Cassazione civile anno 2005 n. 1084 Domande Separazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in cancelleria il 17 agosto 1991, X X conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Siena, il marito X X, al fine di sentir pronunciare la loro separazione personale, con addebito al marito. Inoltre, l’attrice chiedeva l’affidamento del figlio minore e l’assegnazione della casa coniugale. Nel corso del giudizio, la X introduceva un’ulteriore domanda volta ad ottenere l’accertamento della sua esclusiva proprietà sull’immobile. Il Tribunale di Siena, con sentenza depositata il 15 febbraio 1998: a) dichiarava la separazione giudiziale dei coniugi; b) disponeva l’affidamento del figlio minore alla madre, con regolamentazione delle visite e della frequentazione da parte del padre; c) assegnava alla madre la casa coniugale; d) poneva a carico del X un assegno di lire 1.800.000, di cui lire 600.000 per il figlio minore. Respingeva invece la domanda di accertamento della proprietà, non avendo l’attrice provato alcunchè in merito al preteso diritto dominicale esclusivo sull’immobile.
Avverso tale sentenza, X X proponeva gravame con atto di citazione dinnanzi alla Corte di appello di Firenze, notificato il 28 marzo 1997 e depositato il 5 aprile 1997. Nell’atto di appello, la X, oltre a dolersi della esiguità dell’assegno disposto per il figlio minore e della erroneità del criterio di calcolo legato esclusivamente alla stretta necessità, deduceva, quanto alla proprietà della casa coniugale, di avere fornito la prova del pagamento del relativo prezzo e che il rigetto della domanda non era motivato, e chiedeva, in ipotesi, la restituzione delle somme versate oltre il 50%. Nel resistere al gravame, il X, per quel che rileva nel presente giudizio di legittimità, deduceva che la domanda relativa alla casa coniugale era nuova e che l’eccezione di inammissibilità era stata tempestivamente proposta, mentre quella concernente il diritto di abitazione, se correlata al diritto reale, avrebbe dovuto essere considerata nuova e in quanto tale inammissibile, ovvero, se svincolata dalla coabitazione con il figlio, infondata; deduceva altresì la novità della domanda di restituzione del 50%.
La Corte di appello di Firenze dichiarava improponibile l’appello in ordine alla domanda attinente l’accertamento della proprietà esclusiva della casa coniugale e inammissibile l’appello in ordine alla domanda di separazione giudiziale, compensando tra le parti le spese. Il giudice del gravame rilevava che la trattazione congiunta di cause soggette a riti differenti può attuarsi, secondo le regole dell’art. 40 cod. proc. civ. (nel testo modificato dalla legge n. 353 del 1990) soltanto laddove tali cause siano connesse ai sensi degli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 cod. proc. civ.. Riteneva pertanto non ammissibile il cumulo in un unico processo della domanda di separazione giudiziale e di quella volta alla divisione della comunione, con accertamento della esclusiva proprietà della attrice e quindi improponibile quest’ultima domanda, perchè incompatibile con il rito camerale previsto per il giudizio di separazione. Dalla dichiarazione di improponibilità di tale domanda, peraltro, conseguiva l’impossibilità di attrazione della domanda relativa alla separazione nel rito ordinario e quindi l’inammissibilità dell’appello in ordine a quest’ultima domanda, essendo l’appello stato proposto con atto di citazione con ricorso, depositato oltre il termine lungo di un anno e quarantasei previsto dalla legge, essendo stata la sentenza di primo grado – non notificata – depositata il 15 febbraio 1996 ed essendo stata l’iscrizione a ruolo dell’appello effettuata il 5 aprile 1997.
Per la cassazione di tale sentenza, ricorre X X, sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria; resiste con controricorso X X.

