Cass. civ. Sez. VI, Sent., 28-05-2012, n. 8477 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorsi depositati in data 18 giugno 2007 presso la Corte d’appello di Roma, P.M., B.P. e C. A. hanno chiesto il riconoscimento dell’equa riparazione per la irragionevole durata di un processo, introdotto dinnanzi al TAR del Lazio con ricorso depositato il 22 luglio 1998 e concluso con sentenza depositata il 25 settembre 2006.

L’adita Corte d’appello ha ritenuto violata la durata ragionevole del processo per cinque anni circa, liquidando in favore di ciascuno dei ricorrenti la somma di Euro 5.000,00, computata sulla base di un importo di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, con interessi dalla data della domanda al saldo.

Per la cassazione di questo decreto P.M. propone ricorso sulla base di due motivi; l’intimata amministrazione non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e degli artt. 6, par. 1, e 13 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, e degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 cod. civ., dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia riconosciuto l’indennizzo solo in relazione agli anni di eccessiva durata del giudizio presupposto e non alla intera durata di tale giudizio, come imposto dalla giurisprudenza della Corte Europea.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione rilevando che la Corte d’appello, pur avendo affermato di volersi attenere ai parametri della Corte Europea, si è di fatto poi da tali parametri distaccata.

Il ricorso, i cui due motivi possono essere esaminati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, è infondato.

La giurisprudenza di questa Corte è saldamente orientata nel senso che ai fini della liquidazione dell’ indennizzo del danno conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, non deve aversi riguardo ad ogni anno di durata del processo stesso, essendo vincolante, per il giudice nazionale, la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole (Cass. 21597 del 2005).

Tale interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 è poi stata ritenuta immune da dubbi di costituzionalità, essendosi dichiarata manifestamente infondata la questione di costituzionalità del citato L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3, lett. a), nella parte in cui stabilisce che, al fine dell’equa riparazione, rileva soltanto il danno riferibile al periodo eccedente il termine di ragionevole durata, non essendo ravvisabile alcuna violazione dell’art. 117 Cost., comma 1, in riferimento alla compatibilità con gli impegni internazionali assunti dall’Italia mediante la ratifica della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali. Infatti, qualora sia sostanzialmente osservato il parametro fissato dalla Corte EDU ai fini della liquidazione dell’indennizzo, la modalità di calcolo imposta dalla norma nazionale non incide sulla complessiva attitudine della legislazione interna ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto in argomento, non comportando una riduzione dell’indennizzo in misura superiore a quella ritenuta ammissibile dal giudice Europeo; diversamente opinando, poichè le norme CEDU integrano il parametro costituzionale, ma rimangono pur sempre ad un livello subcostituzionale, dovrebbe valutarsi la conformità del criterio di computo desunto dalle norme convenzionali, che attribuisce rilievo all’intera durata del processo, rispetto al novellato art. 111 Cost., comma 2, in base al quale il processo ha un tempo di svolgimento o di durata ragionevole, potendo profilarsi, quindi, un contrasto dell’interpretazione delle norme CEDU con altri diritti costituzionalmente tutelati. Nè a conclusioni diverse perviene la stessa giurisprudenza della predetta Corte internazionale che – nei precedenti Martinetti e Cavazzuti c. Italia del 20 aprile 2010, Delle Cave e Corrado c. Italia del 5 giugno 2007 e Simaldone c. Italia del 31 marzo 2009 – ha osservato che il solo indennizzo, come previsto dalla Legge Italiana n. 89 del 2001, del pregiudizio connesso alla durata eccedente il ritardo non ragionevole, si correla ad un margine di apprezzamento di cui dispone ciascuno Stato aderente alla CEDU, che può istituire una tutela per via giudiziaria coerente con il proprio ordinamento giuridico e le sue tradizioni, in conformità al livello di vita del Paese, conseguendone che il citato metodo di calcolo previsto dalla legge italiana, pur non corrispondendo in modo esatto ai parametri enunciati dalla Corte EDU, non è in sè decisivo, purchè i giudici italiani concedano un indennizzo per somme che non siano irragionevoli rispetto a quelle disposte dalla CEDU per casi simili (Cass. n. 478 del 2011).

Il Collegio condivide tale orientamento, sicchè, avendo la Corte d’appello liquidato per gli anni eccedenti la ragionevole durata del processo presupposto un indennizzo di Euro 1.000,00 per anno, e quindi un indennizzo pienamente in linea con gli orientamenti della Corte Europea dei diritti dell’uomo e di questa Corte, il ricorso deve essere rigettato.

Non avendo l’amministrazione intimata svolto attività difensiva non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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