Cass. civ. Sez. II, Sent., 28-05-2012, n. 8489 Distanze legali tra costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

V.M. nel 2002 adiva il tribunale di Venezia per far accertare: a) che aveva acquisito per usucapione il diritto di mantenere a distanza inferiore a quella legale garage e magazzino edificati sul lato ovest della proprietà sita in (OMISSIS); b) che i convenuti B.R. e B.M. avevano edificato, a distanza non legale dal confine, un garage, di cui ella domandava la rimozione.

Il tribunale respingeva la prima domanda della V., ma accertava che il garage dei convenuti non rispettava la distanza legale di 5 mt dal confine.

Li condannava anche al pagamento di Euro 516,00 a titolo di risarcimento danni.

Le parti proponevano appello, ma la Corte lagunare il 24 agosto 2009 rigettava tanto il gravame principale, interposto da R. B., che quelli incidentali delle altre parti.

V.M. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 6 luglio 2010.

B.R. ha resistito con controricorso. B.M. è rimasto intimato. Sono state depositate memorie.

Motivi della decisione

La Corte ha rilevato che nel 1991, epoca in cui era stata instaurata al trai lite dalla dante causa dei B., non era maturata l’usucapione ventennale vantata dall’attrice V., smentita dall’analisi delle deposizioni testimoniali, nonchè dalle risultanze della consulenza T. e dei rilievi aerofotogrammetrici acquisiti.

Quanto all’appello incidentale B., la Corte ha osservato che l’art. 19, comma 11 delle Norme tecniche della Variante al PRG del 1998 doveva essere interpretato nel senso che i nuovi fabbricati non potevano sorgere a distanza inferiore a metri tre da preesistenti edifici circostanti, se questi ultimi erano privi di pareti finestrate, cosa che non si verificava nella specie, essendo il fabbricato V. "dotato di una parete finestrata". Riteneva quindi irrilevante che l’edificio oggetto di ricostruzione, come nella specie quello dei B., fosse o meno finestrato, poichè sorgeva sorgeva a m 4,30 dal confine, inferiore a quella prevista in caso di presenza di pareti finestrate circostanti.

La Corte di appello ha confermato integralmente la sentenza di primo grado, rilevando che non poteva esaminare l’appello incidentale V., che domandava l’arretramento del garage B. a 10 mt dal confine, perchè appello condizionato a quello avversario, che era stato respinto.

Il primo motivo di ricorso, che lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 184 c.p.c., e dell’art. 213 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, concerne il tema dell’usucapione della servitù in ordine alla distanza del garage dal confine.

Parte ricorrente deduce che la Corte di appello ha fatto prevalere le risultanze dei testi indotti da parte B. su quelle, opposte, provenienti da parte V., fondandosi sul riscontro che le prime avrebbero trovato con la documentazione acquista dal consulente.

Sostiene che si tratterebbe di documentazione acquisita in violazione dei principi in materia di preclusioni istruttorie e quindi inutilizzabile, con conseguente necessità di nuova motivazione.

Si tratta in particolare (cfr ricorso pag. 25) di allegati ad una pratica di licenza edilizia V. e di rilievi aereo fotogrammetrici effettuati per conto della Regione. Il ricorso evidenzia che i primi potevano essere acquisiti da parte B. con procedimento L. n. 241 del 1990, ex art. 22 mentre i secondi vengono forniti ai privati a pagamento dalla società privata che li effettua.

Non si tratterebbe quindi di fatti accessori validamente acquisiti al processo, ma di "documenti accertativi che dovevano essere prodotti dalla parte interessata secondo le regole dell’onere probatorio".

La tesi è infondata.

Secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, al consulente fu dato l’incarico di assumere informazioni presso la pubblica amministrazione e di acquisire e interpretare rilievi aerofotogrammetrici utili a chiarire la situazione.

Il consulente rilevò che nella pratica V. (concessione edilizia del 1977) erano stati presentati elaborati grafici dai quali non risultava la presenza di manufatti addossati al lato ovest dell’edificio. Rilevò inoltre che i rilievi dall’alto escludevano la presenza negli anni 1975-78 di volumi paragonabili al manufatto (pur più basso dell’attuale) che invece appariva nelle foto del 1983.

Questa documentazione, proveniente dalla pubblica amministrazione, era acquisibile dal giudice sia con il meccanismo di cui all’art. 213 c.p.c., sia mediante l’opera percipiente del consulente.

Essa non costituiva certo allegazione dei fatti principali, nè faceva parte della documentazione, in possesso della parte, che deve essere prodotta nel limite istruttorio di cui all’art. 184 c.p.c..

Nè si può sostenere l’esistenza di un obbligo di ricerca istruttoria, a carico di chi resiste alla pretesa altrui, che si spinga ad esplorare documentazione di incerta esistenza.

Nella specie il principio della vicinanza alla prova, che regola l’interpretazione dell’art. 2697 c.c., rende manifesto che solo parte V. (su cui quindi sarebbe ricaduto il vincolo preclusivo) doveva e poteva conoscere i propri elaborati grafici di progetto, ignoti alla controparte, dalla quale non potevasi pretendere l’onere, sulla base di un’ipotesi teorica, di ricercare se esistessero elaborati di progetto della stessa attrice tali da smentire la pretesa azionata.

Nè era onere dei resistenti, potendo affidarsi all’imparziale verifica giurisdizionale, opportunamente sollecitabile in corso di causa, procurarsi i rilievi dall’alto, di cui la pubblica amministrazione dispone e che possono essere acquisiti ex officio, salve le accortezze istruttorie volte a consentire il contraddittorio sui documenti eventualmente rinvenuti dal consulente o forniti dall’ente pubblico competente.

Sono stati pertanto ben applicati principi già espressi alla giurisprudenza di questa Corte (cfr Cass. 24323/07; 13428/07) secondo i quali rientra nel potere del consulente tecnico d’ufficio attingere "aliunde" notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni formanti oggetto del suo accertamento, quando ciò sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli. Dette indagini, quando ne siano indicate le fonti in modo che le parti siano messe in grado di effettuarne il dovuto controllo, possono concorrere alla formazione del convincimento del giudice.

Il rigetto del primo motivo rende inconsistente la seconda censura, che attiene al vizio di motivazione della sentenza, in quanto basata sull’esame testimoniale condotto alla luce dei riscontri documentali di cui si è detto.

Il motivo cerca di mettere in evidenza incertezze ed opinabilità nella valutazione dei testimoni B. o di affermarne l’inattendibilità, ma la censura si risolve in una inammissibile richiesta di rivisitazione della decisione di merito, sorretta da motivazione plausibile, correlata ai documenti di provenienza insospettabile e quindi che non si presta a critiche decisive.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 5.000,00 per onorari, 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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