Cass. civ. Sez. II, Sent., 28-05-2012, n. 8493 Divisione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato le sorelle B. A., B.R., B.V., B.L. e B. R. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Salerno, il loro germano B.E. e la genitrice L.C.M. R., per sentir pronunciare la divisione dei beni caduti in successione di B.A., deceduto "ab intestato" in data (OMISSIS) (rispettivamente padre e coniuge), esponendo che l’unico bene da dividere si identificava con un podere (recante il n. 115) già oggetto di assegnazione al "de cuius" da parte dell’E.R.S.A.C., sito in agro di (OMISSIS) e distinto in catasto terreni alla partita 23711, foglio 47, particelle nn. 138-500-695 e 696, nonchè in catasto fabbricati alla partita 7623, foglio 47, particelle nn. 696/1 – 696/2 – 698/3 – 696/4 – 686/5 – 696/6 e 696/7. Le parti attrici precisavano che l’E.R.S.A.C., aveva rilasciato, in data 14 dicembre 1992, quietanza di riscatto dal patto di riservato dominio per l’avvenuto pagamento delle rate e che, con sentenza n. 301 del 1996, la Corte di appello di Salerno aveva ritenuto divisibili e ricadenti nella successione sia il podere che i fabbricati, senza che, peraltro, avessero sortito alcun effetto gli inviti rivolti al predetto B.E. per pervenire ad una divisione bonaria dei beni stessi, specificandosi, altresì, che Bo.An. aveva affrontato le spese per la regolarizzazione fiscale dei beni medesimi, degli oneri consortili di bonifica e di irrigazione, delle rate di riscatto del fondo dal 1972 al 1981, senza che il B.E. avesse pagato la quota a lui spettante. Sulla scorta di tali premesse le suddette attrici chiedevano all’adito Tribunale di disporre la divisione dell’indicato bene, con la individuazione delle quote e dei confini degli appezzamenti da dividersi, con conseguente ordine ai condividenti di rilasciare le superfici detenute in eccedenza rispetto alla quota assegnata, nonchè di provvedere a costituire rendita vitalizia in favore del coniuge superstite, con condanna del B.E. al pagamento della somma di L. 4.452.688, in favore di Bo.

A., a titolo di quota spese, con rivalutazione ed interessi, ordinando a quest’ultimo convenuto di rendere il conto della gestione da lui detenuta e a versare ai coeredi quanto spettante per mancato godimento dell’eccedenza rispetto alla quota di diritto spettante, con spese a carico del predetto convenuto.

Si costituiva il giudizio il B.E., il quale, premesso di non essersi mai opposto alla divisione, eccepiva la prescrizione del diritto ad accettare l’eredità nei confronti di B.R., B. L., Bo.Ra. e B.V.; sosteneva di non dover nulla a titolo di spese avendolo le parti attrici esonerato con dichiarazione scritta del 23 aprile 1998; chiedeva il rendimento del conto delle attrici per le quote detenute in eccedenza rispetto a quelle di diritto loro spettanti (da compensarsi con quanto eventualmente dovuto dallo stesso a titolo di rendiconto); chiedeva, infine, che gli venisse corrisposta apposita indennità per miglioramenti apportati al fondo. Espletata prova orale ed ammessa c.t.u. sulla valutazione del fondo e sulla individuazione delle quote, il Tribunale di Salerno, in composizione collegiale, con sentenza n. 1348 del 2006, rilevava, in via preliminare, l’infondatezza dell’eccezione di prescrizione del diritto di accettare l’eredità formulata nei riguardi delle convenute B. R., B.L., Bo.Ra. e B.V., sul presupposto che non risultava contestata dallo stesso convenuto B.E. (che anzi l’aveva dedotta a sostegno della propria domanda di rendiconto) la circostanza del possesso, da parte di ciascuna delle indicate attrici, di una porzione del fondo caduto in successione. Con l’articolata decisione, poi, il predetto Tribunale così statuiva: 1) dichiarava l’apertura della successione di B. A., deceduto senza testamento il (OMISSIS), con la devoluzione dell’eredità per legge, in seguito al decesso, nelle more del giudizio, anche del coniuge usufruttuario, L.C.M. R., ai sei figli ciascuno in misura di 1/6 dell’intero; 2) determinava in L. 875.048.000 (pari ad Euro 451.925,00) il valore complessivo della massa attiva patrimoniale da dividersi tra i sei condividenti in relazione ai beni complessivamente caduti in successione, secondo la stima effettuata dal c.tu., determinando in Euro 75.320,00 il valore della quota spettante ad ognuno dei condividenti; 3) disponeva che la divisione dovesse avvenire secondo il progetto elaborato dal c.t.u. alle pagg. 23,24 e 25 e nell’elaborato planimetrico sub all. 12 della relazione dello stesso c.t.u., mediante attribuzione dei sei distinti lotti individuati dal medesimo ausiliario (con i nn. 1, 2, 3, 4, 5, e 6), previo frazionamento del compendio, da effettuarsi sempre a cura del c.t.u. ed a spese dei condividenti, ciascuno in parti uguali, con la previsione, a carico di B.E. (cui era stato assegnato il lotto n. 6) di corrispondere, a titolo di conguaglio, a Bo.

