Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 27-05-2011) 16-11-2011, n. 42136

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.V. propone ricorso contro l’ordinanza del tribunale del riesame di Napoli del 23 novembre 2010 che ha confermato, nei suoi confronti, l’ordinanza emessa il 26 ottobre 2010 dal GIP presso il tribunale di Napoli, con cui è stata applicata la custodia cautelare in carcere. Per inciso va rilevato che il tribunale del riesame ha invece annullato la predetta ordinanza per gli altri indagati M.M., V.M. e P.N..

Il tribunale del riesame, dopo aver richiamato le prove fondamentali poste a base della misura cautelare, ai fini della valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, si è soffermato sulle singole posizioni dei vari indagati, ritenendo che per gli ultimi tre non vi fossero elementi sufficienti.

Con riguardo allo S., invece, il tribunale ha ritenuto che le accuse principali, ricavate dalle dichiarazioni di Pi.

R., fossero riscontrate da quelle di D.L., che indica lo S. quale partecipante all’omicidio di L.R., nonchè da quelle di V.A. che, pur ritenuto poco affidabile, sul punto conferma pienamente le due precedenti chiamate di correo. Il ricorso per cassazione si fonda su due motivi: a) violazione di legge per carenza totale di motivazione ed erronea applicazione degli artt. 192 e segg. c.p.p. in ordine alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, nonchè mancanza e manifesta illogicità della motivazione; b) violazione di legge in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3, per avere il tribunale omesso di rispondere alle argomentazioni di cui alla memoria difensiva depositata al tribunale del riesame.

Sotto il primo profilo il difensore del ricorrente riporta stralci delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, rilevandone l’incongruità, al fine di inficiarne l’attendibilità e quindi l’idoneità delle stesse a costituire quei gravi indizi di colpevolezza richiesti dall’art. 173 c.p.p. per l’applicazione della misura cautelare.

Sulla base degli elementi riportati, la difesa si sofferma poi in una lunga ed analitica descrizione di natura giuridica sulle caratteristiche che deve avere la chiamata di correo per legittimare l’applicazione di un provvedimento restrittivo della libertà, richiamando numerosi precedenti di questa corte, in particolare sulla necessità che siano vagliate attentamente la credibilità del dichiarante, la consistenza intrinseca delle dichiarazioni e i riscontri esterni che, se costituiti da plurime dichiarazioni accusatorie, devono presentare i caratteri di convergenza, indipendenza e specificità. La difesa dello S. rileva l’illogicità dell’ordinanza impugnata soprattutto nella parte in cui intende ricercare nel narrato del V. un riscontro di quanto affermato dal Pi., pur avendo in precedenza investito di inaffidabilità la chiamata de relato del V. stesso.

Lamenta poi la difesa che le chiamate in reità dei collaboratori hanno sempre una fonte incontrollabile, per cui non sarebbe mai stata soddisfatta l’esigenza della duplice rigorosa verifica della credibilità.

Conclude sul primo motivo la difesa affermando la necessità che gli elementi indiziari siano tali da legittimare il giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato, e a tal fine siano caratterizzati da riscontri individualizzanti e specifici, cioè pertinenti agli aspetti oggettivi del reato e non solo alla sua attribuzione soggettiva all’indagato.

Con riferimento al secondo motivo di ricorso si deduce violazione di legge in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3, avendo il tribunale del riesame omesso di rispondere motivatamente alle argomentazioni di cui alla memoria difensiva; secondo la difesa il tribunale prende atto delle censure del ricorrente, ma non indica sulla scorta di quali elementi le dichiarazioni del Pi. dovrebbero ritenersi prive di astio e desiderio di vendetta. L’ordinanza del tribunale, inoltre, si risolve nel mero richiamo alle argomentazioni svolte nel provvedimento sottoposto a riesame senza valutazione alcuna delle doglianze per le quali la difesa dello S. ha sollecitato il riesame del provvedimento adottato, per cui l’obbligo di motivazione non può considerarsi correttamente adempiuto, essendo violata la garanzia del doppio esame (cassazione sezioni unite 28 maggio 2003 numero 12). Per tali motivi S.V. chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata e la rimessione in libertà.

Motivi della decisione

Prima di procedere alla disamina specifica dei motivi di ricorso, deve premettersi che il ruolo di questa corte non è quello di rivalutare gli indizi posti a base delle due ordinanze cautelari, nè quello di pronunciarsi sull’attendibilità dei collaboratori di giustizia, bensì più limitatamente quello del controllo di legittimità sull’ordinanza impugnata.

