Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-06-2011) 16-11-2011, n. 42095 Falsità in scrittura privata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza emessa il 15 luglio 2008, all’esito del giudizio abbreviato, il GUP del tribunale di Orvieto riteneva D. M. responsabile del reato di furto aggravato di un libretto di assegni, nonchè di numerosi episodi di truffa e falso in scrittura privata per aver apposto una falsa firma sui titoli di credito rubati, che aveva poi utilizzato quale formale mezzo di pagamento di merce di vario genere, acquistata presso svariati esercizi commerciali.

Previa concessione delle attenuanti generiche, valutate con giudizio di equivalenza rispetto all’aggravante contestata in relazione al reato di furto, ed avuto riguardo alla riduzione per il rito, il D. veniva condannato alla pena di anni due e mesi otto di reclusione, nonchè Euro 620 di multa, al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite ed alle spese di costituzione e difesa da questa sostenute.

Proposto ricorso in appello, la Corte di secondo grado di Perugia confermava l’affermazione di responsabilità della sentenza di primo grado e riduceva unicamente la pena ad anni due di reclusione ed Euro 400 di multa.

Contro la predetta sentenza propone ricorso per cassazione il D., evidenziando tre motivi di censura:

1. con il primo motivo deduce violazione di legge per aver ritenuto il concorso tra i reati di cui agli artt. 640 e 485-491 c.p., mentre la condotta di truffa avrebbe dovuto ritenersi assorbente anche della falsa compilazione degli assegni, che integrava l’artificio costitutivo della truffa. Sostiene poi il ricorrente la insussistenza del falso in scrittura privata, avendo egli sottoscritto gli assegni con la propria sottoscrizione e non con quella del titolare del rapporto di traenza con la banca.

2. con il secondo motivo si deduce errata applicazione dell’aggravante del mezzo fraudolento di cui all’art. 625 c.p., n. 2, non avendo spiegato i giudici di merito in cosa sarebbe consistito il mezzo fraudolento, essendosi l’imputato limitato a sottrarre il blocchetto di assegni lasciato incustodito dal proprietario.

3. Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 337 c.p.p. per essere alcune querele agli atti illegittimamente formate e dunque invalide, nonchè per l’assenza di querela da parte del P., quale proprietario del blocchetto degli assegni oggetto di furto.

Nelle conclusioni il ricorrente, senza aver esplicitato alcunchè nei motivi di ricorso, chiede inoltre l’annullamento dei reati di truffa per mancanza di valida querela, "… essendo la querela presentata dalla persona offesa abbondantemente e senza ragione alcuna dopo i termini concessi dalla legge a tal fine..".

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Va precisato, innanzitutto, che i motivi sollevati con il ricorso per cassazione sono identici a quelli già proposti con l’atto di appello e puntualmente esaminati dalla Corte di Perugia, che li ha respinti dandone adeguata e specifica motivazione.

Con il primo motivo il D. ha dedotto violazione di legge per avere i giudici del merito ritenuto il concorso tra i reati di cui agli artt. 640 e 485-491 c.p., mentre la condotta di truffa avrebbe dovuto ritenersi assorbente anche della falsa compilazione degli assegni, che integrava l’artificio costitutivo della truffa.

La tesi è destituita di fondamento. Come già spiegato dalla Corte d’appello di Perugia, che ha fatto corretta applicazione dei principi già enunciati da questa Corte, i due reati possono pacificamente concorrere, dal momento che presentano elementi strutturali diversi.

Parimenti infondata è la doglianza relativa all’inconfigurabilità del falso per esser stati gli assegni firmati dal D. con il proprio nome, in quanto il reato di falso in scrittura privata per illecita compilazione di assegni rubati si configura indipendentemente dal fatto che sia utilizzata la firma propria dell’agente, ma priva di autorizzazione bancaria, ovvero falsificando quella del titolare del rapporto di cheque.

Con il secondo motivo il D. ha lamentato l’errata applicazione dell’aggravante del mezzo fraudolento di cui all’art. 625 c.p., n. 2; secondo il ricorrente i giudici di merito non avrebbero spiegato in cosa sarebbe consistito il mezzo fraudolento, essendosi l’imputato limitato a sottrarre il blocchetto di assegni lasciato incustodito dal proprietario. Anche questa doglianza è infondata; in primo luogo si osserva che la Corte d’appello di Perugia ha correttamente interpretato la norma sanzionatoria secondo i principi enunciati da questa Corte, ritenendo che nel furto la circostanza aggravante del mezzo fraudolento sia integrata dall’uso di qualunque mezzo insidioso idoneo a far attenuare l’attenzione del possessore del bene nella difesa del patrimonio o che consenta di eludere più agevolmente le cautele poste dal detentore a difesa della cosa (cfr. Cassazione penale, sez. 4^, 19 gennaio 2006, n. 10134).

Dopo aver fatto corretta interpretazione della norma, la Corte ha ritenuto che dagli elementi istruttori emergesse la sussistenza di questa aggravante, dandone motivazione congrua, logica e approfondita, per cui è infondata la censura nella parte in cui afferma che la Corte non spiega i motivi per cui è ritenuta sussistente tale aggravante. Invero, basta rimandare alle pagine 12 e 13 della sentenza per rendersi conto di quanto sia approfondita la motivazione sul punto, nonchè del fatto che la Corte ha ritenuto di individuare tale aggravante nel fatto che il D. approfittò della situazione di confusione determinata dalla presenza di numerosi clienti all’interno del locale (cfr. pag. 12), distraendo il titolare dell’esercizio commerciale e approfittando altresì di un suo momentaneo calo di attenzione.

Quanto, infine, al terzo motivo di ricorso, con cui si è dedotta la violazione dell’art. 337 per l’illegittima formazione di alcune querele, nonchè per l’assenza di querela da parte del P., si rileva quanto segue: innanzitutto il capo di imputazione numero 1 contiene l’addebito di reati che sono procedibili d’ufficio, per cui a nulla rileva la mancanza di querela da parte del P..

In secondo luogo, si osserva che la Corte d’appello di Perugia ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte, in relazione all’interpretazione dell’art. 337 c.p.p.; questa stessa sezione con sentenza del 14 febbraio 2006, n. 19368 ha affermato che ai fini della ritualità della presentazione della querela in nome e per conto di una persona giuridica, l’onere, stabilito dall’art. 337 c.p.p., comma 3, dell’indicazione specifica della fonte dei poteri di rappresentanza è adempiuto con la mera indicazione della legale rappresentanza da parte del "querelante", poichè essa comporta l’implicito riferimento alla legge quale fonte stessa di detti poteri. Va rilevato, inoltre, che altra sezione della corte ha affermato altresì che per il principio di tassatività delle nullità l’omessa indicazione, nella querela proposta dal legale rappresentante della persona giuridica, della fonte dei poteri di rappresentanza, non ne determina la nullità, perchè la previsione dell’adempimento, di cui all’art. 337 c.p.p., comma 3, non è assistita da sanzioni processuali (cfr. Cassazione penale, sez. 2^, 11 gennaio 2006, n. 4055). Ne consegue, in ogni caso, l’infondatezza del motivo di ricorso. Quanto, infine, all’affermazione contenuta solamente nelle conclusioni, secondo cui la querela sarebbe stata presentata dalla persona offesa abbondantemente e senza ragione alcuna dopo i termini concessi dalla legge a tal fine, trattasi di affermazione talmente generica e priva di ogni riferimento sia alle querele interessate da tale asserito vizio, sia alla data di presentazione, da non consentire a questa corte alcun controllo, qualificando di palese inammissibilità la relativa doglianza.

Per i motivi esposti, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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