A., l’importo di Euro 11.739,00, a B.R. quello di Euro 7.090,00, a B.V. la somma di Euro 5.670,00, a B. L. l’importo di Euro 7.090,00 e a Bo.Ra. la somma di Euro 10.060,00, nel termine di 120 giorni dalla pubblicazione della sentenza, con gli interessi legali dalla stessa data e fino all’effettivo soddisfo; 4) condannava il convenuto al pagamento della differenza tra la rendita ricavabile dal godimento esclusivo di una porzione dei suddetti immobili e quella ricavabile dalla quota di diritto effettivamente a lui spettante calcolata nella misura annua di Euro 1.114,08 in favore di B.R., di Euro 705,57 a vantaggio di B.V., di Euro 315,12 in favore di B. L., di Euro 1.087,23 in favore di Bo.Ra., già rivalutata all’attualità, con decorrenza dall’apertura della successione e sino all’effettivo versamento, con gli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza e fino al saldo; 5) condannava ciascuna delle attrici al pagamento, in favore del B.E., a titolo di rimborso delle spese per i miglioramenti dallo stesso apportati alla cosa comune, della somma di Euro 1.136,20, con gli interessi legali dalla domanda all’effettivo soddisfo, il tutto da porre in compensazione con il debito del predetto convenuto, nei confronti di ciascuna delle attrici per le precedenti casuali. Con la stessa sentenza di primo grado venivano, poi, disciplinate le spese giudiziali (ivi comprese quelle occorse per la c.t.u.) con condanna di ciascuno dei condividenti al relativo pagamento in proporzione della rispettiva quota, con conseguente ordine della trascrizione della stessa sentenza all’esito del frazionamento da eseguirsi a cura del c.t.u. ed a spese dei condividenti, ciascuno nella misura di 1/6.

Avverso la richiamata sentenza di prime cure proponeva appello il B.E., il quale la censurava per errata attribuzione del valore alle quote, per errata individuazione del metodo di assegnazione delle quote e dei conguagli, per errata motivazione sulla questione della prescrizione del diritto all’accettazione dell’eredità e sul calcolo dei miglioramenti effettuati (rilevando che l’immobile da lui costruito sul podere non avrebbe potuto far parte dell’eredità), sostenendo, altresì, che il Tribunale non avrebbe potuto nemmeno dichiarare aperta la successione di B. A. al (OMISSIS) perchè a tale data il "de cuius" non era titolare di alcun bene, poichè il diritto di proprietà era stato trasferito con effetto decorrente al più dal 1983 alla cessazione del trentennio dall’assegnazione, che le coeredi B. R., L., Ra. e V. avevano già perso la qualità di erede per non aver accettato in termini l’eredità;