Motivi della decisione
Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione, per erronea interpretazione, degli artt. 103, secondo comma, 104, secondo comma, e 279, n. 5, cod. proc. civ.. Formulando nel giudizio di primo grado la domanda di separazione coniugale e quella di accertamento della proprietà di un bene immobile, ella si era avvalsa della facoltà prevista dal primo comma dell’art. 104 cod. proc. civ., a norma del quale contro la stessa parte possono proporsi nel medesimo processo più domande anche non altrimenti connesse, purchè sia osservata la norma dell’art. 10, secondo comma. Da tale disposizione si desume che, nel nostro ordinamento processuale, il cumulo oggettivo per connessione meramente soggettiva è consentito, anche quando le plurime azioni non presentino tra di loro elementi oggettivi di collegamento riconducibili ad alcuna delle fattispecie di cui agli artt. 31 e seguenti proc. civ., impregiudicata la facoltà, per il giudice, di disporre la separazione delle cause.
Nella specie, essendo incontestato che il Tribunale di Siena non si è avvalso di tale facoltà, e ha deciso su entrambe le domande con unica sentenza, la sentenza impugnata, laddove ha affermato che l’appello avrebbe dovuto essere proposto con ricorso anzichè con citazione e laddove ha fatto discendere tale assunto dalla considerazione che la domanda di accertamento della proprietà immobiliare era da ritenersi improcedibile, sarebbe affetta da una duplice incongruenza. Da un lato, infatti, dichiarando l’improcedibilità della pretesa immobiliare, ha violato l’art. 104, comma primo, cod. proc. civ.; dall’altro, non ha considerato che, nel momento in cui l’appello è stato proposto, le due domande, cumulativamente proposte, erano state cumulativamente decise ed erano state cumulativamente investite dagli specifici motivi di appello.
Sotto il primo profilo, la ricorrente osserva che, alla luce del citato art. 104, non vi sarebbe alcuna ragione per inibire il cumulo tra domanda di separazione personale e altra domanda, eventualmente anche non connessa alla prima, e, in ogni caso, che la risposta dovrebbe essere la separazione delle domande e non anche la dichiarazione di improcedibilità di una delle due. Sotto il secondo profilo, la ricorrente ritiene che costituisca frutto di inaccettabile inversione logica l’argomentazione della Corte di appello, secondo cui, essendo una delle due domande improcedibile, rito da adottare per la proposizione dell’appello avrebbe dovuto essere quello previsto per la domanda procedibile. Non si può, infatti, valutare l’atto di appello alla luce di un’evenienza processuale eventuale e successiva rispetto al momento della proposizione dell’appello: nel momento in cui l’appello è stato proposto, le due domande non erano state separate e l’improcedibilità di quella immobiliare non era stata eccepita nè dichiarata, nè presa in considerazione dal primo giudice e nell’atto di appello. Erroneamente, pertanto, il giudice di appello ha fatto retroagire l’improcedibilità di una delle domande sulla forma e le modalità introduttive del giudizio di secondo grado.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 339 e 342 cod. proc. civ., in relazione e contrapposizione con gli artt. 43 e 398, ultimo comma, dello stesso codice. Poichè al momento della proposizione della impugnazione una era la sentenza, sostenere, come ha fatto la Corte di appello, che il diritto di impugnazione avrebbe dovuto esercitarsi, per il capo inerente alla separazione, nelle forme proprie delle controversie di separazione personale, comporta che l’appello per il capo inerente l’accertamento della proprietà immobiliare avrebbe dovuto essere proposto nelle forme ordinarie, con la conseguenza che avverso un’unica sentenza si sarebbero dovuti esperire due gravami.
Risultato, quest’ultimo, paradossale, giacchè l’ordinamento processuale non conosce l’ipotesi che una medesima sentenza debba essere impugnata dalla stessa parte con una pluralità di gravami.
Con il terzo motivo, la ricorrente deduce il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 332, 334, 335, 358 e 387 cod. proc. civ. L’ordinamento processuale è ispirato al principio del favor per la decisione congiunta di tutte le impugnazioni relative alla medesima pronuncia e a quello della consumazione del diritto di impugnazione, in forza del quale non è consentito alla stessa parte proporre più gravami del medesimo tipo contro la stessa sentenza.
Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ. e dell’art. 4, comma dodicesimo, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall’art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74, applicabile ai giudizi di separazione personale dei coniugi ai sensi dell’art. 23 della medesima legge n. 74 del 1987, anche in relazione all’art. 40 cod. proc. civ. Posto che l’impugnazione non poteva che essere unica e che l’appello proposto non poteva risentire della dichiarazione di improcedibilità della domanda di accertamento della proprietà immobiliare, la ricorrente rileva che per l’introduzione del giudizio di gravame vi erano due alternative: notifica di un atto di citazione seguita dall’iscrizione della causa a ruolo; deposito di un ricorso, seguito dalla notifica del medesimo unitamente al decreto presidenziale di fissazione dell’udienza. Una simile alternativa, osserva la ricorrente, dovrebbe essere risolta, alla stregua di quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, nel senso che in tali casi l’appello va proposto nelle forme del processo contenzioso ordinario. La specialità del procedimento camerale, infatti, non presenta una vis espansiva tale da permeare domande la cui decisione implichi l’osservanza delle forme ordinarie (arg. ex art. 40, comma quarto, cod. proc. civ.). Ma anche se non si volesse ritenere operante l’art. 40 al di fuori delle ipotesi di connessione oggettiva di cui agli artt. 31, 32, 34, 35 e 36, la norma stessa esprime un’indicazione di principio destinata a valere nelle ipotesi in cui la pluralità di domande connesse soltanto soggettivamente, non potendo essere scissa, debba essere cumulativamente trattata e decisa. Da qui la tempestività dell’impugnazione, essendo questa stata notificata il 28 marzo 1997 in relazione ad una sentenza depositata il 15 febbraio 1996.
Con il quinto motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ. e dell’art. 4, comma dodicesimo, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall’art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74, applicabile ai giudizi di separazione personale dei coniugi ai sensi dell’art. 23 della medesima legge n. 74 del 1987, sotto un ulteriore profilo. La ricorrente ritiene infatti non condivisibile il principio in forza del quale, ove l’appello avverso una sentenza pronunciata in materia di separazione personale o di divorzio sia proposto mediante notifica di un atto di citazione, la tempestività del gravame andrebbe valutata non con riferimento alla data della notifica stessa, ma in relazione alla diversa e successiva data dell’iscrizione a ruolo della causa presso il giudice di secondo grado. In proposito, la ricorrente rileva che tale principio è frutto di un’interpretazione angusta di quello di convalidazione degli atti per raggiungimento dello scopo, di cui all’art. 156 cod. proc. civ., che muove da una lettura che, invece di considerare unitariamente le attività introduttive che si articolano nella vocatio in ius e nell’aditio iudicis, le vaglia atomisticamente, finendo con il dare rilievo soltanto al primo dei due momenti in cui esse rispettivamente si articolano. Secondo la ricorrente, sarebbe indifferente, ai fini dell’art. 156, ultimo comma, cod. proc. civ., che entro il termine previsto dalla legge l’impugnante depositi un ricorso o notifichi una citazione, quanto meno nel caso in cui la fattispecie introduttiva del gravame venga portata a compimento in modo tale che tanto la vocatio, quanto l’aditio, si realizzino compiutamente.