La corte, dunque, si limiterà a verificare che il provvedimento impugnato sia sorretto da una logica e sufficiente motivazione, anche nelle parti in cui fa riferimento all’ordinanza emessa dal gip, e che il giudizio di gravità indiziaria e di attendibilità delle deposizioni che ne costituiscono il fondamento sia stato effettuato dalla corte del riesame operando una corretta interpretazione degli istituti processuali invocati nel ricorso.

In nessun caso questa corte procederà ad una valutazione di merito sugli indizi e sulla ritenuta attendibilità dei chiamanti, compito riservato al giudice per le indagini preliminari in prima battuta e al tribunale del riesame in sede di impugnazione (v. Cassazione penale, sez. 1, 25 settembre 2008, n. 42993, CED Cass. pen. 2008, 241826: "Nel giudizio di legittimità il sindacato sulla correttezza del procedimento indiziario non può consistere nella rivalutazione della gravità, della precisione e della concordanza degli indizi, in quanto ciò comporterebbe inevitabilmente apprezzamenti riservati al giudice di merito, ma deve tradursi nel controllo logico e giuridico della struttura della motivazione, al fine di verificare se sia stata data esatta applicazione ai criteri legali dettati dall’art. 192 c.p.p., comma 2, e se siano state coerentemente applicate le regole della logica nell’interpretazione dei risultati probatori").

Ciò premesso, non si deve dimenticare che ci troviamo oggi non in una fase dibattimentale, ma nell’ambito di una discussione che investe il potere cautelare dell’autorità giudiziaria; il che significa che la valutazione degli indizi di colpevolezza deve essere condotta con minor rigore rispetto a quanto deve avvenire nell’ambito del giudizio di condanna ("Per l’emissione di una misura cautelare personale è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli"; Cassazione penale, sez. 2, 13 marzo 2008, n. 13505. "In materia di misure cautelari personali, il requisito della gravità degli indizi di colpevolezza non può essere ritenuto insussistente sulla base di una valutazione separata dei vari dati probatori, dovendosi invece verificare se gli stessi, coordinati e apprezzati globalmente secondo logica comune, assumano la valenza richiesta dall’art. 273 c.p.p.. Ciò in considerazione della natura stessa degli indizi, quali circostanze collegate o collegabili a un determinato fatto che non rivelano, se esaminate singolarmente, un’apprezzabile inerenza al fatto da provare, essendo ciascuno suscettibile di spiegazioni alternative, ma che si dimostrano idonee a dimostrare il fatto se coordinate organicamente"; Cassazione penale, sez. 4, 04 marzo 2008, n. 15198).

Trattasi di affermazione che trova la sua fonte normativa nell’art. 273 c.p.p. che, al comma 1 bis, richiama i commi 3 e 4 dell’art. 192 e non invece il numero due, che richiede una particolare qualificazione degli indizi (non solo gravi, ma anche precisi e concordanti). Anche questa corte (Cassazione penale, sez. 4, 06 luglio 2007, n. 37878) ha già ricordato che in tema di misure cautelari personali, la nozione di "gravi indizi di colpevolezza" di cui all’art. 273 c.p.p. non si atteggia allo stesso modo del termine "indizi" inteso quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza, che sta a indicare la "prova logica o indiretta", ossia quel fatto certo connotato da particolari caratteristiche (v. art. 192 c.p.p., comma 2), che consente di risalire a un fatto incerto attraverso massime di comune esperienza.

Per l’emissione di una misura cautelare è quindi sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli. Gli indizi, dunque, ai fini delle misure cautelari, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192 c.p.p., comma 2.

Tale precisazione si è resa necessaria in quanto la difesa del ricorrente, nella citazione di precedenti di questa corte, ha spesso fatto riferimento a massime di diritto enunciate con riferimento al giudizio di cognizione, ove la prova indiziaria deve essere connotata da maggiore incisività.

Quanto alla chiamata di correo, questa corte ritiene che ai fini dell’adozione di misure cautelari personali le dichiarazioni rese dal coindagato o coimputato del medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato possano costituire grave indizio di colpevolezza, ex art. 273 c.p.p., commi 1 e 1 bis, soltanto se, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, siano sorrette da riscontri esterni individualizzanti, sì da assumere idoneità dimostrativa in relazione all’attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario della misura, fermo restando che la relativa valutazione, avvenendo nel contesto incidentale del procedimento "de libertate" e, quindi, allo stato degli atti, deve essere orientata ad acquisire non la certezza, ma la elevata probabilità di colpevolezza del chiamato (Cassazione penale, sez. un., 30 maggio 2006, n. 36267);

