Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 09-11-2011) 17-11-2011, n. 42433 Associazione per delinquere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con Ordinanza in data 11/4/2011 il Tribunale di Bari, adito dall’indagato P.E. in sede di riesame ai sensi dell’art. 309 c.p.p., confermava la misura cautelare della custodia in carcere inflitta al predetto con ordinanza in data 15/3/2011 del G.I.P. in sede in ordine ai reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 (capo L) e art. 73 D.P.R. cit. (Capi R, M, O, P, Q, S, V).

Si contestava all’indagato di avere costituito e comunque di far parte di una associazione delinquenziale finalizzata al traffico internazionale di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti del tipo cocaina e marijuana, importati dall’Albania e destinati ad essere commercializzati in diverse località del territorio nazionale ed inoltre di numerosi episodi di detenzione illecita a fine di spaccio delle medesime sostanze stupefacenti.

L’indagine traeva spunto da una attività di monitoraggio di p.g. sulla frenetica condotta di narcotraffico di sostanze stupefacenti di varia natura posta in essere da un gruppo, facente capo a Z. C. e operante in Toritto e altre località della Provincia di Bari, dalla quale emergeva la connessione con altro gruppo, composto per lo più da cittadini albanesi, tra cui l’attuale indagato, dedita all’importazione di grossi quantitativi di droga dall’Albania all’Italia, che soleva rifornire il gruppo, capeggiato da Z., operante nelle Province di Bari e di Lecce, e con referenti in varie località italiane (Porto Cesareo, Altamura, Trani, Peschici e Firenze), nell’ambito delle quali provvedevano a smerciare lo stupefacente tramite fidati collaboratori.

A fondamento dell’impianto accusatorio si ponevano: gli esiti delle intercettazioni telefoniche e ambientali, gli esiti di una capillare attività di o.p.c, svolta dalla p.g. a riscontro di quanto emergeva dalle conversazioni intercettate, i significativi sequestri di consistenti quantitativi di droga di variegata tipologia e gli arresti operati di conseguenza dalla p.g..

Contro tale decisione ricorre l’indagato a mezzo del suo difensore il quale a sostegno della richiesta di annullamento articola tre motivi.

Con il primo motivo denuncia l’erronea applicazione dei criteri normativi fissati per determinare la competenza per territorio e il vizio di motivazione, sostenendo che le due associazioni erano tra loro distinte ed autonome, tanto che la stessa attività di indagine risultava ramificata in maniera parallela e indipendente in relazione all’uno e all’altro sodalizio e i relativi reati fine erano trattati nell’ordinanza impositiva distintamente, per cui ai fini della determinazione della competenza doveva aversi riguardo alla associazione, della quale faceva parte l’indagato, con la conseguenza che essendo più gravi per le aggravanti contestate rispetto all’ipotesi associativa i reati fine contestati ai capi R) ed S) e accertati in località Frigole il primo e in Provincia di Lecce e Catania il secondo, la competenza spettava al Giudice di Lecce ai sensi dell’art. 8 c.p.p., commi 1 e 3, e che non poteva valere il criterio stabilito dall’art. 16 c.p.p., adottato dai giudici del merito, non essendovi connessione tra i due sodalizi e neanche quello ex art. 51 c.p.p., comma 3 bis, posto che semmai il reato sub L) contestato all’indagato risultava più grave rispetto a quello contestato al capo A) del primo sodalizio.

Con il secondo motivo deduce la violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e il vizio di motivazione in riferimento alla valutazione degli elementi costitutivi dell’ipotesi associativa contestata, della quale mancavano i presupposti e i requisiti, come elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, enunciando le ragioni che contrastavano gli argomenti contrari assunti nell’ordinanza impugnata e richiamando sul punto il contenuto delle conversazioni telefoniche, di cui dava una interpretazione diversa da quella ritenuta dai giudici del riesame.

Con il terzo motivo lamenta la carenza assoluta di motivazione in riferimento ai reati satelliti, e censura l’errore dei giudici del riesame, i quali avevano omesso di trattare specificamente tali reati.

Infine con il quarto motivo eccepisce la violazione di legge e il difetto di motivazione in riferimento alla valutazione del quadro cautelare, sostenendo che male era stata apprezzata la pericolosità attuale dell’indagato, per vincere la presunzione solo relativa ex art. 274 c.p.p., comma 3.

Il ricorso non ha fondamento e va rigettato.

