesso ad un percorso integrativo biennale alla fine della II° metà del 2009, senza esito conclusivo.

4.2 – Come si può rilevare l’unica differenza tra i due casi è la assenza, per il qui ricorrente, quantomeno dell’avvio di un percorso biennale integrativo.

5 – Si ricorda ora che il provvedimento impugnato si basa sulla considerazione che l’interessato, al momento del compimento della maggiore età, non si trovava nelle condizioni soggettive previste ex l. 94/09 ai sensi del novellato dell’articolo 32 del decreto legislativo n. 286/1998, concernenti:

– la permanenza per un periodo minimo di tre anni in Italia;

– l’avvenuta frequentazione di un programma di integrazione sociale della durata non inferiore ai due anni.

6 – Costui non contesta, in punto di fatto, la circostanza della concreta carenza dei requisiti indicati dal provvedimento impugnato, ma prospetta una serie di censure incentrate su quella che egli ritiene debba essere l’interpretazione della normativa applicabile al caso di specie.

In sintesi l’istante sostiene che ai fini del rilascio del richiesto permesso di soggiorno:

a) i minorenni sottoposti a tutela restano assoggettati alla disciplina pregressa come prevista dall’art. 32, comma 1, del decreto legislativo n. 286/1998, il quale non richiede il duplice presupposto della permanenza almeno triennale nel territorio dello Stato e lo svolgimento di un programma biennale di integrazione sociale e civile;

b) in ogni caso, la normativa richiamata dall’atto impugnato, entrata in vigore in data 8 agosto 2009, non può essere applicata nel caso concreto, perché l’ingresso nel territorio italiano dell’interessato è avvenuto prima di tale data.

In ulteriore sintesi, secondo la ricavabile sostanza di tale prospettiva, il permesso di soggiorno lavorativo deve essere rilasciato, comunque, a coloro che compiono la maggiore età almeno entro due anni dalla entrata in vigore della nuova disciplina e che sono stati sottoposti a tutela anche successivamente.

7 – Per valutare adeguatamente le censure proposte pare opportuno riassumere l’evoluzione della disciplina della "conversione" del permesso di soggiorno rilasciato ai cittadini extracomunitari, per motivi di minore età.

Nella sua versione originaria, l’art. 32 del decreto legislativo n. 286/1998 si limitava a stabilire, al comma 1, che "Al compimento della maggiore età, allo straniero nei cui confronti sono state applicate le disposizioni di cui all’art. 31, commi 1 e 2, e ai minori comunque affidati ai sensi dell’art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, può essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura. Il permesso di soggiorno per accesso al lavoro prescinde dal possesso dei requisiti di cui all’art. 23".

In altri termini, la norma contemplava la possibilità di una particolare modalità agevolata di "conversione" del permesso di soggiorno rilasciato ai minorenni stranieri, riservandola, testualmente e solo alle ipotesi del "figlio minore della straniero con questi convivente e regolarmente soggiornante" (art. 31) e a quella delle persone affidate ai sensi della legge n. 184/1983.

La disposizione originaria, quindi, non prendeva in considerazione, espressamente, le diverse situazioni dei soggetti minorenni non conviventi con uno dei genitori, e non affidati ai sensi dell’art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184. Non dettava alcuna disciplina specifica, poi, riferita ai minori "non accompagnati".

8 – La descritta carenza legislativa aveva determinato una notevole incertezza applicativa. Da una parte si era prospettata la tesi restrittiva secondo cui soltanto il minorenne facente parte di un gruppo familiare o affidato ad una famiglia ai sensi della legge n. 184/1983, fosse meritevole di fruire del percorso agevolato di conversione del permesso di soggiorno, prefigurato dall’art. 32, comma 1.

In senso opposto, però, si era sottolineato che, anche tenendo conto delle norme internazionali in materia di tutela dei minori, proprio i soggetti stranieri privi di ambienti familiari di riferimento (i "minori non accompagnati") avrebbero dovuto ottenere una più intensa tutela al momento del raggiungimento della maggiore età.

Inoltre, si era prospettata l’opinione secondo cui i minorenni sottoposti a tutela o affidati, comunque, ai sensi della legge n. 184/1983, dovessero equipararsi, attraverso un’interpretazione estensiva, ai soggetti esplicitamente contemplati dall’art. 32, comma 1.

