Cass. civ. Sez. II, Sent., 28-05-2012, n. 8491 Adempimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione dell’1.2.1999 i coniugi Ha.Eb. e M. R., premesso che: con ricorso per sequestro conservativo del 28.10.1998 avevano esposto che il 16.4.1997 R.C.M. M. e R.H.G.M. avevano loro venduto con scrittura privata una unità immobiliare sita in (OMISSIS) per il concordato corrispettivo di 275.950 DM (di cui 6000 DM per il parcheggio coperto di autovettura), in conto del quale avevano attestato di aver ricevuto, fino a quella data, 134.000 DM mentre il residuo prezzo sarebbe stato pagato in successive tre rate di 52.000 + 52.000 – 37950 DM rispettivamente dopo aver costruito le mura, i soffitti, i pavimenti dopo aver messo porte, finestre e finiture del bagno e, infine alla consegna delle chiavi; che, con scrittura 24.10.1997 R.C.M. M. aveva dichiarato di accettare il comunicato recesso dall’affare dei coniugi Ha. e si era impegnata a restituire la somma di 160.000 DM fino a tale data a lei versati, prima possibile, al più tardi quando l’appartamento "verrà di nuovo venduto", appartamento che sarebbe restato, comunque, venduto ad essi ricorrenti; che l’immobile non era stato completato, la piscina non era stata realizzata e l’impresa esecutrice vantava un ingente credito ed altra promittente acquirente. J.J., era stata costretta a chiedere il 27.7.1998, al Tribunale di Perugia l’autorizzazione ad eseguire sequestro conservativo su beni oggetto di un risolto preliminare di compravendita di porzione immobiliare attigua a quella promessa in vendita ai ricorrenti, sequestro autorizzato il 7.8.1998; che i promittenti venditori, benchè diffidati con raccomandata a.r.. non avevano provveduto a restituire la somma di DM 160.000 nè a consegnare l’immobile; che il sequestro era stato autorizzato; convenivano i fratelli R. per la convalida del sequestro, per la declaratoria di risoluzione per espressa e consensuale volontà delle parti e per la condanna alla restituzione di 160.000 DM + 6000 (Caparra) oltre interessi.

Si costituiva R.C.M.M. chiedendo la revoca del sequestro e di dichiarare che nulla doveva.

Con sentenza 17.5.2002 il Tribunale dichiarava sciolto per mutuo consenso il contratto e i convenuti tenuti a restituire Euro 84.474,45 oltre interessi fissando il termine del 30.11.2002 per l’adempimento, oltre spese, decisione parzialmente riformata dalla corte di appello di Perugia, con sentenza n. 72/05, a seguito di distinte impugnazioni dei R., poi riunite.

La Corte territoriale dichiarava la nullità della citazione in primo grado di R.H.G.M., con retrocessione degli atti in primo grado.

Dichiarava Mo.Ha.Ro. carente di legittimazione e ne disponeva l’estromissione dal giudizio, determinava in Euro 81806,40 (DM 160.000) oltre interessi la somma da restituire ad Eb.

H. da R.C.M.M., regolava le spese.

Per quanto ancora interessa era incontrovertibile che il rapporto fondamentale dovesse ritenersi sciolto per mutuo consenso come comprovato dalla scrittura 24.10.1997 e dai comportamenti delle parti e che R.C.M.M. fosse debitrice di 160.000 DM, dovendosi escludere 6000 DM asseritamente versati come caparra, somma non provata.

Si richiamava la scrittura.

Ricorre R.C.M.M. con due motivi, resistono gli Ha., che hanno anche presentato memoria.

Motivi della decisione

Col primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 1183 c.c. perchè il tribunale avrebbe fissato il termine del 30 novembre 2002 per l’adempimento applicando erroneamente detta norma, in quanto nella specie il termine non era indeterminabile.

Col secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 1186 c.c. sotto il duplice profilo dell’inapplicabilità della norma alle obbligazioni, quale quella in questione, con prestazione a carico di una sola parte, nonchè in relazione, comunque, all’insussistenza di uno stato di insolvenza. Le censure non meritano accoglimento.

Il primo motivo è infatti inammissibile, essendo rivolto a censurare la decisione del tribunale e non quella della Corte di appello, con riferimento alla motivazione della quale non contiene alcuna specifica argomentazione, volta a censurare, sotto i profili consentiti in questa sede, l’interpretazione della scrittura del 24 ottobre 1997.

Il secondo motivo è infondato, per un verso essendo il disposto dell’art. 1186 c.c. – a norma del quale, anche se il termine sia stabilito a favore del debitore, il creditore può esigere immediatamente la prestazione "se il debitore è divenuto insolvente" – applicabile ad ogni fattispecie in cui sia presente un obbligo di prestazione.

Per altro verso in quanto lo "stato di insolvenza" al quale fa riferimento la norma è costituito da ogni situazione, anche temporanea, che non consenta al debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, senza che esso debba rivestire carattere d’irreversibilità, essendo sufficiente che si colleghi a una situazione di difficoltà economica e patrimoniale idonea ad alterare, in senso peggiorativo, le garanzie patrimoniali offerte dal debitore, da valutarsi – come ha fatto la Corte di appello – con riferimento al momento della decisione (Cass. 18 novembre 2011 n. 24330).

Sul punto la motivazione della sentenza è congrua e adeguata e non viene criticata con argomenti idonei a inficiarla.

Il ricorso pertanto va rigettato, con la conseguente condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese liquidate in Euro 4700. di cui 4500 per onorari, oltre accessori.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *