Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-05-2012, n. 8286 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con ricorso al giudice del lavoro di Grosseto, G.A. esponeva di essere stata assunta con contratto di lavoro a tempo determinato da Poste Italiane s.p.a. per il periodo 1.02-30.04.02 "per esigenze tecniche, organizzative e produttive, anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi rimprendendo un più funzionale ricollocazione del personale sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi, nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17/18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio 2002".

Ritenendo illegittima l’apposizione del termine, detta dipendente chiedeva che venisse dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, oltre il risarcimento del danno.

2.- Accolta la domanda e proposto appello da Poste italiane s.p.a., la Corte di appello di Firenze con sentenza depositata il 12.10.09 rigettava l’impugnazione. La Corte di appello riteneva che, in violazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1, comma 2, le ragioni effettive per le quali era stato apposto il termine non fossero state specificate, mancando la descrizione delle concrete esigenze datoriali che avevano suggerito la stipula di un contratto a termine, nonchè ogni riferimento al nesso esistente tra dette esigenze e l’assunzione.

3.- Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione Poste Italiane. Si difende con controricorso G..

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

4.- I motivi dedotti da Poste Italiane possono essere sintetizzati come segue.

4.1.- Con il primo motivo è dedotta violazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1, e carenza di motivazione.

Premesso che la disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato contenuta nel D.Lgs. n. 368 del 2001, attuativo della direttiva 1999/70/CE, ha fatto venir meno il carattere eccezionale di tale tipo di assunzione, la ricorrente lamenta che il giudice non abbia immotivatamente preso in considerazione la causale del contratto, nel quale erano enunziate per iscritto le esigenze specifiche prese poste a suo fondamento. Ove avesse considerato che l’assunzione del lavoratore, era stata motivata con l’esigenza di dare attuazione ad una serie di accordi sindacali sulla mobilità introaziendale e che erano venute meno non solo la rigida tipizzazione della L. n. 230 del 1962, ma anche il sistema di predeterminazione contrattuale previsto dalla L. n. 56 del 1987, il giudice avrebbe dovuto ritenere soddisfatta l’esigenza di specificazione richiesta dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2.

Il riscontro oggettivo di tale specificazione, inoltre, avrebbe potuto essere compiutamente realizzato mediante l’espletamento dei mezzi istruttori offerti dal datore di lavoro.

4.2.- Con il secondo motivo è dedotta violazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1, ed errar in procedendo, contestandosi un passaggio della motivazione della sentenza impugnata, in cui il giudice, nel ricostruire il tenore della disciplina normativa applicabile, ne delinea la coerenza costituzionale. La società ricorrente contesta l’affermazione che il datore dovrebbe indicare il nominativo del lavoratore da sostituire con contratto a termine per "ragioni sostitutive" e, afferma che, comunque, l’azienda ricorre alle assunzione a termine non con riferimento al caso singolo, bensì tenendo conto di macro dati nazionali.

4.3.- Con il terzo motivo è dedotta violazione dell’art. 2607 c.c., avendo il giudice accolto la richiesta di risarcimento senza che il lavoratore avesse offerta prova del danno sofferto.

4.4.- Con il quarto motivo è dedotta carenza di motivazione, in quanto il quanto il giudice avrebbe omesso di prendere in considerazione l’eccezione di aliunde perceptum proposta dal datore di lavoro.

5.- Il Collegio ritiene opportuno trattare in unico contesto i primi due motivi, in quanto entrambi diretti contro l’interpretazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1, accolta dal giudice di merito. Al riguardo preme precisare preliminarmente che la discussione deve essere depurata delle doglianze avanzate dalla ricorrente a proposito del concetto di ragioni sostitutive accolto dalla Corte di appello. Le censure in questione vanno, infatti, a colpire valutazioni espresse dal giudice solo in via incidentale ed inserite nel testo della motivazione solo per offrire il panorama intero della problematica inerente l’argomento, che non sono però conferenti con l’oggetto del contendere, che è costituito dalla legittimità del termine apposto per "esigenze tecniche, organizzative e produttive". 6.- Tanto premesso, deve rilevarsi che il D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, recante l’attuazione della direttiva 1999/70 CE, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEP e dal CES, costituisce la nuova fonte regolatrice del contratto di lavoro a tempo determinato, in sostituzione della L. 18 aprile 1962, n. 230 e della successiva legislazione integrativa.

Il legislatore nazionale, nell’adempiere al suo obbligo comunitario, ha emanato il D.Lgs. n. 368, il quale nel testo originario, vigente all’epoca del contratto ora in questione, all’art. 1 prevede che "è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo" (comma 1) e che "l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1" (comma 2).

Contestualmente al recepimento dell’accordo-quadro il D.Lgs. n. 368 ha disposto dalla data della propria entrata in vigore (24.10.01) l’abrogazione della L. 18 aprile 1962, n. 230, della L. 25 marzo 1983, n. 79, art. 8 bis, della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, e di tutte le disposizioni di legge incompatibili (art. 11, comma 1).