sotto tale profilo non pare potersi ritenere che il provvedimento impugnato sia censurabile per violazione delle regole previste dagli artt. 192 e 195 c.p.p.. Non potendo questa corte sostituirsi al giudizio di merito operato dal tribunale, si deve invece prendere atto che il tribunale di Napoli, dopo aver riportato alcuni passi delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ed in particolare quelli inizialmente oggetto di contrasto, ha poi spiegato i motivi per cui ha ritenuto sufficienti i riscontri alle dichiarazioni accusatorie del Pi.. Vale la pena di ribadire quanto già affermato dalla difesa, e cioè che lo stesso tribunale ha sottoposto ad approfondito vaglio critico le discordanze relative alle prime dichiarazioni rese in particolare dal Pe. e dal V., ritenendoli poco affidabili sulla qualità del ricordo e delle stesse conoscenze. Da tale affermazione il ricorrente ha tratto la conseguenza di una contraddizione della motivazione dell’ordinanza, che prima afferma la scarsa affidabilità dei due collaboratori e poi fonda la decisione di mantenere in carcere lo S. proprio sulla base dei riscontri forniti da questi due soggetti.

Ritiene questa suprema corte, al contrario, che le osservazioni critiche svolte dal tribunale dimostrino la assoluta coerenza della motivazione; evidenziate le crepe che si insinuavano nei racconti del Pe. e del V. e giudicando criticamente anche le loro successive dichiarazioni (addirittura affermando che alcune dichiarazioni dei collaboratori potevano essere il frutto di errore, conseguente alla volontà di voler soddisfare gli organi inquirenti), il tribunale si sofferma poi sulla responsabilità dei singoli prevenuti, arrivando ad affermare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in capo allo S. in conformità ai principi di diritto enunciati da questa corte e con una valutazione di attendibilità – sui fatti oggetto di giudizio – dei collaboratori condotta con procedimento logico e con motivazione che, condivisibili o meno, risultano esentì da vizi logici o interpretativi.

Sebbene la motivazione sia necessariamente succinta, trattandosi di provvedimento cautelare e non di sentenza di condanna, il tribunale ha ritenuto di riscontrare i gravi indizi, idonei al mantenimento della custodia cautelare, sulla base delle dichiarazioni accusatorie del Pi.Ra., le quali sono de relato solo con riferimento alla fase dell’esecuzione del delitto, mentre egli riferisce di fatti appresi direttamente in relazione alla programmazione dell’omicidio.

E poichè vi è assoluta coincidenza tra la programmazione dell’omicidio, di cui il Pi. ebbe diretta conoscenza, e poi la materiale esecuzione dello stesso, quantomeno con riferimento allo S., questo costituisce una prima conferma intrinseca di coerenza della dichiarazione del collaboratore di giustizia. Ma la fonte di conoscenza del Pi. non è solo lo S., quanto alla confessione relativa alla fase esecutiva, bensì anche il M. M., diretto partecipante all’omicidio, con funzione di specchiettista e di recupero auto ed armi.

Le dichiarazioni rese dal Pi., pur avendo una triplice fonte (diretta per quanto riguarda la programmazione dell’omicidio; de relato sulle dichiarazioni confessorie dello S. e sulla confidenza fatta dal M.), non sarebbero da sole sufficienti a fondare un giudizio di probabile fondatezza dell’ipotesi di reato, necessitando di riscontri esterni autonomi ed indipendenti; il tribunale di Napoli ha ritenuto la sussistenza di tali riscontri nelle dichiarazioni di Pe.Gi., il quale riferiva, de relato, della partecipazione dello S., riportando numerosi particolari sull’esecuzione dell’agguato (cfr. pagina due dell’ordinanza) e di V.A., il quale riscontrava le dichiarazioni già rese dal M. al Pi. ed introduceva altre dichiarazioni de relato apprese dal Mo.. Ancora il D. L. riscontrava le dichiarazioni suddette, dichiarando di avere appreso da Ma.En. che lo S.V. aveva commesso, insieme con altri, il predetto omicidio.

Non si può dire, dunque, che non sussistano i plurimi riscontri alle dichiarazioni accusatorie e precise del Pi.; le chiamate di correo sono plurime, si riscontrano a vicenda, si basano su fonti autonome ed indipendenti, nonchè concordi negli elementi fondamentali, attinenti al coinvolgimento dello S. nell’omicidio di L.R. (v. Cassazione penale, sez. 6, 29 novembre 2007, n, 3207: "Ai fini dell’adozione di misure cautelari personali, le dichiarazioni rese dal coindagato o dal coimputato del medesimo reato o da persona indagata in un procedimento connesso o collegato possono costituire grave indizio di colpevolezza, ex art. 273 c.p.p., commi 1 e 1 bis, soltanto se, oltre a essere intrinsecamente attendibili, siano sorrette da riscontri esterni individualizzanti, sì da assumere idoneità dimostrativa in relazione all’attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario della misura, fermo restando che la relativa valutazione, avvenendo nel contesto incidentale del procedimento "de libertate" e, quindi, allo stato degli atti, cioè sulla base di materiale conoscitivo ancora "in itinere", deve essere orientata ad acquisire non la certezza, ma la elevata probabilità di colpevolezza del chiamato").