inoltre, l’appellante sosteneva la nullità del giudizio svoltosi per mancata partecipazione del P.M. e che il progetto di divisione predisposto non consentiva di effettuare opere di miglioramento. Si costituivano in appello (con un’unica comparsa contenente appello incidentale) tutte le parti appellate, le quali instavano per il rigetto dell’appello principale e, in via subordinata, per l’accoglimento di quello incidentale indirizzata a far ritenere rinunciata l’eccezione di prescrizione proposta dal B.E. e, in ogni caso, per farne dichiarare l’infondatezza, con la conseguente statuizione sulle spese del grado. Con sentenza n. 640 del 2010 (depositata il 19 luglio 2010), la Corte di appello di Salerno rigettava l’appello principale (con la derivante conferma della sentenza impugnata) e condannava l’appellante principale alla rifusione delle spese del gravame. A sostegno dell’adottata decisione la Corte territoriale evidenziava, innanzitutto che la domanda di divisione si fondava sulla sentenza della Corte di appello salernitana n. 301 del 1996 (resa nel contraddittorio di tutte le parti, con la partecipazione dell’E.R.S.A.C, e del P.M. ai sensi della L. n. 379 del 1967), divenuta irrevocabile (e, perciò, come tale, esplicante gli effetti preclusivi propri del giudicato), con la quale, in riforma dell’impugnato decreto del Tribunale di Salerno del 16 ottobre 1995, pronunciava sulla domanda proposta da Bo.

A. nei confronti dei coeredi di subentro nell’assegnazione del podere n. 115 (già assegnato dall’E.R.S.A.C, al padre B. A.), stabilendo che, in forza della L. n. 191 del 1992, ritenuta avente efficacia retroattiva, il podere non fosse più da considerarsi indivisibile e fosse, comunque, entrato nella massa ereditaria al momento della successione apertasi in data (OMISSIS) con il decesso del B.A.. Ciò premesso, la Corte distrettuale ravvisava l’infondatezza di tutte le doglianze formulate nell’interesse del B.E. con riferimento al rito (poichè la controversia ineriva la divisione ereditaria con riferimento a bene già assegnato in favore del "de cuius" e già riscattato), con riguardo alla questione di prescrizione del diritto all’accettazione dell’eredità da parte di B.R., B.L., Bo.

R. e B.V. (poichè era rimasto comprovato che quest’ultime fossero nel possesso nel fondo e avessero tacitamente manifestato la volontà di accettare l’eredità in tempo utile) e con riguardo ai supposti errori nell’individuazione delle quote, del rispettivo valore e del criterio inerente la disposta attribuzione, oltre che in relazione al computo dei conguagli, dei rendiconti e del valore attribuito ai miglioramenti (da rapportare, invero, al costo affrontato). Nei confronti della suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione (riferito a quattro complessi motivi) il B.E., al quale hanno resistito, con un unico controricorso, tutte le cinque intimate.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 784 c.p.c. e dell’art. 1113 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4), per omessa pronuncia su questione di diritto, rilevabile d’ufficio, decisiva per il giudizio (in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5), per vizio di motivazione, per "errores in procedendo" su un punto decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5).

