Cassazione civile anno 2005 n. 1093 Aiuti e benefici Riassunzione Ordinanza ingiunzione di pagamento

AGRICOLTURA

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
X X e la X X & C. s.r.l. proponevano opposizione innanzi al Pretore di Agrigento avverso l’ordinanza-ingiunzione emessa dal Ministero delle politiche agricole e forestali in data 18 novembre 1996, con la quale era stata loro irrogata la sanzione amministrativa pecuniaria di L. 3.254.840.066, ai sensi dell’art. 3, comma 2, legge n. 898 del 1986, per indebita percezione di aiuti comunitari negli anni 1988, 1989, 1990, 1991.
Il Pretore di Agrigento, con sentenza del 15 settembre 1997, accoglieva l’opposizione ed annullava l’ordinanza-ingiunzione.
Per la cassazione di questa sentenza proponeva ricorso il succitato Ministero e, all’esito del giudizio, questa Corte, con sentenza del 4 agosto 2000, n. 10236, cassava la pronuncia, rinviando la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Agrigento.
Gli intimati riassumevano il giudizio e all’esito il Tribunale di Agrigento, dichiarata la contumacia dell’opposto Ministero, riteneva la nullità della notifica dell’ordinanza-ingiunzione e, per l’effetto, accoglieva l’opposizione, condannando l’opposto al pagamento delle spese processuali.
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso il Ministero delle politiche agricole e forestali, affidato a tre motivi; ha resistito con controricorso X X, che ha altresì proposto ricorso incidentale, con il quale, "solo qualora e per qualsiasi motivo si ritenga di cassare la sentenza", ha "riproposto tutti gli altri motivi di ricorso avverso la ordinanza-ingiunzione"; non ha svolto difese l’intimata X X & C. s.r.l.

Motivi della decisione
1. – Il ricorrente, con il primo motivo di censura, denuncia "violazione e falsa applicazione dell’art. 11 del r.d. 16/11/1933/ 23 L. 689/1981 e del loro combinato disposto in relazione all’art. 360 primo comma n. 3, c.p.c.", deducendo che, a seguito della sentenza di questa Corte n. 10236 del 2000, il giudizio è stato malamente riassunto innanzi al Tribunale di Agrigento, in quanto il relativo atto, ex art. 11, r.d. n. 1611 del 1933, avrebbe dovuto essere notificato all’Amministrazione presso l’Ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’autorità giudiziaria competente, nella persona del Ministro p.t. Questa regola, a suo avviso, è applicabile anche nei giudizi di opposizione all’ordinanza – ingiunzione che irroga una sanzione amministrativa nei quali il patrocinio dell’Amministrazione è stato assunto dall’Avvocatura erariale, sicchè dovrebbe ritenersi erronea la dichiarazione di contumacia, con conseguente nullità della sentenza impugnata.
Il Ministero, con il secondo motivo, denuncia "violazione falsa applicazione dell’art. 384, c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. Nullità della sentenza in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c.", in quanto il Tribunale non avrebbe tenuto conto delle caratteristiche del giudizio di rinvio, "processo chiuso e vincolato al dictum della Suprema Corte", la quale, con la sentenza n. 10236 del 2000, ha esaminato e deciso la questione della ritualità della notifica del verbale di contestazione alla persona fisica, responsabile della violazione, effettuata a mani del figlio. La sentenza ha, invece, giudicato della ritualità della notifica "ex art. 245 c.p.c." (recte, art. 145, c.p.c.) dell’ordinanza-ingiunzione (e non del processo verbale di constatazione) alla persona giuridica (e non alla persona fisica).
Pertanto, secondo il ricorrente, "dal carattere vincolante che si traduce nell’obbligo per il giudice di rinvio di uniformarsi al principio enunciato dalla Cassazione, come parametro per la decisione della causa, discende la nullità della sentenza anche sotto il profilo della omessa motivazione". Il ricorrente, con il terzo motivo, denuncia "violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 384 e 132 n. 4 c.p.c. Nullità della sentenza in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 c.p.c.", poichè la sentenza n. 10236 del 2000 di questa Corte avrebbe rinviato la causa anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità, che lo ha visto vittorioso.