9 – Allo scopo di superare il contrasto di opinioni interpretative e la riscontrata disomogeneità applicativa, l’art. 25, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189, ha aggiunto, all’art. 32, due commi (1bis e 1ter), in forza dei quali:

"1bis. Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 può essere rilasciato per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo, al compimento della maggiore età, sempreché non sia intervenuta una decisione del Comitato per i minori stranieri di cui all’art. 33, ai minori stranieri non accompagnati che siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque sia iscritto nel registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi dell’art. 52 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394.

1ter. L’ente gestore dei progetti deve garantire e provare con idonea documentazione, al momento del compimento della maggiore età del minore straniero di cui al comma 1bis, che l’interessato si trova sul territorio nazionale da non meno di tre anni, che ha seguito il progetto per non meno di due anni, ha la disponibilità di un alloggio e frequenta corsi di studio ovvero svolge attività lavorativa retribuita nelle forme e con le modalità previste dalla legge italiana, ovvero è in possesso di contratto di lavoro anche se non ancora iniziato."

10 – L’innovazione normativa del 2002 ha testualmente riguardato, quindi, i soli "minori stranieri non accompagnati". Tale categoria non è definita in modo puntuale dalla norma; tuttavia è ragionevole ritenere che essa riguardi i soggetti indicati dall’art. 1, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 dicembre 1999 n. 535 (Regolamento concernente i compiti del Comitato per i minori stranieri, a norma dell’art. 33, commi 2 e 2bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), secondo cui per minore non accompagnato "s’intende il minorenne non avente cittadinanza italiana o di altri Stati dell’Unione europea, che, non avendo presentato domanda di asilo, si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigente nell’ordinamento italiano".

Secondo l’art. 2 della direttiva comunitaria n. 86/2003 (direttiva concernente i ricongiungimenti familiari dei migranti) si intende per "minore non accompagnato" "il cittadino di paesi terzi o l’apolide d’età inferiore ai diciotto anni che giunga nel territorio dello Stato membro senza essere accompagnato da un adulto che ne sia responsabile in base alla legge o agli usi, fino a quando non sia effettivamente affidato ad un tale adulto, o il minore che viene abbandonato dopo essere entrato nel territorio degli Stati membri".

La norma introdotta nel 2002 prevede che anche questi soggetti "minori non accompagnati", raggiunta la maggiore età, possano ottenere un permesso di soggiorno, ma attraverso un percorso diverso e più complesso rispetto a quello delineato dal comma 1 dell’art. 32.

Infatti, a tale scopo, è necessario dimostrare la presenza, al momento del raggiungimento della maggiore età, di una serie di condizioni soggettive, concernenti, fra l’altro, la permanenza sul territorio nazionale da almeno tre anni e la partecipazione di un progetto di integrazione sociale di durata almeno biennale.

Dunque, secondo l’impostazione prescelta dal legislatore del 2002, resta netta la differenza tra il minore straniero inserito in un ambiente familiare in senso stretto (comprensivo sia della famiglia naturale, sia della famiglia di affidamento ai sensi della legge n. 184/1983) e il minore non accompagnato. Per quest’ultimo, la possibilità di ottenere, al raggiungimento della maggior età, un permesso di soggiorno è comunque subordinata a specifici e rigorosi presupposti.

11 – Anche l’intervento normativo del 2002, tuttavia, non è stato determinante per risolvere tutti i contrasti interpretativi. In tale quadro si sono prospettati dubbi applicativi riguardanti l’esatta delimitazione della nozione di "minore non accompagnato" e il trattamento giuridico del minore sottoposto a tutela, o affidato in forza di disposizioni diverse da quelle racchiuse nell’art. 2 della legge n. 184/1983.

Con specifico riferimento alla disciplina applicabile al minore sottoposto a tutela, erano state prospettate tre tesi:

a) secondo un primo indirizzo, il minore soggetto a tutela deve essere sempre assimilato ad un minore non accompagnato, perché non rientra nella previsione dell’art. 32, comma 1, riguardante i soli nuclei familiari "ristretti".

b) altra diversa opinione ritiene, invece, che la tutela realizzi sempre un vincolo sostanzialmente equiparabile a quello familiare, con la conseguente piena applicabilità del procedimento "agevolato" di conversione del permesso di soggiorno, previsto dall’art. 32, comma 1.

c) una terza tesi interpretativa, infine, sostiene che occorra distinguere tra due situazioni contrapposte; se il minore è affidato alla tutela di un parente entro il terzo grado, trova applicazione la previsione dell’art. 32, comma 1; negli altri casi, comprensivi anche della tutela affidata ad enti pubblici o privati di assistenza, il minore conserva comunque lo status originario di "non accompagnato" e, pertanto, è sottoposto alla disciplina di cui ai commi 1bis e 1ter.