Quanto alla ritenuta ridotta affidabilità dei dichiaranti, si tratta di censura che innanzitutto non coglie il D.L., la cui dichiarazione pertanto può fungere indubitabilmente da riscontro alle accuse del Pi.; ma anche con riferimento al V., il tribunale ritiene che la concordanza delle plurime chiamate in correità sia elemento sufficiente a ritenere quest’ultimo attendibile in relazione alle dichiarazioni che coinvolgono il ruolo dello S. nell’omicidio di L. R.. D’altronde, la ridotta attendibilità di un teste non necessariamente si riverbera negativamente su tutte le sue dichiarazioni, ben potendo alcune di esse essere corroborate da elementi esterni e quindi ritenute maggiormente attendibili. Nè si deve dimenticare che i collaboratori di giustizia sono stati chiamati a rispondere su fatti verificatisi anni prima e che hanno in gran parte appreso da altri soggetti, per cui il ricordo può essere da un lato sfumato e dall’altro corrotto dal passare del tempo e dalla secondarietà di alcuni elementi, mentre va rilevato che tutti i collaboratori di giustizia ( Pi., Pe., V., D.) fin dall’inizio hanno reso dichiarazioni concordanti e mai smentite in ordine al coinvolgimento di S.V. nell’omicidio di L.R..

E’ la stessa difesa, poi (cfr. pagina 23 del ricorso) a ritenere che una chiamata de relato possa costituire riscontro individualizzante di un’altra chiamata de relato, quando sia dimostrata l’autonomia delle fonti.

Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta che il tribunale di Napoli non ha indicato sulla scorta di quali elementi le dichiarazioni del Pi. dovrebbero ritenersi prive di astio e desiderio di vendetta, ma il motivo è infondato; è principio ormai pacifico, infatti, che il giudice non deve rispondere ad ogni argomentazione logica e giuridica svolta dalle parti, purchè sia chiaramente illustrato il percorso logico seguito per giungere alla decisione e risulti comunque desumibile la ragione per la quale ogni contraria prospettazione sia stata disattesa. Nel caso di specie l’attendibilità del Pi. risulta sia dal ruolo svolto in precedenza all’interno dell’associazione sia dalla accuratezza delle sue ricostruzioni, sia, infine, dai plurimi riscontri alle sue dichiarazioni, a nulla rilevando che la decisione di collaborare con la giustizia sia scaturita da un desiderio di vendetta nei confronti dello S..

Quanto all’asserita nullità dell’ordinanza, per aver motivato con un mero richiamo alle argomentazioni svolte nel provvedimento sottoposto a riesame, senza valutazione alcuna delle doglianze per le quali la difesa dello S. ha sollecitato il riesame del provvedimento adottato, osserva questa corte – richiamato anche quanto affermato al precedente capoverso – che l’obbligo di motivazione può ritenersi non adempiuto solo qualora l’ordinanza di riesame contenga una motivazione per relationem che si risolva nel mero richiamo alle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato, omettendo la valutazione delle doglianze contenute nella richiesta di riesame (cfr. Cassazione penale, sez. 1, 01 ottobre 2004, n. 43464), mentre nel caso di specie si è già detto che il tribunale di Napoli, pur compiendo alcuni rinvii a parti dell’ordinanza di primo grado, ha comunque svolto un’autonoma e approfondita motivazione in ordine agli elementi di censura relativi alla valutazione degli indizi, alla loro gravità, all’attendibilità dei chiamanti in correità, per cui la sentenza impugnata è da ritenersi immune dalle censure prospettate con il presente ricorso. E comunque, In tema di motivazione dei provvedimenti sulla libertà personale, l’ordinanza applicativa della misura e quella che decide sulla richiesta di riesame sono tra loro strettamente collegate e complementari, sicchè la motivazione del tribunale del riesame integra e completa l’eventuale carenza di motivazione del provvedimento del primo giudice e, viceversa, la motivazione insufficiente del giudice del riesame può ritenersi integrata da quella del provvedimento impugnato, allorchè, in quest’ultimo siano state indicate le ragioni logico – giuridiche che, ai sensi degli artt. 273, 274 e 275 c.p.p., ne hanno determinato l’emissione (Cassazione penale, sez. un., 17 aprile 1996, n. 7).

Ne consegue il rigetto del ricorso proposto da S.V. e la sua condanna alle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone che copia del presente provvedimento sia trasmesso, a cura della cancelleria, al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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