La sentenza impugnata ha, invece, omesso di pronunciare sul punto e, inoltre, lo ha condannato alle spese del giudizio di rinvio, liquidandole nella misura di L. 35.000.000 "globalmente", senza distinguere le somme dovute per spese, competenze ed onorari e senza il richiamo ad una eventuale nota spese – neppure prodotta dall’opponente – con modalità illegittima, in quanto non permette il controllo del rispetto dei minimi tariffari.
1.1. – X X ha proposto ricorso incidentale, "solo qualora e per qualsiasi motivo si ritenga di cassare la sentenza", "riproponendosi tutti gli altri motivi di ricorso avverso l’ordinanza- ingiunzione impugnata, sui quali non vi è stata decisione da parte del giudice di merito". 2. – I ricorsi avendo ad oggetto la stessa sentenza vanno riuniti ex art. 335, c.p.c..
3. – In linea preliminare, va osservato che il ricorso è stato notificato anche nei confronti della X X & C. s.r.l., ma, in tale parte, va dichiarato inammissibile. Al riguardo occorre premettere che, in riferimento alle sanzioni amministrative, esiste tra la persona giuridica ed il suo rappresentante un vincolo di solidarietà (art. 6, comma 3, legge n. 689 del 1981), con conseguente autonomia della posizione dei singoli obbligati in solido, tra i quali non può sussistere litisconsorzio necessario (Cass. n. n. 14635 del 2001; n. 1144 del 1998; n. 6773 del 1996, n. 6549 del 1993, n. 1318 del 1992; con specifico riferimento alle sanzioni amministrative irrogate per indebita percezione di aiuti comunitari da parte di un ente persona giuridica, Cass. n. 5085 del 2000). Nel caso in esame, la pronuncia del Pretore di Agrigento del 15 settembre 1997, oggetto della sentenza di questa Corte n. 10236 del 2000, annullò l’ordinanza-ingiunzione con la quale era stato ingiunto il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria ad "X X nella sua qualità di socio con procura di amministratore della s.r.l. X X & C2" nonchè "in solido alla s.r.l. X X & C.", all’esito dell’opposizione proposta sia dalla persona fisica che dalla s.r.l. Il Ministero delle politiche agricole e forestali propose ricorso per Cassazione avverso detta pronuncia, formulando due motivi, con i quali, rispettivamente, eccepì: che il Pretore aveva ritenuto la nullità del processo verbale di contestazione "senza considerare che, comunque, la notifica doveva ritenersi rituale nei confronti del socio amministratore X X" (primo motivo); che erroneamente "la notifica del succitato verbale alla società (era) stata ritenuta illegittima" (secondo motivo).
Questa Corte, con la sentenza n. 10236 del 2000, ha ritenuto "i due motivi (…) fondati nei limiti di cui alle (…) considerazioni" svolte. In particolare, la sentenza ha premesso che il processo verbale di contestazione "pur riguardando (come la successiva ordinanza-ingiunzione) due soggetti, e cioè la s.r.l. X X, nonchè l’omonimo socio con procura di amministrazione, è stato notificato in una sola copia, non presso la sede legale della società …), ma presso la pretesa sede effettiva (…) a mani del figlio del ‘procuratore generale" La pronuncia ha quindi osservato che "il Pretore agrigentino ha accolto l’opposizione per nullità della notifica del processo verbale di contestazione, ritenendo che l’Amministrazione opposta non avesse dato la prova della residenza effettiva della società ingiunta, ove la notifica era avvenuta: e, trattandosi della notifica di un atto amministrativo, questa Corte non può sindacarne la legittimità e deve arrestarsi davanti all’accertamento pretorile".
