Cass. civ. Sez. VI, Sent., 28-05-2012, n. 8476 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 28 aprile 2009 presso la Corte d’appello di Genova, Ediltour s.r.l. ha chiesto il riconoscimento dell’equa riparazione per la irragionevole durata di un giudizio civile per nullità di una compravendita, iniziato il 20 settembre 1999 e conclusosi con sentenza di primo grado depositata il 18 luglio 2008.

L’adita Corte d’appello ha ritenuto violata la durata ragionevole del processo per sei anni, liquidando in favore della ricorrente la somma di Euro 1.200,00, computata sulla base di un importo di Euro 200,00 per anno di ritardo tenuto conto della natura della causa e del soggetto ricorrente, e ha compensato le spese del procedimento.

Per la cassazione di questo decreto Ediltour s.r.l. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi, illustrati da memoria; l’intimata Amministrazione ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e dell’art. 6 par. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, dolendosi della esiguità della somma riconosciuta quale riparazione per il danno morale e sostenendo che l’indennizzo avrebbe dovuto essere determinato sulla base di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, quanto meno per gli anni di ritardo successivi al terzo, come statuito da questa Corte in più occasioni.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce vizio di motivazione in ordine alla determinazione del quantum dell’indennizzo, avendo la Corte dapprima affermato di richia marsi ai parametri affermati dalla Corte Europea e dalla giurisprudenza di legittimità, e poi adottato una liquidazione di gran lunga inferiore a detti parametri, valorizzando la natura della causa e tenendo conto della natura giuridica di essa ricorrente. La ricorrente si duole altresì del mancato riconoscimento degli interessi legali sulla somma liquidata.

Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e dell’art. 6 par. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, nonchè degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., censurando la statuizione di compensazione, adottata per l’atteggiamento remissivo della controparte.

Il primo e il secondo motivo di ricorso, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.

Nella giurisprudenza di questa Corte è ormai principio acquisito quello per cui il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel giudizio presupposto va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009; secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 2 9 marzo 2006, sui 1 ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, "a condizione che le decisioni pertinenti" siano "coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato", e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. n. 16086 del 2009; Cass. n. 819 del 2010).

Quanto alla ragione addotta dalla Corte d’appello a fondamento dello scostamento, e cioè la natura di società di capitale della parte che si doleva della irragionevole durata del processo, trova applicazione il principio per cui in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, anche per le persone giuridiche il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, è – tenuto conto dell’orientamento in proposito maturato nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo – conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri, e ciò non diversamente da quanto avviene per il danno morale da lunghezza eccessiva del processo subito dagli individui persone fisiche; sicchè, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno in re ipsa – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione -, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, il giudice deve ritenere tale danno esistente, sempre che non risulti la sussistenza, nel caso concreto, di circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente. Nè la consistenza non particolarmente significativa dell’oggetto del giudizio presupposto, in relazione alle dimensioni della società, è elemento idoneo a far presumere la inesistenza del danno in questione, potendo tale circostanza incidere tutt’al più sulla entità dell’indennizzo, ma non sul suo riconoscimento (Cass. n. 224 6 del 2007; Cass. n. 11746 del 2010). In ogni caso, quand’anche volesse riconoscersi alla natura giuridica del soggetto istante rilievo ai fini della liquidazione dell’indennizzo, tale riduzione non potrebbe comunque risolversi in un radicale scostamento dal parametro indicato dalla Corte Europea e da questa Corte; e non vi è dubbio che gli importi liquidati dalla Corte d’appello sono eccessivamente riduttivi rispetto agli standards prima indicati.

Alla stregua delle considerazioni in precedenza svolte, i primi due motivi di ricorso devono essere accolti, con assorbimento del terzo motivo concernente il regime delle spese.

Il decreto impugnato va quindi cassato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2. In particolare non è contestata la durata irragionevole, accertata dalla Corte d’appello in sei anni, sicchè, nel caso di specie, in applicazione del criterio quantitativo prima affermato, si deve riconoscere alla ricorrente l’indennizzo di Euro 5.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente.

Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. n. 16367 del 2011).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 5.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda; condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.140,00, di cui Euro 600,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 965,00, di cui Euro 865,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

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