12 – Sul punto è poi intervenuta, in modo sostanzialmente risolutivo, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 198/2003, secondo la quale la disposizione del comma 1 dell’art. 32 va riferita, in base ad una interpretazione "costituzionalmente orientata", anche a minori stranieri sottoposti a tutela, ai sensi del titolo X del Libro primo del Codice Civile.

Va, peraltro, evidenziato che l’affermazione contenuta nella detta sentenza (riconducibile al paradigma delle pronunce interpretative di rigetto), seppure pronunciata in relazione ad un giudizio concernente una fattispecie concreta in cui il minore straniero risultava affidato alla tutela di un "cognato", ha una portata molto ampia e generalizzata.

Infatti, nel corpo della inerente motivazione, si chiarisce che l’istituto della tutela presenta notevoli analogie con l’affidamento ai sensi della legge n. 184/1983, e pertanto non sarebbe giustificato un diverso trattamento giuridico, indipendentemente dal soggetto cui sia conferito l’incarico di tutore (parente, affine, ente pubblico o privato di assistenza).

Pertanto, si può concludere che, nel quadro normativo scaturito dalla modifica normativa del 2002, anche alla luce dell’indirizzo interpretativo espresso dalla Corte Costituzionale, il minore straniero sottoposto a tutela rientri sempre nel raggio di applicazione dell’art. 32, comma 1.

In tal senso si è posta, del resto, senza particolari contrasti, la giurisprudenza anche di quasi tutti i TTAARR e del Consiglio di Stato, secondo cui in materia di immigrazione, l’art. 32, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 va interpretato nel senso che il permesso di soggiorno al compimento della maggiore età può essere rilasciato non soltanto quando l’interessato è stato sottoposto ad affidamento amministrativo o giudiziario ai sensi dell’art. 4, commi 1 e 2, della legge n. 184 del 1983, ma anche a tutela ai sensi degli articoli 343 c.c. e seguenti (ex multis Cons. Stato Sez. VI, 18 agosto 2010, n. 5883).

13 – Il sistema legislativo è però successivamente mutato.

In questo quadro, l’art. 1 della legge 15 luglio 2009, n. 94, entrata in vigore in data 8 agosto 2009, ha ulteriormente modificato la disciplina, incidendo, in particolare sul procedimento di conversione del permesso di soggiorno di cui al comma 1bis. In forza della nuova legge, risulta diversamente indicato l’ambito soggettivo di applicazione della norma: la previsione riguarda, ora "i minori stranieri non accompagnati, affidati ai sensi dell’art. 2 della legge 4 maggio 1983 n. 184, ovvero sottoposti a tutela".

Inoltre, anche il comma 1 dello stesso articolo 32 è stato modificato, mediante la precisazione secondo cui la speciale disciplina della conversione prevista fa comunque salva, per i minori affidati ai sensi della legge n. 184/1983, la disciplina più restrittiva stabilita dal comma 1bis.

Il nuovo intervento del legislatore, pertanto, mira a modificare il precedente assetto normativo, assimilando i minori soggetti a tutela od ad affidamento alla regolamentazione prevista per i minori non accompagnati.

Sulla base della detta ultima disciplina (in relazione al caso l’ulteriore interpolazione ex lege 129/11 non è recuperabile né ratione temporis né per il fatto che non ha all’evidenza carattere retroattivo), per conseguire la conversione del permesso di soggiorno, il minore non accompagnato, sottoposto a tutela od in affidamento familiare, al momento del raggiungimento della maggiore età, deve essere quindi nel territorio dello Stato da almeno tre anni e deve avere svolto un programma di integrazione di almeno un biennio.

Non sarebbe invece necessario – nel diverso caso proposto – provare di "aver concluso, al momento del raggiungimento della maggiore età, il percorso integrativo biennale e di trovarsi nel territorio nazionale da almeno tre anni" (v. sentenza citata).

È così anche opportuno evidenziare, sul piano strettamente esegetico, che il comma 1 dell’art. 32 prevede la salvezza del comma 1bis solo con riguardo alle ipotesi dei minori affidati ai sensi dell’art. 4 della legge n. 184/1983. Pertanto, la soluzione ricavabile dalle argomentazioni del ricorrente non potrebbe trovare applicazione nella presente vicenda, in cui non si è presenza di tale tipo di affidamento, bensì di un tutela.