In particolare, la proposizione di un’impugnazione avverso sentenza emessa all’esito di rito camerale, proposta entro i termini di legge con atto di citazione, alla quale faccia seguito la tempestiva costituzione dell’appellante, non scalfisce in alcun modo gli scopi che la legge assegna alla cameralità integrale dell’impugnazione e quindi alla sua introduzione con ricorso. L’appellante con citazione, infatti, manifesta all’esterno la propria volontà di impugnare;
rende edotta la parte assai più tempestivamente di quanto avverrebbe se l’impugnazione venisse proposta con ricorso; consente che la cancelleria del giudice dell’appello sia prontamente informata della proposizione della impugnazione, ai sensi dell’art. 123 disp. att. cod. proc. civ.; adisce il giudice di appello più tardi di quanto avverrebbe se proponesse il gravame con ricorso, senza peraltro che ciò dia luogo ad un ritardo nello svolgimento del giudizio. Si tratta di elementi che inducono a ritenere che l’equivalenza finalistica tra ricorso depositato (e sua successiva notifica) e citazione notificata (e suo successivo deposito) possa essere affermata e che quindi, quale che sia la forma ideale dell’impugnazione, questa deve essere considerata ammissibile sia se assume la forma del ricorso, sia se assume quella della citazione, sempre che, ovviamente, deposito o notifica avvengano nei termini per la proposizione dell’impugnazione e siano seguiti dalla tempestiva esecuzione delle ulteriori attività richieste (rispettivamente, la notifica del ricorso e il deposito della citazione) che portano a compimento la fase introduttiva. E tanto più ciò dovrebbe sostenersi con riferimento a quei giudizi, quali quelli di separazione o divorzio, nei quali la forma da adottarsi per l’impugnazione, oltre a non essere con chiarezza individuata dalle norme processuali, non sia neppure suggerita con evidenza dalle caratteristiche dell’iter giurisdizionale che ha condotto alla pronuncia del provvedimento da impugnare.
Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente in considerazione della unitarietà della questione sottoposta all’esame della Corte, è fondato per quanto di ragione.
La vicenda processuale oggetto del presente giudizio non è controversa tra le parti. L’odierna ricorrente, nel corso dei giudizio di separazione, ha introdotto una domanda volta ad ottenere il riconoscimento della proprietà dell’abitazione coniugale. In relazione a tale seconda domanda, proposta nel corso del giudizio di primo grado, risulta, per riconoscimento dello stesso controricorrente (v. pag. 2 del controricorso) che l’unica questione proposta al Tribunale di Siena è stata quella della tempestività o meno della stessa; non quindi la diversa questione della proponibilità, nel giudizio di separazione, di una domanda avente ad oggetto l’accertamento della proprietà immobiliare. E l’unica eccezione prospettata dal X è stata disattesa dal Tribunale di Siena, che ha deciso sul merito di entrambe le domande proposte dalla X, rigettando quella avente ad oggetto l’accertamento della proprietà della casa coniugale.
Dalla sentenza impugnata risulta che nel giudizio di gravame introdotto dalla X, il X ha ribadito che la domanda concernente il riconoscimento della proprietà della casa coniugale era nuova e che l’eccezione d’inammissibilità della stessa era stata tempestivamente proposta.
Dal richiamato svolgimento delle fasi di merito del presente giudizio emerge dunque chiaramente che la questione della sussistenza o meno di una causa di connessione tra la domanda di separazione personale e quella di accertamento della proprietà della casa coniugale non ha formato oggetto di eccezione da parte del convenuto, nè è stata rilevata d’ufficio dal giudice di primo grado, il quale, anzi, ha ritenuto di poter decidere nel merito entrambe le domande, disattendendo l’eccezione di inammissibilità, per tardività, della domanda concernente la proprietà della casa coniugale.
In tale situazione, la Corte d’appello ha ritenuto che quest’ultima domanda fosse improponibile in quanto non rientrante tra quelle per le quali l’art. 40, comma terzo, cod. proc. civ., nel testo introdotto dall’art. 5 della legge 26 novembre 1990, n. 353, prevede la possibilità di trattazione congiunta con il rito ordinario di cause che, cumulativamente proposte, sono soggette l’una al rito ordinario e l’altra a un rito speciale, diverso da quello di cui agli artt. 409 e 442 cod. proc. civ. Dalla improponibilità di tale domanda, poi, la Corte d’appello ha desunto la intempestività dell’appello, in quanto proposto con atto di citazione notificato nei termini, ma depositato dopo che era decorso il termine lungo di un anno e 45 giorni dalla pubblicazione della sentenza non notificata.