La sentenza ha, invece, rimarcato che il Pretore "nulla ha detto per quanto riguarda la notifica nei confronti del rappresentante legale fin proprio, che, come persona fisica, è il responsabile dell’infrazione contestata, essendo quella della persona giuridica una responsabilità meramente solidale", sicchè occorreva "verificare se la notifica effettuata a mani del figlio di X X potesse ritenersi valida nei confronti di quest’ultimo". Questa Corte ha quindi sottolineato che "sul punto non esiste pronuncia del giudice a quo e tale omissione dovrà essere sanata dal giudice di rinvio, a seguito dell’accoglimento, per quanto di ragione, del ricorso e conseguente cassazione dell’impugnata sentenza". Nel dispositivo è stato, quindi, ribadito che "la Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione".
La sintesi dei passi salienti della sentenza n. 10236 del 2000 permette, quindi, di affermare che la cassazione della sentenza ha avuto ad oggetto esclusivamente il capo della sentenza del Pretore di Agrigento concernente l’opposizione proposta da X X, risultando invece confermato quello avente ad oggetto l’opposizione proposta dalla s.r.l. Pertanto, la sentenza n. 10236 del 2000 ha soltanto parzialmente cassato la pronuncia del Pretore di Agrigento, così che deve ritenersi formato il giudicato sulla statuizione concernente l’annullamento dell’ordinanza-ingiunzione nella parte concernente la s.r.l., nonchè su quello dipendente concernente la pronuncia sulle spese in riferimento a detta società, dato che il principio dell’art. 336, cod. proc. civ., non trova applicazione con riguardo a quei capi che abbiano formato oggetto di impugnazione, ove questa sia stata rigettata, giacchè in tal caso su tali capi si forma il giudicato e l’interdipendenza tra essi e le altre statuizioni la cui impugnazione sia stata accolta è esclusa dalla stessa decisione sul gravame (Cass., n. 12785 del 1992). Dunque, parti del giudizio devono ritenersi esclusivamente X X – che è stato il solo a riassumere il giudizio, non avendo, correttamente, il Tribunale neppure disposto la notificazione del ricorso alla società, neanche costituita – e l’attuale ricorrente, con conseguente inammissibilità del ricorso nei confronti della società. 4. – Il primo motivo del ricorso principale è fondato e va accolto.
Il ricorrente ha con specificità dedotto che lo "atto di riassunzione non è stato ritualmente e correttamente notificato", in quanto "secondo l’art. 11 del T.U. 16/11/1933 avrebbe dovuto essere notificato all’Amm.ne presso l’Ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’autorità giudiziaria dinanzi alla quale è portata la causa, nella persona del Ministro in carica p.t.", ciò che, implicitamente, eppure chiaramente ha sostenuto non sia accaduto. Egli ha, quindi, assunto che il mancato rilievo della irrituale notificazione dell’atto di riassunzione avrebbe determinato la "erroneità della dichiarazione di contumacia contenuta nella sentenza e la nullità di tutta l’attività processuale espletata come pure della sentenza gravata".
La sintesi del motivo dimostra che il ricorrente ha enunciato le ragioni di diritto per cui, a suo avviso, la sentenza avrebbe violato la norma, che pure ha avuto cura di indicare, ed è appunto questa esposizione che chiarisce e qualifica sotto il profilo giuridico il contenuto della censura (Cass., n. 3941 del 2002) e, avendo denunciato la "nullità di tutta l’attività processuale", ha fatto valere un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia, essendo irrilevante, al fine dell’ammissibilità, la non corretta menzione dell’ipotesi appropriata (art. 360, n. 3, c.p.c., in luogo del n. 4, Cass., n. 4349 del 2000).
Pertanto, è infondata l’eccezione con la quale il controricorrente ha contestato l’ammissibilità della censura, sotto il profilo della sua asserita, ma insussistente, genericità. Inoltre, risulta chiaro che il ricorrente, lamentando che il ricorso non è stato notificato presso l’Ufficio dell’Avvocatura distrettuale ha, in buona sostanza, e in radice, dedotto in linea generale la mancanza di una rituale notificazione dell’atto di riassunzione, sicchè la delibazione della censura impone appunto di accertare se l’atto introduttivo sia stato o meno validamente notificato.
