Cass. civ. Sez. VI, Sent., 28-05-2012, n. 8468

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 19 marzo 2010 e depositato il 30 marzo 2010, nei confronti di C.G. e sulla base di tre motivi, avverso il decreto indicato in epigrafe della Corte d’appello di Roma, che, liquidando Euro 13.000,00 per danno non patrimoniale in relazione ad una durata non ragionevole di quindici anni e nove mesi, ha accolto parzialmente il ricorso con il quale lo stesso C. aveva proposto domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata della procedura relativa al fallimento della s.p.a. Agria, dichiarato con sentenza del 29 ottobre 1986, nell’ambito della quale il C. si era insinuato quale creditore nel gennaio 1987 e che era stata chiusa il 25 ottobre 2007 per riparto finale dell’attivo. Anche C.G. e l’avv. M.L. hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 19 marzo 2010, depositato il 2 aprile 2010 e articolato su sei motivi, avverso il decreto della Corte d’appello di Roma sopra indicato. Non sono stati depositati controricorsi.

Nell’odierna camera di consiglio il collegio ha deliberato che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Motivi della decisione

1. I ricorsi di cui sopra sono stati notificati nella stessa data (19 marzo 2010), ma quello proposto dal Ministero della Giustizia è stato depositato il 30 marzo 2010, mentre quello proposto dal C. è stato depositato il 2 aprile 2010. Il ricorso del Ministero della Giustizia, depositato per primo, va pertanto considerato come ricorso principale, mentre quello del C., depositato successivamente, si configura come ricorso incidentale.

Infatti, nel caso in cui i due ricorsi risultino essere stati notificati nella stessa data, l’individuazione del ricorso principale e di quello incidentale va effettuato con riferimento alle date di deposito dei ricorsi, dovendo conseguentemente considerarsi principale il ricorso depositato per primo ed incidentale quello depositato per secondo (Cass. 2004/3004).

I due ricorsi devono essere comunque riuniti, in quanto proposti nei confronti dello stesso decreto.

2. Con il decreto impugnato la Corte di appello di Roma – dopo aver determinato in venti anni e nove mesi la durata complessiva e in cinque anni la durata ragionevole della procedura fallimentare in questione, in ragione del fatto che essa si era rivelata complessa sia per il rilevante numero di creditori, che per la laboriosità della fase di realizzazione dell’attivo – ha stabilito il periodo di durata non ragionevole del giudizio presupposto in quindici anni e nove mesi ed ha liquidato l’equo indennizzo nella misura di Euro 13.000,00, sulla base della somma annua di Euro 800,00.

Il Ministero della Giustizia, ricorrente principale, ha censurato il decreto impugnato deducendo che:

– la eccezionale complessità della procedura, quale rilevata dagli stessi giudici di merito, rende palesemente astratta la determinazione della durata ragionevole della procedura fallimentare in questione in soli cinque anni, anzichè in un periodo superiore pari almeno a undici anni, tenuto conto che lo stabilimento industriale aveva formato oggetto di affitto di azienda da parte della curatela, che i dipendenti, compreso il C., erano stati assunti dall’impresa affittuaria e che, infine, la procedura stessa era stata caratterizzata da numerose controversie incidentali (primo e secondo motivo);

– la Corte di merito ha omesso di considerare, con riferimento alla cosiddetta "posta in gioco" e ai fini della determinazione del quantum, che nella procedura in questione si era fatto ricorso al fondo di garanzia presso l’INPS di cui alla L. n. 297 del 1982 (terzo motivo). C.G. e l’avv. M.L., ricorrenti incidentali, censurano a loro volta il decreto impugnato, deducendo che:

– l’ammontare dell’equo indennizzo avrebbe dovuto essere stabilito nella misura di 1.000,00/1.500,00 Euro per ogni anno di durata non ragionevole e non di Euro 800,00, come invece ritenuto dalla Corte di merito (primo motivo);

– la liquidazione delle spese di giudizio era stata effettuata in violazione dei minimi tariffari forensi e senza rispettare, con difetto di motivazione, gli importi indicati nella nota spese depositata, avendo altresì la Corte di appello omesso di disporre la distrazione delle spese processuali in favore del difensore, avv. M., che si era dichiarato antistatario (motivi da due a sei).

