Cass. civ. Sez. VI, Sent., 28-05-2012, n. 8473

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 17 febbraio 2009 presso la Corte d’appello di Firenze, C.C.L. ha chiesto il riconoscimento dell’equa riparazione per la irragionevole durata di un processo, introdotto dinnanzi al TAR della Toscana con ricorso depositato il 10 aprile 1997 e concluso con sentenza depositata il 10 novembre 2008, di rigetto della domanda.

L’adita Corte d’appello ha ritenuto violata la durata ragionevole del processo per otto anni e sette mesi, liquidando in favore dell’istante la somma di Euro 2.600,00, computata sulla base di un importo di Euro 300,00 per anno di ritardo (comprensivo di rivalutazione e interessi antecedenti alla domanda), con interessi dalla data della domanda al saldo.

Per la cassazione di questo decreto C.C.L. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi; l’intimata amministrazione non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Il collegio ha deliberato l’adozione delle motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia vizio di motivazione in ordine alla determinazione del quantum dell’indennizzo, avendo la Corte d’appello determinato in modo immotivato, sganciato da ogni parametro e illogico il quantum dell’indennizzo in Euro 300,00 per anno di ritardo rispetto alla durata ragionevole e per avere valorizzato la mera possibilità, peraltro non accertata, di una meno pressante urgenza dell’interessato alla definizione della causa con riferimento alla istanza di prelievo, peraltro ritenuta non rilevante ai fini della ragionevole durata. La Corte d’appello non avrebbe poi tenuto conto della scarsissima complessità del giudizio presupposto e non avrebbe chiarito in base a quali criteri abbia abbattuto l’indennizzo rispetto ai parametri Europei.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, nonchè dei parametri adottati dalla Corte Europea per l’indennizzo del danno non patrimoniale.

Con l’ultimo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., dell’art. 75 disp. att. cod. proc. civ., del R.D.L. n. 1578 del 1933, artt. 57, 59, 60 e 64 convertito nella L. n. 36 del 1937, e del D.M. n. 127 del 2004, dolendosi dell’immotivato scostamento dagli importi indicati nella nota spese depositata.

Il primo e il secondo motivo di ricorso, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.

Nella giurisprudenza di questa Corte è ormai principio acquisito quello per cui il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel giudizio presupposto va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009; secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, "a condizione che le decisioni pertinenti" siano "coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato", e purchè detti importi non risultino irragionevoli , reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. n. 16086 del 2009; Cass. n. 819 del 2010).

Relativamente alla misura dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale, va peraltro osservato che, in applicazione dei criteri elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo per giudizi amministrativi protrattisi per oltre dieci anni, questa Corte, per un giudizio amministrativo presupposto di tale durata, è solita riconoscere, a titolo di equa riparazione, un danno non patrimoniale di Euro 6.250,00.

L’accoglimento dei primi due motivi di ricorso comporta l’assorbimento del terzo, concernente le spese processuali.

Alla stregua delle considerazioni in precedenza svolte, i primi due motivi di ricorso devono essere accolti, con conseguente annullamento del decreto impugnato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, riconoscendo al ricorrente l’indennizzo di Euro 6.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente.

Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. n. 16367 del 2011).

Le spese del giudizio di legittimità vanno distratte in favore degli Avvocati Salvatore e Umberto Coronas, per dichiarato anticipo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 6.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda; condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.140,00, di cui Euro 600,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 965,00, di cui Euro 865,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge. Dispone la distrazione delle spese del giudizio di legittimità in favore degli Avvocati Salvatore e Umberto Coronas, antistatari.
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