Cass. civ. Sez. I, Sent., 28-05-2012, n. 8454 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con decreto n. 32 del 28.11.2003, notificato il 12.01.2004, il Comune di Ruvo di Puglia pronunciava l’espropriazione definitiva del suolo edificatorio sito abitato di Ruvo di Puglia (BA) di proprietà della Cooperativa Edilizia Padre Pio-U.P.S.A. Confartigianato, successivamente trasformatasi in Cooperativa Edilizia Popolare Sant’Antonio, odierna controricorrente, esteso complessivamente mq 5.019 oltre alla metà indivisa di un suolo edificatorio di mq 535, tutti ricadenti nel comparto edificatorio residenziale "M" di detto Comune.

Il predetto decreto faceva seguito al decreto dirigenziale n. 2 del 15.12.1998 con cui era stata disposta l’occupazione temporanea e d’urgenza in favore del Comune di Ruvo dei suoli innanzi indicati, unitamente ad altri suoli limitrofi, per l’attuazione del subcomparto destinato all’Edilizia Residenziale Pubblica ricadente nel comparto "M" della variante al P.R.G.. L’occupazione del suolo veniva materialmente eseguita in data 14.01.1999 con idoneo verbale di occupazione.

Con il decreto di esproprio veniva determinata, in via provvisoria, l’indennità di esproprio in Euro 114.065,11 e l’indennità di occupazione in Euro 16.391,02 per un importo complessivo di Euro 130,456,13.

Con atto di citazione notificato in data 06.02.2004 la Cooperativa Edilizia Padre Pio-U.P.S.A, conveniva in giudizio, dinanzi la Corte di Appello di Bari, il Comune di Ruvo di Puglia lamentando che le somme da questo determinate erano insufficienti e lesive delle norme che disciplinavano la quantificazione sia dell’indennità di esproprio che di occupazione, tenuto conto della destinazione urbanistica del suolo.

Pertanto chiedeva alla Corte di Appello di Bari di accertare e rideterminare le giuste indennità di occupazione e di espropriazione del suolo edificatorio di loro proprietà con la condanna del Comune di Ruvo di Puglia al versamento delle indennità di espropriazione e di occupazione presso la Cassa DD.PP. con gli interessi legali e il danno da svalutazione monetaria dalla data di occupazione e di esproprio fino al soddisfo.

Il Comune di Ruvo di Puglia si costituiva in giudizio eccependo preliminarmente la carenza di contraddittorio in quanto, ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54, l’opposizione alla stima andava notificata anche al beneficiario dell’espropriazione e, nel merito, reiterava la piena legittimità della indennità di esproprio e di occupazione offerta pari ad Euro 22,00 al mq atteso che i provvedimenti amministrativi e gli atti di compravendita utilizzati dalla Cooperativa a titolo comparativo attenevano a comparti diversi a quello dove ricadeva il suolo di sua proprietà.

Pertanto concludeva per il rigetto della domanda attrice.

Nel corso del giudizio veniva disposta CTU. La Corte d’appello, con sentenza 561/10, determinava le indennità dovute dal comune di Ruvo di Puglia in Euro 1.575.905,10 per l’esproprio del suolo e in Euro 222.828,66 per l’occupazione legittima; ordinava al comune di Ruvo di Puglia di versare dette somme presso la Cassa DD.PP. a disposizione della soc. coop. attrice, detratto quanto eventualmente già versato e con gli interessi legali dal 28.11.2003 all’effettivo versamento.

Avverso la predetta sentenza, il Comune di Ruvo propone ricorso dinanzi a questa Corte di Cassazione sulla base di sei motivi cui resiste con controricorso la Cooperativa edilizia popolare S. Antonio.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso il Comune di Ruvo deduce la violazione del contraddittorio per non essere stata citata in giudizio la Cooperativa Acli casa, litisconsorte necessaria in giudizio in quanto tenuta al pagamento dell’indennità di esproprio quale beneficiaria dell’espropriazione.

Con il secondo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 184 c.p.c., ed il vizio motivazionale per essere stati acquisiti in giudizio nel corso della CTU il decreto 30.7.04 e la Delib. comunale n. 122 del 2005, posti alla base della stessa CTU e della successiva decisione della Corte d’appello, ben oltre i termini perentori presi visti dal citato art. 184 c.p.c., ed in assenza di un provvedimento di autorizzazione del giudice istruttore.

Con il terzo motivo deduce, per le medesime ragioni di cui al secondo motivo, la nullità della CTU assumendo inoltre la violazione dell’art. 194 c.p.c..

Con il quanto motivo contesta la ritenuta tardività della produzione della Delib. n. 6 del 2008 in quanto la stessa era stata possibile produrre solo in sede di comparsa conclusionale essendo la stessa intervenuta in corso di giudizio.

Con il quinto motivo contesta la determinazione della indennità effettuata dalla CTU. Con il sesto motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, per non avere ridotto l’indennità in ragione della dichiarazione ICI. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Il D.Lgs. n. 327 del 2001, art. 57, come modificato dal D.Lgs. n. 302 del 2002 recita: "Le disposizioni del presente testo unico non si applicano ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza. In tal caso continuano ad applicarsi tutte le normative vigenti a tale data".