Il quadro normativo che emerge è, dunque, caratterizzato dall’abbandono del sistema rigido previsto dalla L. n. 230 del 1962 – che prevedeva la tipizzazione delle fattispecie legittimanti, peraltro già ripensato dalla successiva normazione delle L. n. 79 del 1983, e della L. n. 56 del 1987, art. 23, – e dall’introduzione di un sistema articolato per clausole generali, in cui l’apposizione del termine è consentita a fronte "di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo". Tale sistema, al fine di non cadere nella genericità, impone al suo interno un fondamentale criterio di razionalizzazione costituito dal già rilevato obbligo per il datore di lavoro di adottare l’atto scritto e di "specificare" in esso le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo adottate.

L’onere di "specificazione" nell’atto scritto costituisce una perimetrazione della facoltà riconosciuta all’imprenditore di far ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato per soddisfare una vasta gamma di esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o aziendale), a prescindere da fattispecie predeterminate. Tale onere ha lo scopo di evitare l’uso indiscriminato dell’istituto per fini solo nominalmente riconducibili alle esigenze riconosciute dalla legge, imponendo la riconoscibilità della motivazione addotta già nel momento della stipula del contratto. D’altro canto il venir meno del sistema delle fattispecie legittimanti impone che il concetto di specificità sia collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma obiettive, con riferimento alle realtà in cui il contratto viene ad essere calato (v. Cass. 1.02.10 n. 2279).

7.- Non è sufficiente, dunque, a qualificare le ragioni per le quali è stata disposta l’assunzione a termine la mera indicazione di esigenze produttive ed organizzative, essendo necessaria che di tali esigenze si "specifichi" congruamente la natura.

La già richiamata giurisprudenza (sentenza n. 2279 del 2010 ed altre che l’hanno seguita), privilegiando la scelta del legislatore Europeo di ampliare la considerazione delle fattispecie legittimanti l’apposizione del termine, ha concesso tuttavia un’importante apertura, ritenendo possibile che la specificazione delle ragioni giustificatrici risulti dall’atto scritto non solo per indicazione diretta, ma anche per relationem, ove le parti abbiano richiamato nel contratto di lavoro testi scritti che prendono in esame l’organizzazione aziendale e ne analizzano le complesse tematiche operative.

E’ quanto nella sostanza la ricorrente sottolinea essere avvenuto nel caso di specie, in cui l’atto scritto di assunzione, dopo alcuni generici riferimenti ai processi di riorganizzazione aziendale, concretizza le "esigenze tecniche, organizzative e produttive" nella "attuazione delle previsioni di cui agli accordi 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002". Da tali accordi, che costituiscono un momento di esame comune delle parti sindacali delle esigenze organizzative e di cui sono riportati ampi stralci nel ricorso, secondo la ricorrente si desumerebbe l’esistenza di processi di mobilità introaziendale che legittimerebbero il ricorso alle assunzioni a termine, quale momento di riequilibrio territoriale e funzionale delle risorse umane.

Il giudice di merito, pur dando atto dell’intervento del D.Lgs. n. 368 del 2001, si limita ad un superficiale giudizio di genericità delle motivazioni addotte a giustificazione del contratto, senza procedere alla valutazione del grado di specificità delle ragioni indicate secondo la metodologia sopra indicata. La giurisprudenza di questa Corte ha, invece, ritenuto necessario che – di fronte ad una complessa enunciazione delle ragioni adottate a legittimazione dell’apposizione del termine – l’esame del giudice di merito deve estendersi a tutti gli elementi di specificazione emergenti dal contratto allo scopo di acclararne l’effettiva sussistenza, ivi ricomprendendo l’analisi degli accordi collettivi sopra indicati (v. la citata sentenza 2279 del 2010).

Essendosi – come già evidenziato – la Corte di appello sottratta a questo compito, la censura è fondata e comporta l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso, nei limiti più sopra precisati.

8.- Accolti i primi due motivi, ed assorbiti gli altri due, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio al giudice indicato in dispositivo per un nuovo esame della causa.

Tale esame, tenuto conto che l’onere di provare le ragioni obiettive poste a giustificazione della clausola appositiva del termine grava sul datore di lavoro e deve essere assolto sulla base delle istanze istruttorie dallo stesso formulate (v. la citata Cass. n. 2279 del 2010), dovrà articolarsi nella previa valutazione della esistenza o meno del grado di specificazione richiesto dalla legge – tenendo conto di tutti gli elementi di valutazione sopra evidenziati – e, in caso di positivo accertamento, nella successiva verifica dell’effettiva ricorrenza nel caso concreto degli elementi di fatto che danno corpo alla ragioni di assunzione per come sono specificate.

9.- Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 1 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2012

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