Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-05-2012, n. 8288 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata in data 26-3-2004, il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma respingeva la domanda proposta da D. G. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato tra le parti per il periodo 2-8-2000/30-9-2000, per "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie", con la sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato e con la condanna della società al ripristino del rapporto e al risarcimento del danno, commisurato alle retribuzioni non corrisposte.

Il D. proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda.

La società si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 9-9-2009, rigettava l’appello e compensava le spese.

La Corte di merito in sintesi affermava la legittimità del contratto a termine de quo, tra l’altro ritenendo infondata l’eccezione secondo cui la clausola autorizzativa avesse ormai perso efficacia stante la scadenza del ccnl prevista dall’art. 87 dello stesso contratto collettivo.

Per la cassazione di tale sentenza il D. ha proposto ricorso con quattro motivi.

La s.p.a. Poste Italiane ha resistito con controricorso.

Infine il D. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione dell’art. 87 del CCNL del 1994, lamenta che la Corte di merito, stravolgendo la chiara formulazione letterale della detta norma collettiva, erroneamente ha ritenuto che le parti collettive avrebbero disposto, al comma 2, la ultrattività dell’intero CCNL sino alla stipula del successivo, nonostante la chiara espressione contenuta nel comma 1, che ne ha fissato la scadenza al 31-12-1997.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 1362 c.c., comma 1, avendo la sentenza impugnata in sostanza contraddetto la comune intenzione delle parti, chiaramente indicata nel senso del "vigore fino al 31-12-1997".

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 1363 c.c., non avendo la Corte territoriale letto le due disposizioni contenute nell’art. 87 citato l’una per mezzo dell’altra, così attribuendo al comma 2 un significato avulso dal chiaro disposto contenuto nel comma 1 (ed intendendo l’espressione "dalla medesima data" come riferita al 31-12-1997 anzichè alla data di stipulazione).

Con il quarto motivo il ricorrente, denunciando violazione dell’art. 1367 c.c., rileva la palese contraddittorietà tra il "prevedere che alla data del 31-12-1997 il ccnl avrebbe perduto la sua efficacia e il "prevedere nella stessa norma che il ccnl avrebbe conservato la sua validità sino al rinnovo contrattuale" e deduce che "interpretare così il comma 1 significherebbe neutralizzarne ogni effetto".

I motivi, che in quanto connessi possono essere trattati congiuntamente, risultano fondati come di seguito.

Come è stato affermato da questa Corte e va qui ribadito, "i contratti collettivi di diritto comune, costituendo manifestazione dell’autonomia negoziale degli stipulanti, operano esclusivamente entro l’ambito temporale concordato dalle parti, atteso che l’opposto principio di ultrattività sino ad un nuovo regolamento collettivo – secondo la disposizione dell’art. 2074 cod. civ. – ponendosi come limite alla libera volontà delle organizzazioni sindacali, sarebbe in contrasto con la garanzia prevista dall’art. 39 Cost." (v. Cass. S.U. 30-5-2005 n. 11325).

Pertanto, come pure è stato affermato, "a seguito della naturale scadenza del contratto collettivo, in difetto di una regola di ultrattività del contratto medesimo, la relativa disciplina non è più applicabile, ed il rapporto di lavoro da questo in precedenza regolato resta disciplinato dalle norme di legge, salvo che le parti abbiano inteso, anche solo per facta concludentia, proseguire l’applicazione delle norme precedenti" (v. Cass. 2-2-2009 n. 2590).

Nella fattispecie la Corte di merito ha interpretato l’art. 87 del ccnl del 1994, ritenendo che le parti collettive abbiano "voluto disciplinare in maniera dettagliata non solo la vigenza della formazione pattizia ma anche il periodo di tempo successivo alla scadenza sino alla stipula del nuovo contratto collettivo nazionale".

Tale interpretazione non può condividersi, in quanto risulta contraddittoria e contraria sia al criterio letterale sia a quello sistematico.