Nel caso di specie, poichè il D.Lgs. n. 327 del 2001, è entrato in vigore il 30.6.03, mentre la dichiarazione di pubblica utilità deve necessariamente ritenersi emessa prima della occupazione d’urgenza avvenuta il 14.1.99, non può trovare applicazione la norma di cui al D.Lgs. n. 327 del 2001, art. 54, che prescrive la necessità di citare nel giudizio di opposizione alla determinazione della stima dell’indennità d’esproprio anche il beneficiario dell’espropriazione.

Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, tra loro connessi possono essere esaminati congiuntamente.

Va preliminarmente osservato che non è contestato che il decreto 30.7.04 e la Delib. comunale n. 122 del 2005, posti alla base della stessa CTU e della successiva decisione della Corte d’appello siano stati acquisiti in giudizio nel corso della CTU in quanto consegnati direttamente dal resistente al consulente tecnico ed in copia anche alla controparte.

Nella fattispecie in esame, ancorchè il testo dei documenti in esame non sia stato riprodotto e non sia indicato nel ricorso ove gli stessi siano esattamente rinvenibili tra i documenti di causa, non ricorre l’ipotesi di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto ciò che rileva in questo caso non è il contenuto dei documenti, ma la mera questione processuale della tardività del loro deposito.

Chiarito quanto sopra, i motivi sono infondati.

La giurisprudenza di questa Corte ha già in ripetute occasioni chiarito che il giudice può affidare al consulente tecnico non solo l’incarico di valutare i fatti da lui stesso accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente). Nel primo caso la consulenza presuppone l’avvenuto espletamento dei mezzi di prova e ha per oggetto la valutazione di fatti i cui elementi sono già stati completamente provati dalle parti; nel secondo caso la consulenza può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, senza che questo significhi che le parti possono sottrarsi all’onere probatorio e rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente. In questo secondo caso è necessario, infatti, che la parte quanto meno deduca il fatto che pone a fondamento del proprio diritto e che il giudice ritenga che il suo accertamento richieda cognizioni tecniche che egli non possiede o che vi siano altri motivi che impediscano o sconsiglino di procedere direttamente all’accertamento (Cass. 9522/96 sez. un. Cass. 10871/99; Cass. 3990/06; Cass. 6155/09). Sempre in tale secondo caso è consentito al c.t.u. acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere dalle medesime provati. (Cass. 5422/02; Cass. 3990/06; Cass. 24549/10).

Nel caso di specie, non è dubbio che l’indagine peritale volta a determinare l’indennità di esproprio comportava la necessità di accertare i fatti gin relazione alla natura edificatoria o meno del terreno, ai vincoli su di esso esistenti, alla situazione urbanistica, ai valori di mercato etc.; tutti elementi in relazione ai quali l’onere probatorio per la parte non può ritenersi rigoroso, dovendo essa limitarsi a dedurre le ragioni per cui si oppone alla stima fornendo gli elementi a sua disposizione, dovendo poi ritenersi compito del consulente d’ufficio, investito dal giudice, di determinare, tenendo conto del complesso degli elementi che le sue conoscenze tecniche gli consentono di acquisire, l’esatta indennità da corrispondere.

In tale contesto quindi deve necessariamente ritenersi consentito al consulente d’ufficio di acquisire tutta la documentazione tecnico- amministrativa utile ai fini della determinazione dell’indennità nella quale certamente rientrano anche il decreto 30.7.04, avente ad oggetto l’attuazione del piano di lottizzazione riguardante l’adiacente comparto D, e la Delib. comunale n. 122 del 2005, che aveva preso atto della relazione di stima effettuata "dall’organo terzo" per la valutazione del comparto M di proprietà comunale.

Tali atti, infatti, non costituiscono certo di per sè la prova dell’indennizzo dovuto per i terreni espropriati per cui è causa, ma costituiscono, insieme a svariati altri, degli elementi di valutazione che possono essere presi a base della determinazione dell’indennizzo, come poi effettivamente avvenuto nel caso di specie.

Deve, pertanto, ritenersi che nel caso di specie si tratti di fatti accessori rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza, come tali acquisibili dal consulente tecnico d’ufficio.

Sotto tale profilo, ciò che rileva è proprio l’aspetto dell’acquisizione a prescindere dal modo in cui essa sia avvenuta. In tal senso non è rilevante che i documenti in questione siano stati forniti dalla parte potendo comunque gli stessi essere acquisiti aliunde dal CTU e trattandosi comunque di elementi che, non essendo posti direttamente a fondamento della domanda, ma avendo pura natura comparativa, non debbono necessariamente essere provati dalla parte.

Va ulteriormente rammentato che è insegnamento costante di questa Corte che, se rientra nel potere del consulente tecnico d’ufficio attingere aliunde notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni formanti oggetto del suo accertamento, quando ciò sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli, e se dette indagini ben possono concorrere alla formazione del convincimento del giudice, ciò postula, tuttavia, che ne siano indicate le fonti, in modo che le parti siano messe in grado di effettuarne il dovuto controllo (Cass. 6 novembre 2001 n. 13686; 17 febbraio 2004 n. 3105; 8 giugno 2007 n. 13428). Si tratta di un principio fondamentale del processo basato sul contraddittorio delle parti, volto ad assicurare a queste il pieno esercizio del diritto di difesa, e a far sì che la decisione del giudice si basi su elementi acquisiti al processo (Cass. 1901/10).

