Cass. civ. Sez. II, Sent., 28-05-2012, n. 8492

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 23-3-1977 B.E. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Lamezia Terme i germani B.G., B.F. e B.M.L. esponendo che con atto per notaio Fiore Melacrinis del 29-8-1973 il comune genitore B.A. aveva effettuato una donazione in favore di tutti i predetti figli in parti uguali tra loro e "pro indiviso" di un immobile adibito ad oleificio sito in (OMISSIS), con l’onere a carico dei donatari di provvedere ad estinguere le garanzie reali gravanti su detto bene, costituite da altrettante ipoteche a favore della Ditta F.lli Raffaele, della Banca Popolare di Nicastro e dei F.lli Sensi; intervenuta l’accettazione della donazione da parte dei donatari con atto per notaio fiore Melacrinis dell’11-11-1973, l’attore, anche per conto degli altri germani, aveva provveduto ad estinguere il debito verso la Banca Popolare di Nicastro e verso i F.lli Sensi per un importo complessivo di L. 7.500.000 ottenendo la cancellazione delle relative ipoteche, ed aveva anticipato la complessiva somma di L. 9.900.000, tre quarti della quale avrebbe dovuto essergli rimborsata dai suddetti fratelli.

B.E. chiedeva quindi la condanna in solido dei convenuti al pagamento in suo favore della somma di L. 7.425.000 oltre interessi e rivalutazione, nonchè al risarcimento dei danni.

Si costituiva in giudizio B.G. contestando il fondamento della domanda attrice, deducendo che il defunto genitore, dopo aver recuperato un credito di L. 16.000.000, aveva affidato tale somma al figlio E. perchè provvedesse al pagamento della maggior parte delle passività all’epoca esistenti, e che con tale importo erano stati effettuati i pagamenti richiesti dall’attore con l’atto di citazione.

Si costituiva successivamente in giudizio B.F. che chiedeva il rigetto delle domande attrici per le medesime ragioni espresse dal predetto convenuto.

Interrotto il processo a seguito della dichiarazione del decesso di B.G., esso veniva riassunto nei confronti della sua erede, ovvero la moglie P.T., che si costituiva in giudizio.

Il Tribunale adito con sentenza del 9-11-2001 condannava i convenuti in solido al pagamento in favore dell’attore della somma complessiva di L. 7.425.000, di cui L. 5.898.000 per adempimento dell’obbligo assunto con l’accettazione della donazione del 28-8-1973 e L. 1.527.000 a titolo di rimborso di spese successorie, oltre interessi e rivalutazione, rigettava la domanda di risarcimento danni e condannava i convenuti in solido al rimborso delle spese processuali.

Proposto gravame da parte di P.T. e di F. B. cui resisteva B.E., nella contumacia di B.M.L., la Corte di Appello di Catanzaro con sentenza del 13-10-2005 ha rigettato l’appello e, per l’effetto, ha confermato l’impugnata sentenza, ed ha compensato interamente tra le parti le spese del giudizio di secondo grado.

Successivamente, a seguito di ricorso per errore materiale proposto dalla P. e da B.F., la stessa Corte territoriale con ordinanza del 20-2-2006 ha disposto che il dispositivo della sopra richiamata sentenza venisse corretto nel senso che laddove leggesi "rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza", deve invece leggersi ed intendersi "rigetta la domanda".

Avverso la suddetta sentenza e la successiva ordinanza E. B. ha proposto un ricorso articolato in cinque motivi cui la P. e B.F. hanno resistito con controricorso; il ricorrente ha successivamente depositato una memoria.

Motivi della decisione

Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione pregiudiziale dei controricorrenti di inammissibilità del ricorso per difetto di specialità della procura apposta in calce al ricorso stesso senza alcun riferimento ad esso; tale eccezione deve essere disattesa, costituendo orientamento consolidato di questa Corte che il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione, essendo per sua natura speciale, non richiede ai fini della sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso, cosicchè risulta irrilevante la mancanza di uno specifico richiamo al giudizio di legittimità, come nella fattispecie.

Venendo quindi all’esame del ricorso, si rileva che con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 769, 782, 793, 809, 1322, 1323, 1324, 1326, 1350, 1362, 1363, 1364, 1366, 1369 e 1371 c.c. e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che la "convenzione" redatta nella medesima data del 29-8-1973 nella quale era stata stipulata la donazione modale suddetta configurasse un mandato perchè finalizzata anche al pagamento dei debiti ivi elencati, mandato che sarebbe stato conferito da Ba.Al. ai figli per l’incasso del credito e per l’estinzione di tali debiti, a nulla rilevando che le operazioni fossero state effettuate soltanto da B.E.; invero la predetta convenzione, prevedendo la cessione di un credito di L. 18.000.000 da lui vantato nei confronti di tale G.G. ai figli che avessero accettato provvedendo alla estinzione delle ulteriori passività indicate nella stessa convenzione nonchè a versare ad Ba.Al. la somma di L. 100.000 mensili vita natural durante, integrava un atto di liberalità, posto che il credito ceduto aveva valore superiore agli altri debiti di cui si disponeva l’estinzione; si trattava quindi di una donazione indiretta o di un negozio "mixtum cum donatione" per i quali non era prescritto l’atto pubblico, con la conseguenza che le rispettive obbligazioni come pure i vantaggi della pattuizione venivano assunti soltanto dalle parti contraenti, e dunque da Ba.Al. e da E. B., l’unico dei figli ad aver accettato la liberalità, ma anche gli obblighi nascenti dal contratto; in ogni caso, poichè la cessione del credito nei confronti del G. era stata effettuata soltanto nei confronti dell’esponente, quest’ultimo, lungi dall’aver effettuato i pagamenti con denaro proprio che appartenesse anche ai fratelli, li aveva eseguiti con denaro proprio, così come con denaro proprio aveva versato le rate della rendita vitalizia a favore del genitore; pertanto i fratelli restavano obbligati alla restituzione di somme capitali ed accessori.

Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1322, 1323, 1324, 1326, 1352, 1372 e 1374 c.c, artt. 1260 – 1264 e 1265 c.c., artt. 1703 – 1709 e 1720 c.c., artt. 1362, 1363, 1364, 1366, 1369 e 1371 c.c. nonchè vizio di motivazione, sostiene che, pur escludendo lo scopo di liberalità nella menzionata convenzione, tuttavia si sarebbe dovuto ritenere che essa prevedeva, a fronte della cessione del credito verso il G. da parte di Ba.Al. in favore di tutti i figli, l’assunzione delle obbligazioni di estinzione di alcuni debiti e della corresponsione della rendita vitalizia, con la conseguenza che, avendo solo l’attuale ricorrente aderito a tale proposta, soltanto lui aveva ottenuto l’attribuzione del credito ceduto, così come solo su di lui erano ricaduti gli obblighi stabiliti in convenzione che B.E. aveva poi adempiuto.

In definitiva, quindi, anche a voler definire come un semplice mandato la convenzione stipulata tra Ba.Al. ed E. B., essa si configurava pur sempre quale contratto a titolo oneroso il cui corrispettivo per volontà delle parti era stato fissato nella somma residua che sarebbe rimasta al cessionario del credito una volta che fossero stati pagati i debiti indicati nella convenzione medesima ed una volta che il soggetto o i soggetti obbligati avessero adempiuto anche alla corresponsione della rendita vitalizia.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondate.

