Cass. civ. Sez. VI, Sent., 28-05-2012, n. 8475

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 23 gennaio 2009 presso la Corte d’appello di Firenze, G.M.A.M. ha chiesto il riconoscimento dell’equa riparazione per la irragionevole durata di un processo, introdotto dinnanzi al TAR del Lazio con ricorso depositato il 5 giugno 1993 e concluso con sentenza di rigetto della domanda depositata il 15 aprile 2009.

L’adita Corte d’appello, dopo aver rilevato che l’istante aveva presentato nel giudizio presupposto istanza di prelievo il 17 febbraio 2003, e dopo avere dato atto del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 secondo cui la domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinnanzi al giudice amministrativo non è stata presentata l’istanza ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 672, art. 51, comma 2 ha ritenuto violata la durata ragionevole del processo per dodici anni e dieci mesi, liquidando in favore dell’istante la somma di Euro 7.299,66, computata sulla base di un importo di Euro 300,00 per i primi tre anni, di Euro 400,00 per i successivi tre anni e otto mesi anteriori all’istanza di prelievo, e in Euro 800,00, per i successivi sei anni e due mesi, con interessi dalla data del decreto al saldo, dichiarando irripetibili nei confronti del resistente le spese legali dei ricorrenti.

Per la cassazione di questo decreto G.M.A.M. propone ricorso sua base quattro motivi; l’intimata amministrazione non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3, e dell’art. 6 par. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, dolendosi della esiguità della somma riconosciuta quale riparazione per il danno morale e sostenendo che l’indennizzo avrebbe dovuto essere determinato sulla base di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, quanto meno per gli anni di ritardo successivi al terzo, come statuito da questa Corte in più occasioni.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione in ordine alla determinazione del quantum dell’indennizzo, avendo la Corte valorizzato la circostanza che il ricorso nel giudizio presupposto era stato proposto collettivamente.

Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3, in relazione all’art. 2056 cod. civ., dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia attribuito alla istanza di prelievo un rilievo eccessivo, tale da abbattere l’importo dovuto per gli anni precedenti alla detta istanza.

Con l’ultimo motivo, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c. e dell’art. 92 c.p.c., comma 2, in relazione alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e all’art. 6, par. 1, della CEDU. I primi tre motivi di ricorso, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.

Ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’ambito della valutazione equitativa, affidata al giudice del merito, è segnato dal rispetto della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni, da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, sicchè è configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazione applicati dalla Corte Europea, pur conservando egli un margine di valutazione che gli consente di discostarsi, purchè in misura ragionevole, dalle liquidazioni effettuate da quella Corte in casi simili (Cass., S.U., n. 1340 del 2004).

Relativamente alla misura dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale, va osservato che, in applicazione dei criteri elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo per giudizi amministrativi protrattisi per oltre dieci anni, questa Corte, per un giudizio amministrativo presupposto protrattosi per circa sedici anni, è solita riconoscere, a titolo di equa riparazione, un danno non patrimoniale di Euro 8.000,00.

Con riferimento alle ragioni che possono essere addotte per ridurre l’indicato parametro di liquidazione, si deve rilevare che questa Corte ha già avuto modo di precisare che la presunzione di danno non patrimoniale notoriamente connessa a situazioni soggettive provocate da un giudizio durato troppo a lungo, la cui connotazione in termini di irragionevolezza è, potrebbe dirsi, ancor più marcata in presenza di domande palesemente infondate e, come tali, suscettibili di immediata risoluzione, non può essere superata, tra l’altro, dalla circostanza che il ricorso amministrativo, inerente a rivendicazioni di categoria, sia stato proposto da una pluralità di attori, considerato che la proposizione di un ricorso in forma collettiva e indifferenziata non equivale certamente a trasferire sul gruppo, come entità amorfa, e quindi a neutralizzare situazioni di angoscia o patema d’animo riferibili specificamente a ciascun singolo consorte in lite (v., da ultimo, Cass. n. 30160 del 2011 cit.).

Nella specie, la Corte d’appello di Firenze ha motivato lo scostamento dagli indicati parametri facendo riferimento al carattere seriale della controversia presupposta, alla condivisione delle spese e all’esito del giudizio; e quindi a giustificazioni inidonee a sorreggere la decisione.

Fondato è altresì il terzo motivo, con il quale si censura specificamente la determinazione dell’indennizzo per il periodo antecedente alla presentazione dell’istanza di prelievo, atteso che se dal tempo occorso per la presentazione dell’istanza è possibile desumere un elemento di valutazione in senso riduttivo dell’indennizzo, tuttavia tale riduzione non può risolversi in un radicale scostamento dal parametro indicato dalla Corte Europea e da questa Corte; e non vi è dubbio che gli importi liquidati dalla Corte d’appello sono eccessivamente riduttivi rispetto agli standards prima indicati.

L’accoglimento dei primi tre motivi di ricorso comporta l’assorbimento del quarto, concernente il regime delle spese processuali.

Alla stregua delle considerazioni in precedenza svolte, i primi tre motivi di ricorso devono essere accolti, con conseguente annullamento del decreto impugnato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, riconoscendo al ricorrente l’indennizzo di Euro 8.000,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente.

Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. n. 16367 del 2011).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 8.000,00, oltre agli interessi legali dalla domanda; condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.140,00, di cui Euro 600,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 965,00, di cui Euro 865,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

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