In secondo luogo, il rinvio al comma 1bis non può intendersi affatto come escludente l’operatività del successivo comma 1ter, dal momento che si tratta di due commi strettamente connessi, i quali vanno letti in modo coordinato.

In terzo luogo, la previsione del comma 1bis risulta assolutamente chiara nello stabilire che lo speciale percorso per conseguire il permesso di soggiorno riguarda i minori non accompagnati sottoposti a tutela o in affidamento. Il successivo comma 1ter, a sua volta, richiama la previsione del comma 1bis, confermando che vi è perfetta coincidenza tra gli ambiti di applicazione dei due commi.

Sicché, risulta confermato che, in base alla nuova disciplina legislativa introdotta nel 2009, la conversione del permesso di soggiorno, con un percorso più complesso previsto dai commi 1bis e 1ter, riguarda anche i minori sottoposti a tutela, qualificabili come non accompagnati, in quanto privi di una figura familiare di riferimento.

15 – Il ricorrente sostiene però che la disciplina del 2009 non è comunque applicabile alla sua vicenda, perché entrata in vigore dopo il suo ingresso da minore nel territorio nazionale.

16 – La Sezione ritiene che il sopra citato argomento sia – ipotesi – l’unico condivisibile, ma che non serva a mutare il negativo risultato finale.

La nuova disciplina ha – invero – inciso su situazioni di fatto già in atto, derivanti dall’avvenuto ingresso di minori stranieri nel territorio nazionale solo poco prima dell’entrata in vigore della L. n. 94 del 2009, ma, peraltro, divenuti maggiorenni non molto tempo dopo, come nel caso.

16.1 – Di talché è ben vero che non è necessario per il ricorrente dimostrare la sua permanenza almeno triennale nel territorio nazionale; ciò dal momento che tale requisito non è più prescritto per i minori sottoposti a tutela ed entrati nel territorio nazionale prima della altrimenti entrata in vigore della l. n. 94 del 2009.

16.2 – Tuttavia, secondo un ulteriore assunto contenuto nella detta sentenza del CdS (n. 3987 del 4.7.2011), se, da un lato, non potrebbe pretendersi che, al momento del raggiungimento della maggiore età, il minore abbia già concluso il percorso biennale, lo stesso, d’altro canto, deve dimostrare, invece e quantomeno, d’essere stato ammesso ritualmente a tale medesimo percorso e che quest’ultimo sia regolarmente in atto.

16.2.1 – Peraltro, nel caso di specie, il ricorrente non ha nemmeno iniziato un simile percorso; né prima né dopo il raggiungimento della maggiore età: intervenuta dopo poco tempo dall’entrata in vigore della l. n. 94 del 2009; né lo stesso, essendo ormai maggiorenne, risulta sia intenzionato a sottoporsi a tale percorso.

16.2.2 – Tale essendo la divisata circostanza, avendo il CdS definito come necessario (e perciò ineludibile) almeno un formale avvio del detto percorso di specie ed altresì rilevato che la raggiunta maggiore età lo dispensa ormai da ciò, è evidente che manca una condizione determinante per accogliere il ricorso. Tanto più che il CdS ha respinto l’appello per il caso descritto anche se erano presenti ulteriori caratteristiche più utili.

17 – E solo così il caso di ricordare che le dette conclusioni sono assunte anche alla stregua di quanto dettato dal CdS medesimo in ordine al detto caso (iura novit curia).

18 – Del resto una diversa interpretazione finirebbe col favorire, da un lato, l’esclusione del limite dei flussi annuali e, dall’altro, di obliterare la concessa opera di integrazione sociale del minore sottoposto ad una breve tutela di un anno e avviato al lavoro direttamente ancor prima del compimento della maggiore età.

19 – Le stesse conclusioni qui delineate non paiono altresì essere palesemente in contrasto con quanto disposto dalla Corte Costituzionale con le proprie ordinanze n. 222 e 326 del 2011.

20 – Tutto quanto concluso non impedisce alla PA procedente di riesaminare il caso alla stregua dell’ultima rimodulazione dell’art. 32 più volte citato (lett. g bis, 1° c. art. 3 d.l. 89/2011 convertito nella l. 129/2011).

21 – Soccorrono sufficienti motivi per compensare le spese di giustizia tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge; salvi gli ulteriori provvedimenti della PA.

Le spese di lite sono compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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