Nel merito, occorre premettere che, come già esposto nella narrativa, la sentenza impugnata è stata emessa all’esito del giudizio di rinvio conseguente dalla sentenza di questa Corte 4 agosto 2000, n. 10236, che, pronunciando sul ricorso proposto avverso la sentenza che aveva annullato l’ordinanza-ingiunzione emanata nei confronti del controricorrente e dell’intimato, ha cassato quest’ultima pronuncia, rinviando la causa al Tribunale di Agrigento.
Ciò premesso va ricordato che, relativamente alle modalità di riassunzione del giudizio, questa Corte, in una fattispecie analoga a quella qui in esame, ha affermato che, qualora l’Amministrazione si sia costituita in giudizio con l’assistenza dell’Avvocatura dello Stato, l’atto di riassunzione non può esserle notificato personalmente, in quanto "nei giudizi di opposizione all’ordinanza – ingiunzione con la quale sia stata irrogata una sanzione amministrativa, gli atti possono essere notificati all’autorità che ha emanato l’ordinanza solo quando questa si sia fatta rappresentare da un proprio funzionario", e ciò anche nel giudizio di rinvio, nonostante il disposto dell’art. 392, secondo comma, cod. proc. civ., in quanto il patrocinio dell’Avvocatura ha portata generale (art. 11, r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611) e non soffre eccezione neppure in tale ipotesi" (Cass., n. 6321 del 1996; analogamente, in seguito, Cass., n. 2501 del 2000, in riferimento alla riassunzione successiva ad una dichiarazione di incompetenza).
Nella fattispecie, dall’esame degli atti, che deve ritenersi consentito avendo denunciato il ricorrente un error in procedendo, risulta che l’atto di riassunzione non è stato regolarmente notificato. Al riguardo occorre premettere che, nella controversia avente ad oggetto l’opposizione all’ordinanza-ingiunzione, di irrogazione di sanzioni amministrative, la riassunzione della causa, a seguito del rinvio disposto dalla sentenza della Corte di Cassazione, va effettuata nelle forme di detto rito, e cioè anzichè mediante citazione, mediante deposito di ricorso nella cancelleria del giudice di rinvio e, dovendo essere osservate le norme stabilite per detto procedimento (art. 394, cod. proc. civ.), alle notificazioni ed alle comunicazioni "si provvede d’ufficio" (art. 23, nono comma, legge n. 689 del 1981) e, in particolare, il ricorso ed il decreto di fissazione dell’udienza di comparizione adottato dal giudice "sono notificati" alle parti (art. 23, secondo comma, cit., concernente il ricorso in opposizione ed applicabile, in parte qua, al ricorso in riassunzione).
Dagli atti risulta che X X ha depositato ricorso per la riassunzione nella cancelleria del giudice a quo, il quale, con decreto steso in calce al ricorso, ha fissato l’udienza di comparizione e, inoltre, ha cosi disposto: "manda alla cancelleria (…) per la comunicazione del presente provvedimento e del ricorso che precede, alla parte istante ed al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, per Legge domiciliato presso l’Avvocatura distrettuale di Palermo". Tuttavia, dagli atti, esaminati dal Collegio, non si rinviene la prova della notificazione di detto decreto, nell’osservanza delle prescrizioni nel medesimo fissate, in quanto dagli stessi risulta invece soltanto che, su richiesta del collaboratore di cancelleria del 27/10/2000, è stato notificato esclusivamente lo "avviso di fissazione di udienza di prima comparizione" nel quale la data dell’udienza è peraltro erroneamente indicata in quella del 24 gennaio 2000. Si tratta di un atto che, evidentemente, non è idoneo ad instaurare validamente il contraddittorio, in quanto la notificazione del solo avviso recante la mera indicazione della data dell’udienza non è affatto equivalente alla notificazione del ricorso in surrogazione e non può considerarsi a questa equivalente. L’atto di riassunzione della causa in sede di rinvio introduce infatti una autonoma fase del giudizio, soggetta alle norme concernenti il corrispondente procedimento e deve contenere gli elementi per questo previsti (Cass., n. 1918 del 2000;
