Cass. civ. Sez. II, Sent., 28-05-2012, n. 8499

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Svolgimento del processo

L’ente Parrocchia San Bartolomeo Badia al Pino – d’ora in poi, per brevità, indicata come "Parrocchia" – citò nel 1997 innanzi al Tribunale di Arezzo C.A. chiedendo che venissero eliminate alcune aperture – danti luogo ad illegittime vedute – eseguite dal primo su un edificio di proprietà e sul muro confinario, a distanza inferiore alla legale, rispetto alla particella 124, di proprietà della Parrocchia; il convenuto contestò che quest’ultima potesse vantare un titolo che la legittimasse alla proposizione dell’azione; l’adito Tribunale, integrato il contraddittorio con P.G., comproprietaria della particella ove sorgeva l’edificio in cui erano state praticate le aperture ritenute irregolari, accolse la domanda dell’ente parrocchiale limitatamente ad una sola apertura, respingendo l’eccezione di carenza di legittimazione dei convenuti, osservando che, avendo la Parrocchia agito in negatoria servitutis, la prova del titolo che l’avrebbe a ciò legittimata sarebbe stata meno rigorosa rispetto a quella necessaria in caso dell’esercizio di un’azione di revindica, essendo a ciò sufficiente la dimostrazione del possesso dell’indicata particella n. 124 in forza di valido titolo che, nella fattispecie, era costituito da un decreto vescovile del 27/11/89 – trascritto nel 1996 – con il quale l’allora Vescovo di (OMISSIS), in esecuzione dei poteri riconosciuti dalla L. n. 222 del 1985, art. 29, comma 4 aveva assegnato alla Prebenda parrocchiale una serie di immobili, tra i quali anche la particella in questione; giudicò poi il Tribunale che i convenuti non avrebbero dimostrato di esser titolari di un rapporto di natura obbligatoria o reale di compiere l’attività ritenuta lesiva.

Il C. e la P. impugnarono, con separati atti, tale decisione che venne riformata dalla Corte di Appello di Firenze con sentenza n. 158/2010 Giudicò il giudice dell’appello che, se pure la censura del C. – relativa alla mancata inclusione della particella n. 124 nella nota di trascrizione del decreto di trasferimento all’Istituto diocesano per il sostentamento del Clero – partiva da un dato di fatto esatto, tuttavia sarebbe stata irrilevante in quanto la trascrizione non poteva rivestire efficacia costitutiva del diritto dominicale; che tuttavia la proprietà della particella summenzionata sarebbe stata riscontrabile invece in capo al Conservatorio delle Monache di Ripoli di (OMISSIS), detto "delle Montalve", avente causa da certo M.R., giusta sentenza del Tribunale di Firenze del febbraio 1814, che avrebbe "affrancato" l’immobile da una congrua in favore della Chiesa Pievania della Badia al Pino ed a carico dello stesso M.R. – e, per discendenza successoria di parte del patrimonio di quest’ultimo, al suddetto Conservatorio delle "Montalve" – ; che non vi sarebbe neppure stata la prova della qualità di livellarla della Parrocchia e di concedente in capo al Conservatorio delle Montalve – giusta tardiva deduzione dalla medesima fatta in sede di memorie di replica alla conclusionale di appello – e neppure sarebbe stata fornita la dimostrazione del contenuto del contratto di livello.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Parrocchia, sulla base di tre motivi, cui hanno resistito i C. – P. con controricorso.

Motivi della decisione

1 – Con il primo ed il connesso secondo motivo la parte ricorrente assume l’omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio nonchè la violazione dell’art. 949 cod. civ. e dell’art. 112 c.p.c., rilevando che la Corte fiorentina avrebbe riconosciuto che la particella 124 – ove sorge l’area che sarebbe stata interessata dall’illegittima apertura della finestra da parte del C. – sarebbe stata di proprietà del Conservatorio delle "Montalve" attraverso la lettura degli asseriti passaggi di proprietà contenuti nel preambolo del rogito Gonnelli del 1967 – nonostante che non fosse stata depositata la documentazione alla quale il rogito faceva riferimento-omettendo però di valutare la valenza probatoria – favorevole alla propria legittimazione alla negatoria servitutis – da attribuire all’assegnazione vescovile, posta in essere trent’anni dopo; assume altresì la parte ricorrente che la Corte distrettuale avrebbe adottato una motivazione contraddittoria là dove, mentre avrebbe correttamente negato che potesse escludersi l’effetto traslativo del decreto vescovile per il sol fatto che la particella 124, in esso indicata, non fosse stata menzionata nella trascrizione del trasferimento L. n. 222 del 1985, ex art. 28, comma 1, del bene all’Istituto per il Sostentamento del Clero Cattolico, non avrebbe però tratto da tale argomentazione l’unica conclusione possibile: che cioè andava affermata l’efficacia traslativa dell’atto del presule, pervenendo così alla non condivisibile conseguenza di dare applicazione a quel rigore probatorio in materia dell’esistenza di un titolo di proprietà, proprio della -diversa e non esercitata – azione di revindica, che aveva espressamente riconosciuto non invocabile in sede di esercizio della legatoria servitutis. I due motivi non possono dirsi fondati.

