Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-10-2011) 17-11-2011, n. 42421

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Palermo confermò la sentenza emessa il 20.11.2008 dal giudice del tribunale di Agrigento, che aveva dichiarato C.G., V. A. e V.C. colpevoli del reato di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. b), ed il primo anche di violazione delle norme sul cemento armato ed antisismiche, condannandoli alle pene ritenute di giustizia, con la sospensione condizionale della pena e l’ordine di demolizione delle opere abusive.

In particolare, la corte d’appello ritenne che il permesso di costruire in sanatoria ottenuto dal C. il 9.10.2008 fosse illegittimo e andava quindi disapplicato perchè il manufatto superava l’indice massimo di fabbricabilità di 0,02 mc/mq previsto per le zone agricole (zona E) dal D.M. 2 aprile 1968, art. 7.

Osservò la Corte che il manufatto in questione era destinato per lo meno anche ad abitazione e quindi non si applicava il maggior indice di 0,06 previsto per i magazzini agricoli. Osservò anche che la norma del piano regolatore che prevedeva un indice più elevato per i magazzini era illegittima per contrasto con il D.M. 2 aprile 1968, art. 7 e pertanto andava comunque disapplicata.

C.G., V.A. e V.C. propongono tre distinti, ma identici, ricorsi per cassazione, deducendo:

1) inosservanza dell’art. 36, comma 1, e del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 45. Difatti, le norme del piano regolatore prevedono un indice di fabbricabilità di 0,06 per i fabbricati rurale, come quello di specie. La corte d’appello ha infatti erroneamente ritenuto, con una motivazione manifestamente illogica, che si trattasse di un manufatto destinato ad abitazione, mentre si trattava di un deposito di attrezzi e macchine agricole.

2) manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ritiene che si tratti di un immobile ad uso abitativo anzichè di un fabbricato rurale. La scriminante deve invece applicarsi avendo l’imputato agito nel rispetto del PRG e dei regolamenti comunali, con il parere favorevole degli uffici preposti.

3) violazione dell’art. 47 cod. pen. in quanto sussiste un errore dell’imputato su legge diversa da quella penale che ha causato un errore sul fatto costituente reato.

Motivi della decisione

I primi due motivi si risolvono in censure in punto di fatto della decisione impugnata, con le quali si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità, e sono comunque manifestamente infondati. La corte d’appello, infatti, ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto che il fabbricato in questione fosse destinato (quanto meno anche) a civile abitazione e non a magazzino per il deposito di attrezzi agricoli, in considerazione del fatto che il progetto prevedeva finestre su tutte le pareti, una rilevante superficie, per mq. 144 circa, di tompagnamenti dotati di camera d’aria interposta tra la doppia foglia di forato e corredata da materiale isolante, di servizi igienici, di copertura a falde coibentata e rifinita con manto di coppi siciliani, nonchè un portico obiettivamente non funzionale all’estensione di un mero magazzino ma palesemente destinato all’abbellimento dell’abitazione.

Erano quindi previsti complementi (portico) e accorgimenti progettuali costosi (coibentazioni, interposozioni di camere d’aria, coppi siciliani) sintomi di una destinazione ad abitazione e non a magazzino.

Il primo motivo peraltro è anche aspecifico. La sentenza impugnata infatti ha fondato la sua decisione su un doppio ordine di considerazioni. In primo luogo sul fatto che si tratta di fabbricato destinato ad abitazione e quindi non si applica la richiamata norma del PRG; e in secondo luogo che in ogni caso questa norma (che prevede un maggior indice di fabbricabilità per i manufatti rurali) è illegittima per contrasto con la norma inderogabile di cui al D.M. 2 aprile 1968, art. 7, sicchè, quand’anche si fosse trattato davvero di un magazzino rurale, la norma stessa si sarebbe dovuta disapplicare, con conseguente illegittimità e relativa disapplicazione, anche sotto questo profilo, del provvedimento di sanatoria.

Ora, questa seconda ed autonoma ratio decidendi da sola idonea a reggere la soluzione adottata dalla sentenza impugnata, non è stata in alcun modo investita con i motivi di ricorso, che quindi si rivela inidoneo a far venir meno la decisione della corte d’appello.

Il terzo motivo è manifestamente infondato perchè nel caso in esame il reato è costituito non già dall’aver utilizzato un permesso di costruire in sanatoria illegittimo ma erroneamente ritenuto legittimo, bensì di avere realizzato i rilevanti lavori edilizi di cui al capo di imputazione senza alcun permesso di costruire e senza un progetto redatto da professionista abilitato. Sull’esistenza dello elemento psicologico in ordine alla contravvenzione edilizia, quindi, non vi sono mai stati e non possono esservi dubbi.

I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili per manifesta infondatezza dei motivi.

In applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna dei ricorrenti singolarmente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, di ciascuno al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento ciascuno delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *