Cass. civ. Sez. II, Sent., 28-05-2012, n. 8497 Risoluzione del contratto per inadempimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 27-7-2006 il Tribunale di Milano rigettava la domanda di risoluzione per inadempimento, poi modificata in quella di recesso, con richiesta di restituzione del doppio della caparra versata di l. 400.000.000, proposta da G.P. nei confronti della Loro & Parisini s.p.a., in relazione al contratto preliminare di compravendita di un terreno edificabile in località (OMISSIS).

Il Tribunale accoglieva invece la domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta, dichiarando la legittimità del recesso della promittente venditrice e il diritto della stessa di trattenere la caparra versata dal promittente acquirente. In motivazione, il giudice osservava che, pur avendo le parti previsto come termine essenziale la data del 20-11-2000, la mancata presentazione della Loro & Parisini s.p.a dinanzi al notaio Calesella per la sottoscrizione dell’atto pubblico non poteva ritenersi idonea a concretare di per sè un inadempimento ascrivibile a tale società, in quanto in ogni caso il rogito non avrebbe potuto essere sottoscritto nella data suindicata per la mancanza di un documento essenziale quale il certificato di destinazione urbanistica in originale e non più vecchio di un anno, la cui ritardata acquisizione non era imputabile alla convenuta, dati i tempi ristretti con cui era stata alla stessa sollecitata dal notaio.

Secondo il Tribunale, al contrario, la responsabilità del mancato perfezionamento dell’atto traslativo era da addebitare al convenuto, il quale non aveva adempiuto alle obbligazioni poste a suo carico dall’art. 4 del contratto preliminare, atteso che la società Immobiliare San Paolo, designata dal G. quale acquirente finale del terreno, alla data del rogito non aveva la consistenza economica (patrimonio netto non inferiore a L. 20.000.000) richiesta da tale clausola per l’ipotesi in cui il promittente acquirente avesse inteso nominare una società terza quale acquirente.

Avverso la predetta decisione proponevano appello principale l’attore e appello incidentale la convenuta.

Con sentenza depositata il 27-5-2010 la Corte di Appello di Milano rigettava il gravame principale, con assorbimento di quello incidentale.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre il G., sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso la Metso Minerals (Italia) s.p.a., avente causa dalla Loro & Parisini s.p.a. a seguito di fusione per incorporazione.

In prossimità dell’udienza il ricorrente ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’insufficienza e illogicità della motivazione in reazione all’asserita utilità della clausola n. 4 del contratto preliminare di compravendita, che secondo la Corte di Appello era ancorata alla presunta esposizione debitoria del G. nei confronti di un istituto di credito ed alla conseguente possibilità, per la promittente venditrice, di essere soggetta a possibili pregiudizievoli azioni esecutive. Sostiene che tale argomentazione è del tutto tautologica e illogica, in quanto, in caso di compravendita immobiliare con contestuale pagamento del prezzo, eventuali azioni esecutive possono riguardare solo il bene immobile non più di proprietà del venditore.

Il motivo è infondato.

La Corte di Appello ha richiamato il contenuto della clausola n. 4, in forza della quale, in aggiunta all’indicazione di patrimonio netto non inferiore a L. 20.000.000 (della) società (che) dovrà prima del rogito essere regolarmente esistente", il G. avrebbe dovuto anche enunciare il personale impegno "…fino a quando la società sia di sua proprietà, diretta o indiretta e per qualsiasi percentuale di partecipazione, anche minoritaria, e comunque per un periodo di tredici mesi a far data dal rogito, a dotare la società designata acquirente di mezzi patrimoniali propri sufficienti a consentirle il regolare funzionamento dell’attività sociale. In caso di acquisto da parte del sig. G., personalmente, quest’ultimo rilascerà alla promittente venditrice, prima del rogito, le opportune dichiarazioni in merito all’assenza nei confronti suoi personali o di società a lui facenti capo, di procedure esecutive, istanze di fallimento o altre procedure concorsuali (attuali o minacciate) ed in merito alla circostanza che non possiede partecipazioni in altre società che implicano la sua … responsabilità personale illimitata… ".

Replicando alle censure mosse dall’appellante, il giudice del gravame ha ritenuto che l’indicata clausola non era affatto inutile per la promittente venditrice, ma rispondeva alla preoccupazione per quest’ultima che l’attore – il quale, per l’affare in questione, si era fatto finanziare personalmente da una banca e indebitato con la stessa per un importo superiore di quasi un quarto a quello dell’intero prezzo pattuito (L. 4.100.000.000) con il contratto preliminare per cui è causa- potesse essere assoggettato "ad azioni, comprese quelle, esecutive, pregiudizievoli per la venditrice".

Orbene, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, tale motivazione non appare affatto tautologica e illogica, ove solo si tenga conto del rischio, per il venditore, di rimanere esposto, in caso di dichiarata insolvenza dell’acquirente, ad azioni revocatorie fallimentari in relazione al corrispettivo versatogli da quest’ultimo. Come è noto, infatti, nella revocatoria fallimentare di pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, prevista dalla L. Fall., art. 67, comma 2, il danno della massa consiste nella pura e semplice lesione del criterio della "par condicio creditorum". Pertanto, il presupposto oggettivo della revocatoria sussiste anche quando, contestualmente o meno al pagamento, entri nel patrimonio del fallito un bene come controprestazione (tra le tante v. Cass. 6-11-1999 n. 12358; Cass. 16-9-1992 n. 10572).

2) Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’insufficiente e illogica motivazione in ordine all’asserito inadempimento del G. alla clausola n. 4 del contratto preliminare di compravendita. Deduce, in particolare, che la Corte di Appello si è limitata a rilevare che tra il conto economico e lo stato patrimoniale vi è una certa differenza, ma non ha spiegato quali implicazioni avrebbero avuto nella fattispecie concreta i due riferimenti contabili, posto che, secondo la tesi del G., la neo costituita Imm.re San Paolo, con riguardo ad entrambe le modalità di calcolo, avrebbe comunque avuto un capitale minimo nei limiti pattuiti. Sostiene che il giudice del gravame non ha spiegato le ragioni per le quali ha disatteso le puntuali osservazioni che l’appellante aveva mosso facendo riferimento ai principi di redazione di bilancio comunemente applicati dall’Organismo Italiano di Contabilità.

Anche tale motivo è privo di fondamento.

Deve premettersi che la Corte di Appello, nella parte motiva della sentenza impugnata, prima di passare all’analisi dei motivi di appello proposti dal G., ha trascritto integralmente la motivazione resa dal Tribunale, che ha quindi chiaramente inteso fare propria; il che trova conferma nell’espressa condivisione, contenuta a pag. 14 della decisione, del giudizio espresso dal primo giudice circa il mancato assolvimento, da parte del G., dell’obbligazione contrattuale di informazioni preventive stabilita dalla clausola 4 dei preliminare.

La giurisprudenza di questa Corte ritiene legittima la motivazione "per relationem" della sentenza pronunciata in sede di gravame, purchè il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto. Deve viceversa essere cassata la sentenza d’appello allorquando la laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che alla affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass. 12-8-2010 n. 18625; Cass. 11-6-2008 n. 15483; Cass. 2-2-2006, n. 2268; Cass. 21-10-2005 n. 20454).

Nella specie, il giudice di appello ha mostrato di aver valutato le deduzioni svolte dall’appellante riguardo alla sussistenza del requisito contrattuale (clausola n. 4) del patrimonio netto non inferiore a L. 20.000.000 per la società eventualmente designata dal G. per l’acquisto. Esso, infatti, a pag. 11, ha dato atto della inammissibilità, ex art. 345 c.p.c., della nuova documentazione prodotta dall’appellante, rappresentata dalla copia di un parere pro veritate del dott. A. e della dott. F. (su metodi e sistemi contabili di distribuire in più annate, sia in conto economico che a bilancio, gli oneri finanziari di costituzione della società ed altre spese, come quelle nella specie specificamente affrontate per operazioni patrimoniali e finanziarie annesse, di ritenuto medio-lungo periodo); ed ha comunque ritenuto irrilevante tale atto, osservando, a pag. 13, che il patrimonio netto non inferiore a L. 20.000.000 "poteva essere ricavato dal conto economico chiaramente da contestualizzare a cura del promissario acquirente ma non esaurentesi nello stato patrimoniale, non essendone un semplice sinonimo".

Al di là della sua apparente laconicità, tale affermazione, nel fare riferimento alla necessità di "contestualizzare" il conto economico (di cui la sentenza ha rimarcato la distinzione rispetto allo stato patrimoniale) da cui ricavare il patrimonio netto della società da designare quale eventuale acquirente, intende chiaramente ribadire quanto già precisato dal Tribunale (v. pag. 9 della sentenza impugnata), secondo cui "la ricostruzione contabile compiuta dall’attore……essendo fondata su di un’ipotetica imputazione nel tempo delle passività, non avrebbe potuto in alcun modo essere tenuta presente dalla convenuta in sede di valutazione circa la ricorrenza delle condizioni pattuite, poichè queste ultime dovevano essere esaminate alla data del 30 novembre 2000 e non già sul lungo termine. Ove diversamente il G. avesse inteso avvalersi della facoltà di compiere l’operazione contabile enunciata in atti, avrebbe dovuto quanto meno darne notizia formale alla controparte ed almeno a posteriori documentare l’effettività di tale operazione.

Poichè ciò non è avvenuto e in mancanza di elementi diversi di riscontro, l’ammontare del capitale sociale (L. 21.298.970) doveva essere decurtato dei costi di costituzione della società (quanto meno L. 1.298.970), con la conseguenza che il patrimonio netto era inferiore alla data fissata per il rogito – al minimo contrattualmente pattuito in L. 20.000.000".

Le argomentazioni svolte dalla Corte di Appello, pertanto, si integrano con quelle, condivise per relationem, sviluppate nella sentenza di primo grado, offrendo la possibilità di comprendere il ragionamento seguito per disattendere le doglianze dall’appellante.

Il ricorrente, di conseguenza, avrebbe dovuto censurare la motivazione quale risultante dagli argomenti esplicitati e da quelli fatti propri dal giudice del gravame.

3) Con il terzo motivo il ricorrente si duole dell’illogica e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, nel ritenere illegittimo il recesso operato dal G., ha richiamato il disposto della L. 28 febbraio 1985, art. 18, comma 4 a norma del quale, in caso di mancato rilascio del certificato di destinazione urbanistica nel termine di 30 giorni dalla presentazione della domanda, tale certificato può essere sostituito da una dichiarazione dell’alienante attestante l’avvenuta presentazione della domanda. Sostiene che, nella specie, non poteva trovare applicazione il suddetto riferimento normativo, essendo emerso dall’espletata istruttoria che la domanda di rilascio di un nuovo certificato di destinazione urbanistica non più vecchio di un anno era stata effettuata dalla promittente venditrice solo dopo il 24-11- 2010 e, quindi, appena 6 giorni prima dello spirare del termine essenziale fissato per la stipula del rogito. A tale data, pertanto, la società convenuta non solo non aveva pronto il necessario certificato di destinazione urbanistica, ma, stante il ritardo con cui aveva effettuato la relativa richiesta, non poteva nemmeno rilasciare una dichiarazione sostitutiva di avvenuta presentazione della domanda.

Il motivo è inammissibile, riguardando argomentazioni della sentenza impugnata che la Corte di Appello ha espressamente dichiarato di svolgere solo "incidentalmente", dopo essersi già pronunciata per l’infondatezza del gravame (cfr. pag. 14 della sentenza impugnata), in ragione dell’acclarato inadempimento, da parte del G., dell’obbligazione contrattuale di informazioni preventive stabilita dalla clausola 4 del preliminare.

Orbene, costituisce principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censuri una argomentazione della sentenza impugnata svolta, come nella specie, ad abundantiam e che, pertanto, non costituisce una ratio decidendi della medesima. Una affermazione, infatti, contenuta nella motivazione della sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (tra le tante v. Cass. 22-11- 2010 n. 23635; 19-2-2009 n. 4053; Cass. 5-6-2007 n. 13068; 14-11- 2006, n. 24209; Cass. 23-11-2005 n. 24591).

4) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalla resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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