Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 06-10-2011) 17-11-2011, n. 42411 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

C.d.F. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del GUP del tribunale di Bologna in data 26 marzo 1996, ferma l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato in ordine ad un’unica condotta di offerta in vendita di sostanza stupefacente a D.T.A.S., esclusa la continuazione interna, rideterminava la pena inflitta all’imputato.

La corte di appello di Bologna era stata chiamata a pronunciarsi nuovamente all’esito dell’annullamento con rinvio da parte della corte di cassazione della sentenza con cui la medesima corte d’appello di Bologna, in precedenza, in data 8 aprile 2003, aveva ritenuto la continuazione del reato oggetto del presente procedimento limitatamente alla promessa di cessione di stupefacenti a D.T. A.S. e quelli giudicati con sentenza della corte di appello di Bologna in data 17 luglio 1997, rideterminando la pena.

Accogliendo l’impugnazione del procuratore generale della Repubblica presso la corte di appello di Bologna, infatti, la quarta sezione di questa corte aveva ritenuto fondata la censura volta a prospettare la violazione di legge conseguente al riconoscimento della continuazione malgrado l’assenza di un motivo di appello specifico e di qualsivoglia richiesta della difesa.

Deduce in questa sede il ricorrente la violazione per il divieto della reformatio in peius.

Fa rilevare al riguardo che il GUP aveva determinato l’entità della pena partendo da anni nove di reclusione, riducendola ad anni sette per effetto delle concessione delle attenuanti generiche e ulteriormente riducendola da anni cinque per la scelta del rito. E dunque faceva rilevare come la riduzione applicata per il riconoscimento delle attenuanti generiche fosse di anni due.

All’esito del giudizio di rinvio, invece, la corte di appello con la sentenza impugnala, aveva rideterminato la pena in anni tre mesi sei di reclusione ed Euro 16.000 di multa come di seguito indicato: pena base di anni 6 e mesi 9 di reclusione ed Euro 30.000 di multa, ridotta ad anni cinque, e mesi tre di reclusione ed Euro 24000 di multa per la concessione delle attenuanti generiche ed ulteriormente ridotta per la scelta del rito ad anni tre mesi sei di reclusione oltre ad Euro 16.000 di multa. In tal modo – osserva il ricorrente – la corte di merito sarebbe incorsa nel divieto della reformatio in peius della sentenza di primo grado avendo conteggiato per le attenuanti generiche una riduzione di pena inferiore agli anni due operata in primo grado.

MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso è inammissibile.

Nella decisione impugnata la corte di appello ha tenuto conto della intervenuta modifica del limite edittale minimo previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, sceso dai precedenti anni otto di reclusione ed Euro 25.822 di multa agli attuali anni sei di reclusione ed Euro 26.000. Ciò posto ha reputato che le attenuanti generiche non potessero essere concesse nella misura massima di un terzo come richiesto dall’appellante opponendovisi i plurimi precedenti penali del prevenuto anche per reati specifici, precedenti che rilevano i giudici di appello – avrebbero giustificato addirittura il diniego delle attenuanti.

La questione sollevata dal ricorrente è circoscritta alla quantificazione della diminuzione essendo pacifico che le attenuanti generiche sono state comunque riconosciute.

Al riguardo il Collegio condivide l’orientamento formatosi a seguito della sentenza delle Sezioni Unite n. 40910 del 27/09/2005, ric. William – Rv. 232066 – secondo cui nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, per cui il giudice di appello, anche quando esclude una circostanza aggravante e per l’effetto irroga una sanzione inferiore a quella applicata in precedenza ( art. 597 cod. proc. pen., comma 4), non può fissare la pena base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado.

Ed osserva come di tale principio sia stata già fatta specifica applicazione in fattispecie del tutto analoghe alla presente annullando la decisione del giudice d’appello che, in presenza di impugnazione del solo imputato, pur rideterminando, in accoglimento dell’appello, la pena complessiva in misura inferiore a quella inflitta in primo grado per l’esclusione dell’aumento di pena per la continuazione, aveva però operata la diminuzione per le già concesse attenuanti generiche in misura inferiore a quella stabilita in primo grado (Sez. 4, n. 47341 del 28/10/2005 Rv. 233177).

Fa tuttavia rilevare che, nel caso in cui, come nella specie, in primo grado non sia stata operata la diminuzione di pena nella misura massima consentita di 1/3, il raffronto – limitatamente al calcolo delle attenuanti – deve avere riguardo alla percentuale di diminuzione.

Se, dunque, in primo grado è stata ritenuta la diminuzione di pena per 1/4, il giudice di appello, ove non ritenga di dover rivedere tale percentuale, applicando, ad esempio, la diminuzione nel massimo consentito, e vi sia appello del solo imputato, nel rideterminare la pena sarà tenuto per non incorrere nel divieto della reformatio in peius, unicamente a rispettare anch’esso la diminuzione di 1/4 per le attenuanti generiche calcolato sulla nuova pena individuata per il reato base.

Diversamente opinando -e, cioè, considerando la pena in concreto dedotta – non solo verrebbe comunque travolto in concreto il giudizio relativo alla mancanza delle condizioni per la diminuzione massima consentita della pena base che, invece, il giudice di appello ha inteso specificamente confermare ma, in alcuni casi, si potrebbe addirittura giungere ad una diminuzione di pena superiore a quella normativamente consentita.

Ed appare di tutta evidenza, quindi, che, qualora per la pena base sia applicata in appello una pena inferiore, la diminuzione in concreto individuata per le attenuanti generiche non potrà che essere – se autonomamente considerata – inferiore a quella stabilita dal primo giudice. In questo caso, evidentemente, il vantaggio per l’imputato risiederà nella valutazione finale della pena, comunque inferiore a quella stabilita nel grado precedente.

Nel caso di specie il valore percentuale di diminuzione stabilito in appello non solo non è inferiore dal punto di vista percentuale rispetto a quello applicato dal tribunale – 2/3 della pena base – ma, a ben vedere, è anzi superiore a quest’ultimo. E, dunque, l’imputato non ha alcun interesse al ricorso.

A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità – determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, fissata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di Euro 1000.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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