n. n. 3617 del 1988, sia pure riferita al caso della riassunzione mediante citazione) ed è questo che perciò deve essere necessariamente notificato alla parte, allo scopo di permettergli l’esercizio del diritto di difesa, così come stabilito dall’art. 23, legge n. 689 del 1981 per l’atto introduttivo del giudizio. Inoltre, l’Amministrazione non si era costituita nel giudizio e, quindi, il Tribunale non poteva ritenere raggiunto lo scopo dell’atto e sanata la nullità, dato che la notificazione del succitato avviso non era per nulla idonea a portare a conoscenza della convenuta tutte le questioni sollevate dall’opponente, cosi da porla in grado di svolgere le opportune difese, restando esclusa la possibilità di fare riferimento alla costituzione nella precedente fase (Cass., n. 15489 del 2000). Ed invece, dal verbale dell’udienza del 24 gennaio 2001 risulta che il giudice del merito si è limitato a prendere atto "dell’avvenuta notifica del provvedimento con il quale è stata fissata l’udienza di rinvio" ed ha quindi "dichiarato la contumacia" del Ministero, non tenendo conto che la notificazione di questo atto non poteva ritenersi idonea alla valida instaurazione del contraddittorio.
Pertanto, poichè l’atto di riassunzione non è stato ritualmente notificato, non potendo ritenersi tale la notificazione del solo avviso di fissazione dell’udienza, e l’Amministrazione non si è costituita deve ritenersi che il giudizio non è stato regolarmente instaurato ed erroneamente è stata dichiarata la contumacia dell’amministrazione, in quanto il Tribunale di Agrigento, avrebbe dovuto rilevare la nullità dell’atto; e, poichè quest’ultima era stato determinata da un errore dell’ufficio, avrebbe dovuto disporre la rinnovazione della notificazione. Questa Corte, avendo accertato che, nonostante la nullità, il giudizio è proseguito ed essendo stata dedotta la relativa questione, deve quindi dichiarare la nullità e cassare la sentenza impugnata con rinvio, in quanto il termine dell’art. 392, cod. proc. civ., deve ritenersi osservato con il deposito del ricorso in riassunzione (in riferimento al caso del giudizio introdotto con ricorso, sia pure nella materia del lavoro, Cass., n. 5480 del 1995).
Dal carattere preliminare di questo motivo di censura deriva l’assorbimento degli ulteriori motivi di censura.
Infine, va dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, costituendo la positiva valutazione in ordine alla sua ammissibilità presupposto della eventuale dichiarazione di assorbimento (Cass., n. Cass., n. 123444 del 2003; Conforme, Cass., n. 8732 del 2001).
Secondo un principio più volte affermato da questa Corte, il ricorso incidentale, anche se condizionato, deve essere infatti giustificato da un interesse il cui presupposto è costituito da una situazione sfavorevole al ricorrente, cioè una soccombenza (Cass., n. 9637 del 2001; n. 4756 del 1999), situazione inesistente se, come è accaduto nel caso in esame, la sentenza impugnata con il ricorso per Cassazione non abbia esaminato le domande ed eccezioni proposte dalla parte in quanto assorbite dalla decisione di una questione preliminare (Cass., n. 5681 del 2003; n. 3908 del 2000; n. 8924 del 1998), in quanto esse, accolto il ricorso principale, possono essere riproposte nel giudizio di rinvio.
In conclusione, in accoglimento del primo motivo del ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa innanzi al Tribunale di Palermo, che provvederà anche in ordine alle spese di lite della presente fase; gli ulteriori motivi del ricorso principale restano assorbiti e vanno dichiarati inammissibili sia il ricorso principale proposto nei confronti della X X & C. s.r.l., sia il ricorso incidentale.

P. Q. M.
La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale nei confronti di X X, dichiara assorbiti i restanti motivi, dichiara inammissibile il ricorso principale nei confronti della X X & C. s.r.l., dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Palermo anche per le spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2005

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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