2 – In primo luogo va ricondotto alla concreta fattispecie oggetto di scrutinio il principio, pur richiamato in sentenza e nel ricorso, a mente del quale, in tema di azione negatoria, la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e, se essa è contestata, la parte che agisce non ha l’onere di fornire, come nell’azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà, ma deve dare la dimostrazione, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, dell’esistenza di un titolo valido di proprietà del bene (così Cass. n. 1409/2007 cui adde ex multis: Cass. n. 9449/2009; Cass. n. 24028/2004; Cass. n. 10149/2004; Cass. n. 12166/2002; Cass. n. 4366/2002; Cass. n. 4120/2001): la Corte fiorentina ha infatti identificato il vero proprietario, all’epoca, del "resede" che avrebbe fornito alla Parrocchia la legittimazione ad agire, dunque a fronte di un’affermazione in positivo della terzietà del bene – rispetto alla quale non è stata sollevata censura di ultrapetizione – il principio del minor rigore probatorio del titolo dell’attrice in negatoria servitutis non poteva trovare applicazione.

2/a – Va poi rilevato, come dato di fatto, che la particella 124, mentre non è menzionata nella nota di trascrizione conseguente al trasferimento ex lege all’Istituto diocesano per il sostentamento del clero, sarebbe invece menzionata sia nel decreto di assegnazione del Presule alla Parrocchia – che il primo trasferimento presupponeva e richiamava nel preambolo – sia nella nota di trascrizione del 1996, ad esso conseguente: tali circostanze risultano : la prima, perchè oggetto di verifica in sede di appello; la seconda e la terza perchè emergenti dagli atti trascritti nel ricorso e in precedenza prodotti.

2/b – Posto ciò la sentenza qui in scrutinio ha richiamato la L. n. 222 del 1985, art. 28 che statuisce che sono estinti de jure e con riferimento al decreto di erezione dell’Istituto per il Sostentamento del Clero presso ciascuna diocesi – di cui all’art. 21 della citata legge – la mensa vescovile, i benefici capitolari, parrocchiali, vicariali curati o comunque denominati esistenti nella diocesi ed i loro patrimoni sono trasferiti di diritto all’istituto stesso: tale richiamo però non eliminava il presupposto dell’applicazione di tale trasferimento – e, quindi, il valore presuntivo della preesistenza di un diritto della Prebenda – vale a dire la inerenza del bene al patrimonio ecclesiale della Prebenda stessa.

2/c – Deve allora affermarsi che non sussiste il vizio di motivazione in quanto la Corte di Appello ha dunque, con motivazione non sottoponibile a censura in questa sede, in quanto non specificamente criticata nei suoi passaggi logici, vagliato i precedenti storici del passaggio di proprietà di quel piccolo appezzamento di terreno – di circa 720 mq – ed ha deciso che essi conducessero all’identificazione di diverso soggetto che potesse vantare diritti sulla resede in questione, vale a dire il Conservatorio delle Montalve – estinto, tra l’altro, per effetto della L. n. 176 del 1992, con devoluzione del suo patrimonio all’Università degli Studi di Firenze; la Corte fiorentina non è altresì incorsa in alcuna pretermissione di un elemento essenziale ai fini del decidere perchè ha dato una interpretazione degli atti – che, se pure solo richiamati nel rogito Gonnelli, certo non erano stati contestati nel loro contenuto – congrua e non contraddittoria; la scelta dunque di dar prevalenza ad un’emergenza istruttoria piuttosto che ad un’altra – vale a dire ai predetti titoli di provenienza piuttosto che al decreto di assegnazione del Vescovo – non appare suscettibile di censura in questa sede.

2/d – Va solo aggiunto che , accedendo alla tesi che appare sottesa ai motivi in esame, si giungerebbe a dare esclusiva prevalenza al decreto di assegnazione quale titolo di acquisto a titolo originario, inibendo qualunque controllo circa l’inerenza del bene all’ente ecclesiastico, estinto à sensi della L. n. 222 del 1985, art. 28 in contrasto con la lettera della disposizione normativa (cfr. il comma 1 della succitata norma " …ed i loro patrimoni sono trasferiti di diritto all’Istituto stesso") che presuppone che il trasferimento debba avere ad oggetto beni – se ed in quanto – appartenenti al patrimonio dell’ente estinto.

3 – Con il terzo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 949 e 2697 cod. civ. nonchè dell’art. 112 c.p.c. e l’insorgenza del vizio di contraddittoria motivazione, a cagione del fatto che il giudice dell’appello non avrebbe ritenuto provato il titolo – ulteriore rispetto a quello sopra descritto ma idoneo già da solo a legittimare l’esercizio della negatoria servitutis – che comunque la Parrocchia aveva addotto a sostegno del proprio buon diritto sulla particella 124, vale a dire il fatto di essere livellaria e quindi in posizione assimilata al proprietario; contesta in particolare l’assunto secondo il quale il livello non sarebbe stato provato – inteso sia come titolo negoziale che come oggetto del relativo contratto – dal momento che entrambe le parti ne avrebbero data per pacifica l’esistenza; sottolinea che la prova comunque avrebbe potuto esser fornita con ogni mezzo, in analogia a quanto affermato dalla L. n. 1766 del 1927, art. 2 sulla liquidazione degli usi civici.

3/ a – Anche questo motivo non è fondato perchè la Corte ha premesso la tardività della documentazione difensiva a sostegno dell’esistenza del livello e la inammissibilità in radice della eccezione difensiva, rendendo quindi assorbita ogni ulteriore analisi circa la esistenza – che non risulta accettata dai contro ricorrenti in alcun atto del processo, neppure richiamato nel ricorso – come pure il contenuto di siffatto livello.

4 – La ripartizione dell’onere delle spese segue la soccombenza e va regolata come indicato in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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