In particolare, con la tale complessa doglianza il ricorrente, oltre a dedurre il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo per la controversia, ha chiesto a questa Corte di risolvere le seguenti questioni di diritto: "a) se, in tema di assegnazione di terre di Riforma agraria, la L. n. 386 del 1976, art. 10 comporta che, col pagamento della quindicesima annualità del prezzo di assegnazione, si estingue "ex lege" la concessione- contratto contenente vendita con patto di riservato dominio e segna il momento di mutamento del regime giuridico di detti beni ed il trasferimento dell’immobile in piena proprietà all’assegnatario – con la conseguenza che, essendo la L. n. 151 del 1975 introduttiva del regime legale di comunione tra i coniugi anteriore a quella n. 386 del 1976, il fondo viene acquisito alla comunione dei coniugi in parti uguali e che, nella fattispecie, L.C.M.R., nel 1992, allorchè l’Ente concedente aveva rilasciato quietanza di pagamento del prezzo di assegnazione ed autorizzato la cancellazione del riservato dominio sul podere in discussione, a favore del coniuge, ha conseguito la proprietà del 50% dello stesso oltre una quota di eredità parti ad 1/4 della metà; b) dica la Corte se il giudizio di divisione ereditaria tende all’accertamento del diritto di ciascun condividente ad una quota ideale dell’asse ereditario ed alla sua trasformazione in un diritto di proprietà esclusiva su una corrispondente porzione di beni del "de cuius" tale che siffatto accertamento non può prescindere dalla indagine in ordine all’effettiva consistenza dell’asse ereditario e, quindi, alla titolarità dei beni in capo al "de cuius", nè dalla verifica della qualità di erede in capo alle persone che partecipano al giudizio di divisione. Infine, che tale diritto non può accertarsi e trovare tutela in giudizio solo sulla base delle rispettive difese delle parti o sull’assenza di contestazione a riguardo – dovendo – le parti medesime – allegare e provare oltre alla propria qualità di erede – accettazione tempestiva – il fatto che i beni in oggetto di divisione all’epoca dell’apertura della successione – fossero compresi nell’asse ereditario e che, in mancanza, il giudice deve dichiarare inammissibile in radice la domanda di divisione ereditaria (così come, nel caso in esame, quella proposta da Bo.An. e le sue sorelle sulla quale nessuna verifica era stata effettuata nel senso sopra detto)". 1.1. Rileva il collegio che la complessa (ed invero disarmonica) doglianza è destituita di fondamento.

Sulla specifica questione dedotta concernente l’assegnazione del fondo appartenente all’E.R.S.A.C., osserva il collegio che la Corte territoriale ha esattamente osservato che ogni aspetto ad esso attinente fosse coperto dal giudicato intervenuto con la sentenza della Corte di appello di Salerno n. 301 del 1996, con il quale era stato statuito, in via definitiva, che il podere oggetto della controversia (in virtù dell’assunta retroattività della L. n. 191 del 1992) non fosse più da ritenersi indivisibile (senza che tale "decisum" sia stato impugnato in sede di legittimità, con la sua conseguente incontrovertibilità, ancorchè in distonia rispetto alla giurisprudenza di questa Corte) ed era, perciò, entrato nella massa ereditaria al momento della successione apertasi in data (OMISSIS) con il decesso dell’assegnatario B.A., con la conseguenza che al coniuge superstite del "de cuius", L.C. M.R., spettava – in virtù della normativa precedente all’entrata in vigore della L. n. 151 del 1975 (sulla riforma del diritto di famiglia) – un semplice usufrutto su una quota del podere, consolidatosi, di seguito, in favore dei propri eredi legittimi (i sei figli) all’atto della sua morte. Pertanto, ogni censura involgente il riesame del predetto giudicato è in questa sede inammissibile (cfr., ad es., Cass. n. 9512 del 2009), rimanendo, perciò, preclusa – come puntualmente rilevato dalla Corte distrettuale – ogni ragione del contendere concernente il già intervenuto rigetto della domanda di assegnazione in dipendenza della inglobazione nella massa ereditaria del B.E. e della necessità della conseguente divisione.