Nel caso di specie, le fonti costituite dai due documenti in esame sono state riportate nella consulenza tecnica e del resto, la loro acquisizione da parte del CTU era nota ab origine al comune di Ruvo al cui difensore era stata data copia degli stessi al momento della consegna al CTU da parte della cooperativa resistente.

In siffatto contesto dunque deve escludersi che vi sia stata violazione sia dell’art. 184 c.p.c. (nel testo anteriore alla sostituzione operata dall’art. 2, comma 3, lett. c) ter operata dal D.L. n. 35 del 2005 applicabile ratione temporis) che dell’art. 194 c.p.c..

Va ulteriormente aggiunto che sarebbe stato comunque eventuale onere del Comune di Ruvo dedurre tempestivamente la nullità della CTU,evento che non risulta avvenuto.

Siffatta eccezione, infatti, dedotta per vizi procedurali inerenti alle operazioni peritali, – ivi ricompresi quelli dovuti all’eventuale allargamento dell’indagine tecnica oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente – avendo carattere relativo, resta sanata se non fatta valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito (Cass. 5422/02, Cass. 22843/06, Cass. 24996/10).

I due motivi vanno pertanto respinti.

Altresì infondato è il quarto motivo.

La produzione della Delib. n. 6 del 2008, avvenuta in sede di comparsa conclusionale il 21.3.08, è stata correttamente ritenuta tardiva dalla Corte d’appello.

Lo stesso Comune ricorrente afferma che la stessa era stata pubblicata nell’albo pretorio il 15.1.08 ove sarebbe rimasta per quindici giorni, e da ciò consegue che la stessa poteva essere certamente prodotta per l’udienza di precisazione delle conclusioni del 22.1.08, consentendo in tal modo l’instaurazione del contraddittorio.

A tal fine priva di rilevanza è la questione relativa al momento in cui la delibera diviene efficace, e, cioè, 15 giorni dopo l’affissione poichè, essendo la stessa stata comunque emanata e pubblicata, ben poteva essere comunque tempestivamente.

E’ appena il caso di sottolineare che la fattispecie in esame è diversa da quella esaminata con il secondo e terzo motivo posto che in tale ultimo caso non si è trattata di una produzione documentale vera e propria ai sensi dell’art. 184 c.p.c., bensì di una consegna di documenti al CTU consentita nei limiti in precedenza indicati.

Il quinto motivo è inammissibile.

La Corte d’appello ha accolto e fatto proprie le valutazioni del CTU ed ha con la sentenza ampiamente motivato sulla scorta delle argomentazioni della CTU in ordine alla determinazione della indennità sulla base del sistema sintetico comparativo.

A tale proposito è appena il caso di ricordare che quando il giudice di merito accoglie le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie, l’obbligo della motivazione è assolto con l’indicazione della fonte dell’apprezzamento espresso, senza la necessità di confutare dettagliatamente le contrarie argomentazioni della parte, che devono considerarsi implicitamente disattese. (Cass. 3519/01, Cass. 6882/02, Cass. 3191/06, Cass. 7806/98, Cass. 12630/95).

Ma è pur vero che, quando le parti muovano alla consulenza argomentati rilievi e contrappongano specifici elementi di comparazione non presi in esame dal consulente, detto giudice non può limitarsi a disattenderli con generiche e non controllabili affermazioni di adesione agli accertamenti dell’ausiliario, ma è tenuto ad una più puntuale e dettagliata motivazione che ne dimostri le ragioni dell’infondatezza, o comunque quelle per le quali devono comunque essere preferiti questi ultimi (Cass. 9178/06, Cass. 4140/2003; Cass. 11711/1997; Cass. 7150/1995).

Da ciò consegue peraltro che la parte, la quale deduca in sede di legittimità il vizio di motivazione della sentenza impugnata, ha l’onere di indicare in modo specifico le deduzioni formulate nel giudizio di merito, delle quali il giudice non si sia dato carico, non essendo sufficiente un generico richiamo agli atti del giudizio di merito (Cass. 19475/05) e ciò al fine di consentire a questa Corte, cui è inibito l’accesso agli atti della fase di merito di valutare l’omissione o l’incongruenza della motivazione in relazione a specifiche censure avanzate.

Nel caso di specie nulla è stato dedotto in ordine alle critiche avanzate alla CTU nella fase di merito. Le doglianze appaiono pertanto inammissibili perchè tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico e si risolvono in tal caso in mere allegazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (Cass. 8355/07; Cass. 17606/07; Cass. 12080/00).

Il sesto motivo è inammissibile.

La disposizione di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 16, è stata dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 338 del 2011 della Corte costituzionale e non può quindi più trovare applicazione.

Il ricorso va in conclusione respinto.

Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 14.000,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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