Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-05-2012, n. 8291 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 17-2-2005 il Giudice del lavoro del Tribunale di Ragusa rigettava la domanda proposta da V.F. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro concluso per il periodo 2-2-2001/31-5-2001, per "esigenze di carattere straordinario" ex art. 25 del ccnl del 2001, con riconoscimento della sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato e con condanna della società al ripristino dello stesso e al pagamento delle retribuzioni maturate.

La V. proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda.

La società si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Catania, con sentenza depositata il 1-9-2009, rigettava l’appello e compensava le spese.

Per la cassazione di tale sentenza la V. ha proposto ricorso con quattro motivi.

La società ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale con un unico motivo.

Infine la società ha anche depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale la V., denunciando violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 in relazione alla L. n. 230 del 1962, art. 3 e all’ art. 12 Preleggi, nonchè vizio di motivazione, in sostanza sostiene la erroneità della interpretazione secondo cui, "nell’ipotesi di assunzioni a termine individuate in sede collettiva l’onere della prova non deve riguardare il nesso di causalità tra la singola assunzione e l’astratta ipotesi contrattuale, ma solo l’esistenza delle ipotesi di ricorso al contratto a termine individuate in sede collettiva".

Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 25, comma 2 del ccnl del 2001 e dell’art. 1362 c.c., e segg., la ricorrente principale lamenta che erroneamente la Corte di merito ha ritenuto che l’art. 25, comma 2 citato "individua quale causale giustificativa dell’apposizione del termine il fenomeno della riorganizzazione a livello nazionale, coinvolgente l’intera compagine aziendale senza riferimento ai singoli uffici o ad altre articolazioni territoriali dell’impresa".

Con il terzo motivo, denunciando violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e vizio di motivazione, la V. censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che "la riorganizzazione aziendale consistente nel reimpiego degli esuberi coinvolgesse sia l’intero territorio nazionale che l’intera compagine aziendale, e non già solo una parte di esse".

I detti motivi, connessi fra loro, risultano infondati, in base all’indirizzo consolidato affermato da questa Corte in materia.

Premesso che il contratto in causa è stato stipulato, ai sensi dell’art. 25 del ccnl del 2001, in data anteriore al D.Lgs. n. 368 del 2001, in particolare questa Corte (v. fra le altre Cass. 26 settembre 2007 n. 20162, Cass. 1-10-2007 n. 20608) decidendo in casi analoghi, ha cassato la sentenza del giudice di merito che aveva dichiarato illegittimo il termine apposto ad un contratto stipulato in base alla previsione della norma contrattuale sopra citata, osservando, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983 n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, quella di cui al citato art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001.

In specie, quale conseguenza della suddetta delega in bianco conferita dal citato art. 23, questa Corte ha precisato che i sindacati, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere oggettivo ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente "soggettivo", costituendo l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato idonea garanzia per i lavoratori e per un’efficace salvaguardia dei loro diritti.

Premesso, poi, che l’art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001 prevede, come si è visto, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi, questa Corte ha ritenuto viziata l’interpretazione dei giudici del merito che, sull’assunto della assoluta genericità della disposizione in esame, aveva affermato che la stessa non contiene alcuna autorizzazione ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra i singoli contratti e le esigenze aziendali cui gli stessi sono strumentali.

Tale orientamento va confermato in questa sede, essendo, del resto, la tesi della ricorrente in sostanza fondata sull’erroneo presupposto che il legislatore non avrebbe conferito una "delega in bianco" ai soggetti collettivi ed avrebbe imposto al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962.

Del resto, come pure è stato precisato, nel quadro delineato, neppure era necessario che il contratto individuale contenesse specificazioni ulteriori rispetto a quelle menzionate nella norma collettiva (v. fra le altre Cass. 14-3-2008 n. 6988), nè occorreva la prova di un collegamento concreto tra l’assunzione del singolo lavoratore e le esigenze di carattere straordinario richiamate, con riferimento alla specificità di uffici e di mansioni (v. fra le altre Cass. 1-10-2007 n. 20608, Cass. 30-3-2010 n. 7656).

Così respinti i primi tre motivi del ricorso principale, neppure merita accoglimento il quarto motivo, con il quale la V., denunciando violazione della disposizione finale del 2 comma dell’art. 25 del ccnl del 2001 e vizio di motivazione, in sostanza lamenta che la Corte d’Appello "ha omesso di motivare" in ordine al profilo di nullità relativo alla asserita mancanza, nella fattispecie, della condizione del previo confronto sindacale.

Il motivo in parte è inammissibile e in parte è infondato.

In effetti, sul punto, la sentenza impugnata ha motivato affermando espressamente la "assenza, nel ricorso in appello, di ulteriori doglianze circa il rispetto dei presupposti che, a mente del citato art. 25, legittimano il ricorso ai contratti a tempo determinato".

La ricorrente principale, quindi, anzichè limitarsi ad asserire genericamente che il profilo di nullità in esame era stato "riproposto nel ricorso in appello", avrebbe dovuto innanzitutto riportare il relativo contenuto, al fine di contestare, in modo autosufficiente, la affermazione della Corte di merito.

In mancanza di tutto ciò, e non essendo, peraltro, stato denunciato un error in procedendo, non è consentito a questa Corte un esame diretto dell’atto, per cui il motivo deve ritenersi inammissibile, in quanto privo di autosufficienza.

Passando, quindi, all’esame del ricorso incidentale, con il quale la società censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito, osserva il Collegio che, come questa Corte ha più volte affermato "nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo" (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonchè da ultimo Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, "è di per sè insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso" (v. da ultimo Cass. 15- 11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre "grava sul datore di lavoro", che eccepisca tale risoluzione, "l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro" (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre da ultimo Cass. 1- 2-2010 n. 2279).

Orbene, sul punto, la Corte di merito, dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità in materia, ha rilevato che nella specie "l’intervallo fra l’estromissione dal lavoro e la proposizione del presente giudizio per quanto rilevante – pari a poco meno di tre anni – non può apprezzarsi in concreto come circostanza utile per inferirne una volontà dismissiva del rapporto", precisando che "la fattispecie in esame non è connotata da alcun ulteriore elemento valutativo oltre all’inerzia della lavoratrice".

Tale accertamento di fatto, conforme al principio sopra richiamato, risulta congruamente motivato e resiste alla censura della ricorrente incidentale.

Infine, in ragione della soccombenza reciproca, le spese vanno compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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