3. I primi due motivi del ricorso principale sono fondati alla luce della giurisprudenza di questa Corte in ordine alla durata delle procedure fallimentari che, secondo lo standard ricavatale dalle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo, non dovrebbe superare la durata complessiva di sette anni (Cass. 2010/8047;

2010/22408), in quanto, tenuto conto della peculiarità della procedura fallimentare, il termine di cinque anni, che può ritenersi normale nella procedura di media complessità, è stato ritenuto elevabile fino a sette anni, allorquando – come nella specie – il procedimento si presenti notevolmente complesso (Cass. 2009/20549), ipotesi ravvisabile in presenza di un numero elevato di creditori, di una particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi ecc), della proliferazione di giudizi connessi alla procedura, ma autonomi e quindi a loro volta di durata condizionata dalla complessità del caso, oppure della pluralità delle procedure concorsuali interdipendenti.

In violazione di tali principi la Corte di appello di Roma ha determinato in soli cinque anni, anzichè in sette, la durata ragionevole della procedura fallimentare in questione, nonostante che il decreto impugnato dia atto che la procedura medesima presentava una notevole complessità, dovuta al rilevante numero di creditori e alla laboriosità della fase di realizzazione dell’attivo, concernente l’affitto dei locali dell’azienda, protrattosi per undici anni, la ristrutturazione dell’impresa fallita, la vendita di attrezzature e merci e la vendita dello stesso immobile.

Di conseguenza il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta, mentre il terzo motivo del ricorso principale, relativo alla determinazione dell’indennizzo, e le doglianze contenute nel ricorso incidentale, concernenti la liquidazione del quantum e delle spese di lite, devono ritenersi assorbite.

4. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

Premesso che il processo fallimentare di cui trattasi è durato venti anni e nove mesi, come accertato dalla Corte di appello, sicchè, detratti sette anni di durata ragionevole in base ai principi di diritto sopra richiamati, esso ha avuto una durata non ragionevole di tredici anni e nove mesi, l’equo indennizzo va determinato in Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno degli anni successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente tale, periodo da ultimo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/21840;

2010/17922), secondo criteri equitativi da applicare anche nel caso di specie, non essendo state prospettate oggettive e decisive ragioni per disattenderli.

Nel caso di specie si deve, di conseguenza, attribuire al C. l’indennizzo di Euro 13.000,00, pari alla somma già riconosciuta dalla Corte di appello di Roma, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente.

Le spese processuali del giudizio di merito e di cassazione seguono la soccombenza del Ministero della Giustizia – dovendosi i ricorrenti incidentali considerarsi vincitori in misura prevalente nel giudizio di cassazione, atteso l’esito complessivo del giudizio medesimo – e vanno liquidate come in dispositivo, secondo gli importi tariffari concernenti i procedimenti contenziosi, compensate per due terzi quelle di cassazione, in considerazione del fatto che il ricorso incidentale è risultato pienamente fondato soltanto in punto spese, con distrazione in favore dei difensori del C., avv. L. M. per il giudizio di merito e avv. Pasquale Errico per il giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Accoglie i primi due motivi del ricorso principale, assorbiti il terzo e il ricorso incidentale. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore di C.G. della somma di Euro 13.000,00, oltre agli interessi legali a decorrere dalla domanda.

Condanna inoltre il Ministero soccombente al pagamento in favore del C. delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 600,00 per diritti e 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore del C., avv. M.L., dichiaratosi antistatario.

Condanna inoltre il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, previa compensazione per due terzi, che si liquidano in Euro 500,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, da distrarsi in favore del difensore dei ricorrenti incidentali, avv. Pasquale Errico, dichiaratosi antistatario.

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