La Corte territoriale ha affermato che con atto (o convenzione) del 29-8-1973 B.A. aveva ceduto a tutti i figli il credito di L. 18.000.000 da lui vantato nei confronti di tale G. G. a condizione che con la somma ricavata di estinguessero i debiti da lui contratti, e che dall’estratto conto acquisito agli atti era emerso che B.E., dopo aver incassato detto credito, aveva pagato per un importo complessivo di L. 15.100.000 numerosi debiti, tra i quali quelli ricompresi nella donazione per atto pubblico sopra richiamati, e comunque i debiti relativamente ai quali l’attuale ricorrente ha chiesto nei confronti dei coeredi il rimborso "pro quota"; sulla base di tali premesse di fatto il giudice di appello ha ritenuto che la predetta convenzione, in quanto finalizzata anche al pagamento dei debiti ivi elencati, rappresentava un mandato, conferito da Ba.Al. ai figli, per l’incasso del suddetto credito e per il pagamento dei debiti predetti, a nulla rilevando che tali operazioni fossero state effettuate dal solo B.E.; la sentenza impugnata ha aggiunto che in ogni caso la convenzione in questione non poteva configurarsi come una donazione, tenuto conto dell’entità dell’importo, rapportato all’epoca, difettando il requisito dell’atto pubblico richiesto "ad susbtantiam" dall’art. 782 c.c..

Orbene l’interpretazione della convenzione del 29-8-1978 si rivela frutto di un accertamento di fatto da parte della Corte territoriale sorretto da congrua e logica motivazione, in conformità sia del criterio ermeneutico letterale che di quello sistematico, essendo stata evidenziata la volontà di Ba.Al. di costituire con essa una provvista (mediante la cessione del suo credito verso il G.) onde estinguere le diverse passività che facevano capo al comune genitore delle parti in causa, ivi comprese quelle richiamate nella donazione a rogito Melacrinis, cosicchè corretto sotto l’aspetto logico – giuridico appare il riferimento alla figura del mandato; tale ricostruzione della volontà delle parti è comunque immune dai profili di censura sollevati dal ricorrente, inammissibilmente tendenti semplicemente a prospettare una diversa configurazione di tale convenzione diversa ed a sè più favorevole, senza peraltro specificare i canoni ermeneutici in concreto asseritamente violati ed il modo in cui il giudice di merito si sia da essi discostato, e trascurando di considerare che l’interpretazione della volontà contrattuale da parte di quest’ultimo, per risultare sottratta al sindacato di legittimità, non deve necessariamente essere l’unica possibile, essendo sufficiente che sia una delle possibili e plausibili interpretazioni;

inoltre l’assunto del ricorrente in ordine alla configurabilità della convenzione in questione come donazione indiretta o "negotium mixtum cum donatione", oltre che rivelarsi contraddittorio con l’affermazione dello stesso B.E. in ordine alla natura aleatoria di essa (sia per l’incertezza in ordine all’effettivo incasso del credito vantato da Ba.Al. nei confronti del G. sia con riferimento all’adempimento del contratto di rendita vitalizia a favore del padre consistente nella corresponsione di L. 100.000 mensili in suo favore, vedi pagine 19-20 del ricorso), appare carente relativamente all’indispensabile elemento dello spirito di liberalità che informa entrambi i due richiamati istituti, ovvero circa la necessaria significativa entità della sproporzione tra le rispettive prestazioni dei contraenti, e dunque nella fattispecie tra il credito ceduto ed i debiti che avrebbero dovuto essere estinti con la riscossione di tale credito, non essendo stato dedotto nulla di specifico in proposito.

Pertanto dalla richiamata impostazione seguita dal giudice di appello discende logicamente la conseguenza della irrilevanza del fatto che soltanto B.E. avesse dato esecuzione al suddetto mandato, posto che la sopra indicata destinazione del credito ceduto da Ba.Al. alla estinzione delle passività che gravavano su quest’ultimo, destinazione di cui l’attuale ricorrente era ben consapevole, esclude in radice che egli avesse provveduto ad estinguere tali debiti con denaro proprio, e che potesse quindi richiedere ai fratelli il rimborso "pro quota" di quanto pagato, in adempimento del suddetto mandato, con denaro del padre.

Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 287 e 288 c.p.c. e nullità della sentenza ex artt. 132-156 e 161 c.p.c., rileva che il giudice di appello ha errato, con statuizione che si riverbera sulla legittimità della sentenza impugnata, a ritenere con l’ordinanza sopra menzionata che la originaria pronuncia di rigetto dell’appello costituisse un vizio emendabile, e non invece un vero e proprio "error in iudicando" con il conseguente contrasto tra motivazione e dispositivo.

La censura è infondata.

L’ordinanza impugnata ha rilevato che il dispositivo della sentenza del 13-10-2005, laddove si leggeva "rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza", era frutto di un evidente errore materiale di battitura, in quanto dalla motivazione si evinceva in maniera certa l’effettiva volontà del giudicante di riforma della sentenza di prime cure, e di rigetto della domanda proposta da B.E., ed ha quindi ritenuto che il vizio riscontrato poteva essere emendato ai sensi degli artt. 287 e 288 c.p.c.; tale assunto deve essere pienamente condiviso, posto che il convincimento della sentenza impugnata in ordine alla infondatezza della domanda introdotta dall’attuale ricorrente traspare chiaramente da tutte le argomentazioni coerentemente svolte nella motivazione, e che quindi la formulazione del suddetto dispositivo è conseguenza di un mero errore materiale, cui era possibile porre rimedio con la procedura di correzione prevista dagli artt. 287 e 288 c.p.c..

Con il quarto motivo il ricorrente, deducendo nullità della sentenza ex artt. 132-156 e 161 c.p.c. nonchè vizio di motivazione, evidenzia che, mentre a pagina 13 della sentenza impugnata è stata ritenuta la sussistenza di giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio, nel dispositivo sono state compensate le spese soltanto del giudizio di secondo grado, cosicchè non era comprensibile, considerato il semplice rigetto della domanda senza declaratoria di riforma della decisione di primo grado, se la statuizione del giudice di primo grado sulle spese di giudizio fosse o meno rimasta efficace.

La censura è inammissibile per difetto di interesse.

Premesso invero che effettivamente il giudice di appello, dopo aver ritenuto in motivazione la sussistenza di giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio, nel dispositivo ha compensato soltanto le spese del giudizio di secondo grado, a seguito di un evidente errore materiale, si ritiene l’insussistenza di un interesse del ricorrente ad impugnare tale statuizione, posto che non è ravvisabile una diversa regolamentazione delle spese del giudizio di primo grado per esso più favorevole, considerata la sua soccombenza al riguardo all’esito della sentenza di appello.

Con il quinto motivo il ricorrente, deducendo nullità della sentenza ex artt. 132-156 e 161 c.p.c. nonchè vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che non vi era la prova di alcuni pagamenti riportati nel conto e che gli stessi erano stati contestati dalle parti costituite; tale assunto si poneva in contrasto con altro passaggio della motivazione nel quale si dava per scontato l’avvenuto pagamento da parte dell’esponente di tutte le partite debitorie riportate nell’estratto-conto, ed anche con le stesse argomentazioni ed eccezioni avanzate dalle controparti, le quali non avevano mai posto in dubbio la effettività dei suddetti pagamenti.

La censura è inammissibile.

La Corte territoriale ha ritenuto "solo incidentalmente" che di alcuni pagamenti asseritamente eseguiti da B.E. e della loro causale non vi era prova, e che gli stessi erano stati contestati dalle parti costituite; orbene è evidente che tali affermazioni non costituiscono la "ratio decidendi" dell’impugnata sentenza, e che quindi, configurando una motivazione "ad abundantiam", non sono suscettibili di impugnazione in sede di legittimità per difetto di interesse (vedi "ex multis" Cass. 5-6- 2007 n. 13068).

In definitiva il ricorso deve essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 1500,00 per onorari di avvocato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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