Pertanto, alla stregua di tale presupposto, ogni contestazione sull’assunta insussistenza delle condizioni per procedere allo scioglimento della comunione immobiliare riguardante il podere già assegnato dall’E.R.S.A.C, al predetto B.E. è destituita di fondamento perchè, come detto, la necessità della divisione giudiziale discendeva proprio dagli effetti dell’evidenziata sentenza passata in giudicato.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione della L. n. 1078 del 1940, art. 7 nonchè il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’uffiico ex art. 360 c.p.c., n. 5. Al riguardo, oltre al vizio motivazionale, la difesa, del B.E. ha chiesto alla Corte di risolvere la seguente questione giuridica: "dica la Corte se, in materia di successione per causa di morte nella titolarità delle unità poderali assegnate in applicazione delle leggi sulle Riforma fondiaria dopo l’avvenuto riscatto e prima dell’avvento della L. n. 191 del 1992, la disciplina applicabile nelle singole fattispecie va individuata facendo riferimento al tempo dell’apertura della successione e, nel caso di specie, al momento dell’assegnatario originario B.A., avvenuta nel 1972, e che al relativo procedimento deve partecipare il P.M. – come previsto dalla L. n. 1078 del 1940, art. 7 – sia nell’ipotesi in cui si proceda con rito camerale che ordinario – pena la nullità dell’intero procedimento e della sentenza conclusiva – da dichiararsi "ex officio". 2.1. Il motivo è palesemente privo di pregio, dal momento che il giudizio di divisione ereditaria conseguente al suddetto giudicato (nel quale non poteva più discutersi degli aspetti attinenti all’assegnazione del podere, già oltretutto riscattato) veniva ad inquadrasi come una causa ordinaria, in ordine alla quale non sussisteva – come ancora esattamente ha posto in risalto la Corte territoriale – alcuna necessità nè della presenza del P.M. nè dell’integrazione del contraddittorio con l’E.R.S.A.C, (invero indispensabili solo nelle controversie, da trattare con il rito camerale, previste dalla L. n. 1078 del 1940, art. 7 e dalla L. n. 379 del 1967, art. 10).

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 475,476 e 480 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5). In particolare, con tale doglianza, oltre al vizio motivazionale, il difensore del B.E. ha demandato a questa Corte di rispondere alla seguente questione di diritto: "dica la Corte se, in tema di successione ereditaria, la semplice delazione che segue all’apertura della successione ereditaria non è di per sè sufficiente a determinare l’acquisto della qualità di erede, occorrendo a tal fine che il chiamato proceda all’accettazione o mediante una precisa dichiarazione di volontà od assunzione del titolo di erede in un atto pubblico o in una scrittura privata, ovvero mediante atti o comportamenti che presuppongono necessariamente la volontà di accettare, non essendo sufficiente la immissione in possesso dei beni ereditari, la denuncia di successione ed il pagamento della imposta: tanto nel termine perentorio di dieci anni dall’apertura della successione pena la decadenza – prescrittiva – dal diritto di accettare l’eredità e che, quindi, le sorelle B.R., Ra., V. e L. non sono state riconosciute dal ricorrente B.E. come eredi del "de cuius" B.A. con la semplice evocazione in giudizio di selezione dell’erede da designare a subentrare nel rapporto concessorio dell’originario assegnatario, durante il decorso del decennio dall’apertura della successione – anno 1972 – essendo le stesse rimaste contumaci ed, infine, che l’assegnazione fatta alla sorella An., quale aspirante a subentrare nel rapporto di assegnazione del defunto genitore, costituisce rinuncia delle stesse alla qualità di erede". 3.1. Anche questo motivo non è meritevole di accoglimento.