Orbene, se può convenirsi con la Corte d’appello sul fatto che effettivamente la domanda di separazione personale tra coniugi e quella di accertamento della proprietà della casa coniugale sono domande non connesse ai sensi degli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 cod. proc. civ., per le quali soltanto il citato art. 40, comma terzo, consente la trattazione congiunta nelle forme del rito ordinario (in tal senso, v. Cass., 12 gennaio 2000, n. 266; Cass., 15 maggio 2001, n. 6660; Cass., 25 marzo 2003, n. 4367), non può invece essere condiviso il fatto che il giudice di appello abbia rilevato d’ufficio la mancanza di una ragione di connessione, non avendo il convenuto, come già ricordato, eccepito alcunchè sul punto nel corso del giudizio di primo grado, non essendo la questione stata rilevata d’ufficio dal Tribunale, il quale ha anzi deciso nel merito su tutte le domande proposte, non avendo la questione stessa formato oggetto di eccezione nel giudizio di appello ed essendosi quindi verificata una preclusione sul punto. Invero, posto che l’art. 40, comma secondo, cod. proc. civ. dispone che la connessione non può essere eccepita dalle parti nè rilevata d’ufficio dopo la prima udienza, e la rimessione non può essere ordinata quando lo stato della causa principale o preventivamente proposta non consente l’esauriente trattazione e decisione delle cause connesse, deve ritenersi che, analogamente, la mancanza di una ragione di connessione idonea, ai sensi dell’art. 40, terzo comma, ad attrarre nel rito ordinario domande soggette l’una al rito ordinario e l’altra ad un rito speciale, diverso da quello proprio delle controversie di lavoro, possa essere eccepita dalle parti e rilevata d’ufficio negli stessi termini. Ove ciò non avvenga, la possibilità di trattare congiuntamente domande connesse solo ai sensi degli artt. 33 e 104 cod. proc. civ. – possibilità che è invece esclusa dall’art. 40, comma terzo – non può essere ulteriormente posta in discussione.
Verificatasi una tale evenienza, deve escludersi che, nel caso di impugnativa di decisione relativa a capi di domanda anche diversi da quello sulla separazione dei coniugi o sul divorzio, possa verificarsi un effetto espansivo del rito speciale prescritto per l’appello dall’art. 8 della legge n. 74 del 1987, giacchè in ipotesi siffatta le regole del processo contenzioso ordinario prevalgono su quelle camerali, per le più ampie garanzie di contraddittorio e di difesa consentite dal dibattito in udienza (v., in tal senso, da ultimo, Cass., 25 marzo 2003, n. 4367 e le altre pronunce ivi citate:
Cas., 29 maggio 1996, n. 4987; Cass., 28 marzo 1994, n. 3002; Cass., 19 aprile 1995, n. 4395).
Ne consegue che erroneamente la Corte d’appello, in presenza di una sentenza di primo grado che aveva congiuntamente deciso su una domanda di separazione personale tra coniugi e sulla domanda di accertamento della proprietà della casa coniugale, sentenza gravata con atto di citazione, ha rilevato l’improponibilità della seconda domanda, e ha ritenuto conseguentemente la intempestività del gravame perchè depositato oltre il termine lungo di un anno e 46 giorni. L’impugnazione, invero, alla luce dei principi suindicati, doveva ritenersi correttamente proposta nelle forme ordinarie (atto di citazione) e tempestivamente introdotta, dovendosi a tal fine avere riguardo non alla data del deposito della citazione notificata, ma alla data della notificazione dell’atto di citazione in appello.
In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve quindi essere cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze, la quale provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze.
Così deciso in Roma, il 16 giugno 2004.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2005

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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