Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-06-2011) 16-11-2011, n. 42096

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.O. è stato tratto a giudizio davanti al giudice di pace di Rimini con l’imputazione di cui all’art. 594 c.p., perchè offendeva l’onore ed il prestigio di G.F., proferendo al suo indirizzo ed in sua presenza le seguenti frasi: "… che Cazzo vuoi … tu sei matto, a te non do proprio un cazzo… Togliti dalle palle… Non sei nessuno… Tu non sei niente, sei solo un prepotente..". Allo stesso veniva anche contestato il reato di cui all’art. 612 c.p., dal quale veniva però assolto.

Per il reato di ingiurie, invece, il prevenuto veniva condannato alla pena di Euro 600 di multa.

Contro la suddetta sentenza propone ricorso per cassazione il M., evidenziando due motivi di censura:

1. con il primo motivo deduce illogicità, contraddittorietà e carenza della motivazione, nonchè travisamento della prova, in riferimento alla sussistenza del reato di ingiuria. Secondo il ricorrente gli epiteti offensivi su cui è fondata l’imputazione si basano sulla dichiarazione della persona offesa e sul riscontro costituito dalla testimonianza dell’ispettore B., ma non trovano ulteriori riscontri testimoniali;

2. con il secondo motivo di ricorso deduce illogicità, contraddittorietà e carenza della motivazione, nonchè travisamento della prova, in riferimento alla ritenuta insussistenza della scriminante di cui all’art. 599 c.p.. Secondo il ricorrente l’ingiustizia deriverebbe dal fatto che il vigile si era presentato sul cantiere chiedendo le generalità agli operai, senza fornire alcuna giustificazione e soprattutto ponendo in essere un comportamento arbitrario, quantomeno secondo il convincimento dell’imputato, il quale riteneva che nelle mansioni del predetto vigile non rientrassero i controlli in materia edilizia.

Motivi della decisione

Con entrambi i motivi di ricorso il ricorrente denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione; si tratta di motivi infondati sia per la parte in cui si contesta l’esistenza di un apparato giustificativo della decisione, che invece esiste, sia per la parte in cui pretendono di valutare, o rivalutare, gli elementi probatori al fine di trame conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete.

Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (cfr. Cass. SS.UU. 1.06.2011, est. Fiandanese).

I motivi proposti, invece, tendono ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento.

Nel controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia logica e compatibile con il senso comune;

l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev’essere, inoltre, percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze. In secondo luogo, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio di motivazione, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (cfr. Cassazione penale, sez. 2^, 05 maggio 2009, n. 24847).

In relazione all’asserito travisamento della prova, trattasi di vizio che richiede, per la sua sussistenza, che un dato probatorio sia stato letto da parte del giudice di merito in modo tale da condurre all’affermazione dell’esistenza di una specifica circostanza oggettivamente esclusa dal risultato probatorio o alla negazione della sussistenza di una circostanza sicuramente risultante dalla prova. Deve trattarsi, quindi, di un errore che inquini la trama motivazionale dell’intero provvedimento stravolgendola al punto di disarticolarla, con la conseguenza di rendere "ictu oculi" errato il risultato decisorio raggiunto su un punto rilevante e perciò decisivo ai fini della decisione. Solo in tal caso, e sempre che dell’errore il ricorrente abbia fatto una precisa e specifica individuazione tra gli atti del processo, indicando alla Corte, con assoluto rigore, la sua precisa collocazione "topografica", è possibile al giudice di legittimità esaminare quell’atto e procedere all’annullamento della sentenza, ove sia rilevata l’esattezza della deduzione del ricorrente (Cassazione penale, sez. 6^, 13 marzo 2009, n. 26149).

Passando velocemente ad esaminare i due motivi di ricorso, si rileva, quanto al primo, che l’affermazione per cui la prova delle frasi offensive risiede nelle dichiarazioni della persona offesa e dell’ispettore B., senza alcuna ulteriore riscontro, è priva di alcun rilievo, essendo più che sufficiente a fondare un giudizio di colpevolezza la testimonianza della persona offesa, ove ne sia vagliata la sua attendibilità, tanto più se questa risulta confermata dalle dichiarazioni di altro testimone. Nè si deve dimenticare che gli altri testi escussi al dibattimento non hanno escluso la condotta ingiuriosa, ma hanno semplicemente affermato di non aver assistito o di non aver sentito cosa si dicevano le parti.

Quanto al secondo motivo di ricorso, non è assolutamente condivisibile l’affermazione del ricorrente, secondo cui emergerebbe con evidenza il comportamento arbitrario della persona offesa (cfr. pag. 5 del ricorso); in primo luogo si deve osservare che il ricorrente cerca di introdurre elementi di fatto che non sono pertinenti in questa sede, non potendo il giudice di legittimità sostituirsi al giudice di merito nella valutazione dei fatti risultanti dall’istruttoria, sui quali è stata fornita ampia e coerente motivazione. Inoltre, la censura è inammissibile per carenza degli indefettibili requisiti della specificità e della completezza, non avendo il ricorrente indicato le ragioni per le quali le dichiarazioni dei testi indicati inficerebbero e comprometterebbero, in modo decisivo, la tenuta logica e la coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.

Tanto senza considerare che, per poter stabilire se le richiamate testimonianze, asseritamente non considerate dal giudice, possano assumere effettivamente un significato probatorio pregnante, occorreva una valutazione complessiva del materiale probatorio disponibile – del tutto omessa nel ricorso – pacificamente non operabile dal giudice di legittimità sulla base della lettura necessariamente parziale suggerita dai ricorrenti. Era, cioè, necessario che venissero evidenziati gli elementi probatori tutti in ordine alla ricostruzione dei fatti, per inferirne che quelli pretesamente omessi dal giudice erano comunque idonei, con giudizio di certezza, a condurre a diversa decisione. Al contrario, non solo si pretenderebbe di vagliare in modo atomistico gli elementi probatori asseritamente omessi, ma degli stessi si offre non più che un mero stralcio, senza che, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, siano allegati gli atti richiamati. Non vi sono, comunque, motivi per ritenere arbitrario e dunque ingiusto l’intervento del vigile; con valutazione in fatto, non censurabile in questa sede, il giudice di pace di Rimini ha, infatti, ritenuto che il vigile fosse stato comandato a svolgere quel servizio (cfr. pag. 3 della sentenza).

Per i motivi esposti, il ricorso deve essere respinto, con condanna del ricorrente il pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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