Diversamente da quanto assunto con la censura in questione, la Corte di appello di Salerno, con motivazione logica e sufficiente, ha dato atto dell’esistenza di tutta una serie di documenti e di comportamenti ascrivibili alle sorelle R., Ra., V. e B.L., nonchè delle risultanze dei giudizi pregressi svoltisi tra le parti in causa, dai quali era evincibile univocamente che si fosse venuto a verificare il presupposto dell’accettazione tacita dell’eredità da parte delle stesse (e, del resto, lo stesso B.E. aveva riconosciuto la qualità di eredi di tutte le sorelle, rivendicando di essere lui, tra gli eredi, quello ad essere munito dei requisiti per succedere nel rapporto di assegnazione del podere: cfr. pag. 9 della sentenza impugnata), non avendo valorizzato, al riguardo, solo l’elemento del possesso incontestato di una parte del fondo oggetto di divisione (v. pagg. 9 e 10 della sentenza impugnata). Pertanto, la Corte territoriale ha dato seguito alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’accettazione di eredità può essere desunta anche dal comportamento dei chiamati che abbiano posto in essere una serie di atti incompatibili con la volontà di rinunciare o che siano concludenti e significativi della volontà di accettare (cfr., ad es., Cass. n. 7075 del 1999 e Cass. n. 10796 del 2009), senza che, a tal riguardo, possa avere rilievo in senso contrario – diversamente da quanto dedotto dal ricorrente – la circostanza che le menzionate quattro sorelle fossero rimaste contumaci nel presupposto giudizio relativo alla controversia sull’assegnazione del podere ex E.R.S.A.C. (cfr. Cass. n. 13384 del 2007).

4. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 718, 720, 723 e 1114 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5). Anche in relazione a detta doglianza il ricorrente, oltre alla prospettazione del vizio motivazionale, ha chiesto alla Corte di risolvere le seguenti questioni di diritto: a) "dica la Corte se, in tema di divisione giudiziale, la non comoda divisibilità di un immobile, integrando un’eccezione al diritto potestativo di ciascun partecipe alla comunione di conseguire i beni in natura, può ritenersi giustificata solo quando risulti rigorosamente accertata la ricorrenza dei suoi presupposti, costituiti dalla irrealizzabilità del frazionamento dell’immobile o dalla sua realizzabilità, a pena di notevole deprezzamento o dalla impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento – non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive ed in particolare operare, a norma dell’art. 720 c.c., l’accertamento della comoda divisibilità del bene, tenendo conto dell’aspetto economico, funzionale e materiale – con la formazione di un numero di quote omogenee di eguale valore"; b) dica la Corte se, in tema di divisione giudiziale di un bene immobile rinveniente da Riforma fondiaria, già preordinato ad insediare un’impresa coltivatrice familiare, ai sensi della L. n. 230 del 1950, artt. 1 e 16 la divisione del predio, tenuto conto anche delle limitazioni urbanistiche del luogo, prova notevole deprezzamento dello stesso e pregiudica l’esigenza produttiva dal punto di vista autonomo e funzionale di ogni quota perchè non idonea ad assolvere la stessa funzione economica dell’intero ed inoltre che il frazionamento, nel caso possibile, può comportare l’obbligo – per un condividente – di versare agli altri un conguaglio in danaro solo nella ipotesi in cui non sia consentita la formazione di quote di eguale valore"; "c) dica la Corte che l’obbligo di rendiconto, ex art. 723 c.c., da parte del condividente che ha goduto una porzione del bene ereditario maggiore degli altri, è soggetto a prescrizione e decorre dalla specifica domanda o, comunque, dal momento in cui il bene si ritiene acquisito all’asse ereditario". 4.1. Anche quest’ultimo complesso motivo è privo di fondamento.

La Corte territoriale – anche sotto questo profilo, con motivazione logica ed adeguata, oltre che rispondente ai principi giuridici affermati dalla giurisprudenza di questa Corte – ha dato atto, ai fini della maggiore utilità dello scioglimento della comunione immobiliare, della linearità delle operazioni divisionali compiute dal c.t.u. in primo grado, con le quali era stato congruamente ritenuto di assegnare ad ogni condividente un quota dell’immobile di pari estensione, con la conseguenza che la diversa determinazione della misura dei conguagli computati era scaturita dalla divisione dell’entrostante fabbricato che, in virtù della sua struttura ed individualità, non aveva consentito un’eguale attribuzione.