L’art. 87 del CCNL 26-11-1994 recita testualmente:

"1. Fatte salve le diverse decorrenze espressamente indicate per i singoli istituti, il presente contratto ha decorrenza dalla data della stipulazione e rimarrà in vigore fino al 31 dicembre 1997. 2. Dalla medesima data il rapporto di lavoro del personale dell’Ente è disciplinato dal codice civile – libro 5^ – dalle leggi che regolano il rapporto di lavoro nell’impresa, dal regolamento d’azienda, dal presente contratto e dal contratto individuale.

3. La parte relativa al trattamento economico scadrà il 31 dicembre 1995.".

La volontà delle parti collettive, in merito al primo contratto collettivo nazionale del rapporto di lavoro privatizzato dei dipendenti dell’Ente Poste Italiane, è chiara sia nelle singole espressioni letterali sia nel suo complesso.

La decorrenza del contratto, salve diverse decorrenze espressamente indicate per singoli istituti, è quella della data di stipula e la scadenza prevista è quella del 31-12-1997. Il comma secondo, che non può essere letto isolatamente e per di più falsando il riferimento temporale iniziale (così, in sostanza, intendendo la "medesima data" come quella di scadenza anzichè quella di decorrenza), si sviluppa chiaramente sulla premessa di cui al comma 1 e nel contesto della privatizzazione del rapporto, di guisa che è evidente che è dalla data di stipulazione e di decorrenza del contratto collettivo che il rapporto di lavoro del personale dell’Ente è soggetto alla disciplina privatistica di legge e del contratto collettivo stesso.

In tal modo, soltanto, il comma 2 non risulta in contraddizione con il primo, ed assume un chiaro senso logico-sistematico, all’interno della privatizzazione (anche sostanziale) del rapporto.

Del resto, pur dopo la trasformazione dell’Amministrazione postale in ente pubblico economico (D.L. n. 487 del 1993, art. 1 conv. in L. n. 71 del 1994), ai rapporti di lavoro tra l’Ente ed i propri dipendenti doveva ritenersi ancora applicabile, sino alla data di stipulazione del contratto collettivo di lavoro (avvenuta, nella specie, il 26-11- 1994), la precedente normativa pubblicistica, in virtù dell’art. 6 del D.L. citato (v. fra le altre Cass. S.U. 1-4-1999 n. 205), che ha disposto "un assetto transitorio della normativa sostanziale", senza escludere la natura privatistica del rapporto e senza incidere sulla giurisdizione del giudice ordinario (v. fra le altre Cass. S.U. 7-7- 1999 n. 388, Cass. S.U. 6-6-2002 n. 8237, Cass. S.U. 27-11-2002 n. 16840, Cass. S.U. 3-3-2003 n. 3152, Cass. S.U. 27-4-2005 n. 8691).

In tale quadro ed in ossequio al disposto di legge, le parti collettive hanno, quindi, semplicemente fissato la decorrenza del ccnl contestualmente alla data di stipulazione, coincidente con la decorrenza della disciplina sostanziale privatistica.

Deve quindi disattendersi la interpretazione secondo cui le parti stesse, con l’art. 87, comma 2 citato, abbiano voluto, fin dall’inizio, disporre una ultrattività del contratto collettivo, come affermato dalla Corte di merito.

Ciò non esclude, però, che le stesse parti collettive abbiano, eventualmente, anche solo per facta concludentia, proseguito nella applicazione del contratto collettivo pur dopo la scadenza fissata (v. Cass. 2590/2009 sopra richiamata), di guisa che comunque ben possono assumere rilevanza il comportamento successivo delle parti medesime e gli accordi successivamente intercorsi (sul tema specifico v., fra le altre, Cass. 1-3-2011 n. 4990).

In tali sensi va, quindi, accolto il ricorso e la impugnata sentenza va cassata, con rinvio alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione, la quale, statuendo anche sulle spese di legittimità, sulla base delle rituali allegazioni e prove delle parti, provvederà attenendosi ai principi sopra richiamati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2012

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