Quanto all’eccezione procedurale si osserva che la competenza territoriale va valutata sulla base della contestazione e nella specie, al di là dell’autonomia geografica rivendicata dal ricorrente in merito alla specifica attività a lui ascritta, l’impostazione accusatoria si fonda sull’accertamento dell’esistenza di due associazioni delinquenziali, di cui l’articolazione barese costituisce lo sbocco naturale per lo smercio della sostanza proveniente dall’Albania, del cui ingresso in Italia si occupa il sodalizio leccese.

La difficoltà derivante dalla corretta individuazione del luogo di consumazione del reato, ove questo abbia natura permanente, non potendosi individuare con certezza il luogo, ove l’accordo illecito è stato concluso, non può essere superata con il richiamo alle circostanze di fatto singolarmente ascrivibili al diretto associato, che secondo l’accusa si sarebbe occupato dell’organizzazione del trasporto della droga giunta sul territorio salentino e della destinazione di essa in altra parte del territorio pugliese.

Infatti se tale importazione interviene a seguito di un pregresso accordo per lo smercio sul territorio barese, così come è dato ricostruire dall’ipotesi di accusa, l’individuazione dell’autorità territorialmente competente non risulta viziata da illegittimità.

La ricostruzione difensiva, che colloca l’inizio della consumazione con l’arrivo della droga sulla costa salentina, non tiene conto della necessaria previa conclusione di un accordo stabile in tal senso, che, come accennato, costituisce il vero iniziale momento consumativo del reato.

Inoltre non va dimenticato che nei reati plurisoggettivi, quali quelli in esame, le ordinarie norme di competenza subiscono una deroga per il caso di connessione, nella specie ravvisabile, per effetto della presenza della correlazione funzionale dei due gruppi, confermata dall’individuazione dell’anello di congiunzione, costituito dalla presenza nelle due compagini di P.A. e Z.C., che risultano, in forza della contestazione, stabilmente inseriti nei due gruppi come momenti di raccordo dell’attività illecita di entrambi.

Tale condizione di fatto impone di fare ricorso ai criteri di cui all’art. 16 c.p.p., e nella incertezza della identificazione della associazione costituita per prima e del luogo della sua formazione, che servirebbe a collocare la competenza del giudice ai sensi del comma 1 cit. art., stante la pari gravità tra le associazioni, e di ritenere competente il giudice del luogo nel cui territorio è stato commesso un reato fine più grave, identificato dal Tribunale nel capo E).

La diversa determinazione operata dalla difesa si fonda su di un presupposto fattuale indimostrato, e contrastante con la prospettazione accusatoria, della autonomia dell’associazione salentina rispetto a quella barese, superata alla luce delle considerazioni che precedono.

Nel merito delle contestazioni, operate con gli ulteriori motivi di ricorso, le denunciate lacune motivazionali dell’ordinanza impugnata, peraltro assolutamente generiche, rappresentano in realtà elementi argomentativi non idonei a superare la gravità degli indizi, sia in ordine al reato associativo che ai reati fine, apprezzati dal Tribunale, e desumibili dal tenore delle conversazioni intercettate che l’indagato intratteneva con il suo referente albanese, con la donna, alla quale era legato, I.E., con B. S. e altri sodali, che fanno chiaro riferimento ad una costante attività illecita, compiuta di concerto tra i vari associati, volta ad introdurre nel territorio dello Stato lo stupefacente e smerciarlo nel territorio barese, oltre che in altre parti del territorio pugliese e nazionale, sicchè la motivazione non appare sindacabile in sede di controllo di legittimità dell’ordinanza impugnata, soprattutto quando, come nella specie il ricorrente si limita a sollecitare un non consentito riesame del merito attraverso la rilettura del materiale investigativo.

Corretta risulta infine la valutazione delle esigenze cautelari alla luce degli elementi di fatto richiamati e costituiti dall’inserimento organico del ricorrente e dal suo ruolo apicale nella maglie del sodalizio dedito al narcotraffico, che non risulta ancora smantellato e dal quale il predetto non prova di avere reciso i contatti, nonchè la adeguatezza della misura alla luce della peculiare natura dei delitti contestati in materia di crimine organizzato transnazionale, come correttamente posto in luce dai giudici del riesame, che, focalizzando tali evidenti indicatori di elevata pericolosità, ha di fatto escluso la valenza della presunzione relativa di pericolosità e di adeguatezza della misura, secondo il dettato normativo applicabile in epoca antecedente alla pronuncia della Corte Costituzionale, che ha sancito il contrasto di tale previsione con la Carta fondamentale, operando in senso contrario una valutazione del merito, completa e coerente, saldamente ancorata alla situazione di fatto.

Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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