Confermando in tal senso il percorso argomentativo osservato dal primo giudice, la Corte ha, altresì, motivatamente convenuto con il recepimento della c.t.u., mediante la quale era stato individuato un valore unitario da attribuire al podere, ricalcolandolo anche in base ad altro criterio (quello della capitalizzazione delle rendite), così pervenendosi alla determinazione della rendita ritraibile alla stregua di criteri appropriati, procedendosi alla congrue stime dei miglioramenti, delle rendite e dei necessari conguagli, valutando anche il riconoscimento di valore differenziato alla parte del fondo detenuta dal B.E. (situata lungo la strada pubblica), nonchè il valore attribuito all’unità abitativa al medesimo assegnata, tenuto conto della sua estensione e delle sue destinazioni.

In tal senso, perciò, la Corte territoriale si è conformata alla giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 16219 del 2008 e Cass. n. 3029 del 2009) con riferimento alla censure mosse avverso il progetto divisionale, secondo la quale il principio stabilito dall’art. 727 c.p.c., in virtù del quale nello scioglimento della comunione il giudice deve formare lotti comprensivi di eguali quantità di beni mobili, immobili e crediti, non ha natura assoluta e vincolante, ma costituisce un mero criterio di massima, con la conseguenza che resta in facoltà del giudice della divisione formare i lotti anche in maniera diversa, là dove ritenga (come verificatosi nella specie) che l’interesse dei condividenti sia meglio soddisfatto attraverso l’attribuzione di singoli immobili, piuttosto che attraverso il loro frazionamento (non essendo, in altri termini, necessario un frazionamento "quotistico" uguale dei distinti cespiti), ed il relativo giudizio è incensurabile in cassazione, se adeguatamente motivato (come ha fatto la Corte territoriale). Del resto, il concetto di comoda divisibilità di un immobile presupposto dall’art. 720 c.c. postula (v. Cass. n. 14540 del 2004 e Cass. n. 12498 del 2007), sotto l’aspetto strutturale, che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento, che possano formarsi senza dover fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi e, sotto l’aspetto economico-funzionale, che la divisione non incida sull’originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote rapportate proporzionalmente al valore dell’intero, tenuto conto dell’usuale destinazione e della pregressa utilizzazione del bene stesso.

In altre parole, in tema di divisione giudiziale, l’art. 720 c.c., che disciplina l’ipotesi della non comoda divisibilità di immobili, costituisce una deroga al principio generale posto dall’art. 718 c.c., il quale attribuisce a ciascun coerede il diritto di conseguire in natura la parte dei beni a lui spettanti, con la conseguenza che può essere ritenuta la non comoda divisibilità di un immobile ove risulti accertata la ricorrenza dei suoi presupposti i quali consistono, sotto l’aspetto strutturale (a parte l’ipotesi estrema della irrealizzabilità fisica del frazionamento), nella impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessivi, e non richiedenti opere complesse e di notevole costo e, sotto l’aspetto economico funzionale, nel sensibile deprezzamento del valore delle porzioni rispetto al valore dell’intero.

Con riferimento all’ultima censura relativa al supposto assoggettamento dell’obbligo di prestare il rendiconto a prescrizione il collegio ne ravvisa l’inammissibilità poichè trattasi di questione nuova, non risultata dedotta nelle pregresse fasi del giudizio e, in ogni caso, il ricorrente non ha assolto, al riguardo, all’onere di autosufficienza del ricorso, trascrivendo le doglianze ritenute in proposito formulate con l’atto di appello, non senza rilevare che, peraltro, il ricorrente non ha propriamente dedotto in merito (come avrebbe dovuto fare: v. Cass. n. 12952 del 2007 e Cass. n. 26598 del 2009) il vizio di omessa pronuncia riconducibile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. 5. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con conseguente condanna del soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti in via fra loro solidale, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2A Sezione civile, il 13 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *