Corte Costituzionale, Sentenza n. 175 del 2011, ordinamento della professione di avvocato e di procuratore

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 26 del 15-6-2011

Sentenza

nei giudizi di legittimita’ costituzionale degli articoli 17-bis,
comma 2, 23, quinto comma, e 24, primo comma, del regio decreto 22
gennaio 1934, n. 37 (Norme integrative e di attuazione del regio
decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, sull’ordinamento della
professione di avvocato e di procuratore), come novellato dal
decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112, convertito, con modificazioni,
dalla legge 18 luglio 2003, n. 180 (Modifiche urgenti alla disciplina
degli esami di abilitazione alla professione forense), promossi dal
Tribunale amministrativo regionale della Lombardia con una ordinanza
del 6 aprile 2010 e con quattro ordinanze dell’8 aprile 2010,
rispettivamente iscritte ai numeri 217, 218, 219, 220 e 221 del
registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visti l’atto di costituzione di M. G. nonche’ gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 19 aprile 2011 e nella camera di
consiglio del 20 aprile 2011 il Giudice relatore Alessandro
Criscuolo;
Udito l’avvocato dello Stato Wally Ferrante per il Presidente del
Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, con
le cinque ordinanze di analogo tenore indicate in epigrafe, ha
sollevato – in riferimento agli articoli 3, 4, 24, 41, 97 e 117 della
Costituzione – questioni di legittimita’ costituzionale degli
articoli 17-bis, comma 2, 23, quinto comma, 24, primo comma, del
regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37 (Norme integrative e di
attuazione del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578,
sull’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore),
come novellato dal decreto-legge 21 maggio 2003, n.112 (Modifiche
urgenti alla disciplina degli esami di abilitazione alla professione
forense), convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2003,
n. 180, nella parte in cui essi, secondo l’interpretazione
giurisprudenziale, costituente «diritto vivente», consentono che i
giudizi di non ammissione dei candidati che partecipano agli esami di
abilitazione alla professione forense possano essere motivati con
l’attribuzione di un mero punteggio numerico.
1.1. – In ciascuna ordinanza il rimettente premette che, nei
giudizi a quibus, alcuni partecipanti alle prove scritte dell’esame
per l’abilitazione all’esercizio della professione forense nella
sessione 2008, presso la Corte d’appello di Milano, hanno impugnato,
chiedendone l’annullamento, previa sospensione, i rispettivi
provvedimenti di non ammissione alle prove orali, deducendo la
insufficienza della mera votazione numerica (senza segni grafici che
ponessero in evidenza le parti non positivamente valutate dalla
commissione) e la impossibilita’ di ricostruzione dell’iter logico
attraverso il quale le commissioni erano addivenute a valutazioni
negative; che, in ogni giudizio, si e’ costituito il Ministero della
giustizia chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente
infondata; che il Tribunale amministrativo ha accolto la domanda
cautelare dei ricorrenti, al fine di consentire loro lo svolgimento
delle prove orali.
1.2. – Sotto il profilo della rilevanza delle questioni, il
giudice a quo osserva che, alla luce del quadro normativo in tema di
svolgimento dell’esame di ammissione alla professione di avvocato, i
ricorsi dovrebbero essere respinti.
Dopo avere riportato il contenuto delle norme censurate,
sottolinea come, secondo l’orientamento ormai costante del Consiglio
di Stato, non sarebbe necessario che la commissione esaminatrice
supporti l’indicazione del voto numerico con un’ulteriore
motivazione.
In particolare, in base al suddetto indirizzo giurisprudenziale,
la motivazione espressa numericamente rappresenterebbe in se’ una
«motivazione sintetica», idonea a rendere palese la valutazione
compiuta dalla commissione, esternata attraverso la graduazione del
voto e la omogeneita’ del giudizio attribuito all’elaborato dai suoi
componenti in base a criteri predeterminati.
Cio’ sarebbe sufficiente a consentire il sindacato
giurisdizionale sul provvedimento di non ammissione alle prove orali,
nel caso di discordanza di giudizi tra i commissari e di
contraddizione, nella attribuzione del voto, tra specifici ed
obiettivi elementi di fatto e i criteri di massima prestabiliti dalla
commissione esaminatrice.
Il rimettente ricorda che questa Corte, dando atto dell’esistenza
di un diverso orientamento della giurisprudenza, propenso ad
ammettere la necessita’ della motivazione del voto numerico, ha
dichiarato (con ordinanze n. 28 del 2006, n. 419 del 2005, n. 233 del
2001 e n. 466 del 2000) manifestamente inammissibili, in quanto
finalizzate ad ottenere un avallo interpretativo, le questioni di
legittimita’ costituzionale della disciplina de qua, per assunto
contrasto con i principi di imparzialita’ della pubblica
amministrazione e di tutela giurisdizionale in relazione agli atti di
essa.
Successivamente la Corte, considerando ormai «diritto vivente»
l’indirizzo giurisprudenziale a sostegno della sufficienza del
punteggio numerico, ha, con sentenza n. 20 del 2009, dichiarato non
fondata la medesima questione di legittimita’ costituzionale,
sollevata con riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma, 111,
primo e secondo comma, 113, primo comma, e 117, primo comma, Cost.,
in quanto i parametri evocati erano volti a presidiare l’adeguatezza
degli strumenti processuali posti a disposizione per la tutela dei
diritti e degli interessi legittimi (artt. 24 e 113), nonche’ ad
assicurare la parita’ delle parti nel processo (art. 111), in
coerenza con i principi espressi nella Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali
(art. 117, primo comma), cioe’ garanzie non messe in discussione
dalle norme in questione.
1.3. – Di qui la nuova proposizione della medesima questione,
alla luce di diversi parametri concernenti gli aspetti sostanziali
dell’esercizio della potesta’ amministrativa.
Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, in primo
luogo, il giudice a quo pone in evidenza il collegamento tra il
requisito della motivazione degli atti amministrativi – diretta a
rendere trasparente e controllabile l’esercizio del potere
discrezionale della pubblica amministrazione – con i principi di
imparzialita’ dell’azione amministrativa e di parita’ di trattamento
dei cittadini sanciti dagli artt. 97 e 3 Cost.
In alcune pronunce questa Corte avrebbe affermato che la
necessaria motivazione degli atti amministrativi costituirebbe un
baluardo dei cittadini contro un esercizio arbitrario del potere
discrezionale della pubblica amministrazione (sentenze n. 12 del 1972
e n. 12 del 1965), nonche’ strumento di controllo democratico del
Parlamento su scelte lato sensu politiche dell’esecutivo (sentenza n.
86 del 1977).
Inoltre, la Corte avrebbe asserito la copertura costituzionale
(art. 97 Cost.) dei principi sanciti dalla legge 7 agosto 1990, n.
241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di
diritto di accesso ai documenti amministrativi), con riguardo al
giusto procedimento e alla regola della motivazione degli atti
amministrativi, in quanto l’esternazione delle ragioni alla base
delle scelte amministrative garantirebbe la trasparenza e la
verificabilita’ delle stesse, anche in funzione del controllo
giurisdizionale (sentenze n. 34 del 2010; n. 390 del 2008; n. 103 del
2007, in tema di spoil system; n. 377 del 2007, in tema di
responsabile del procedimento nelle procedure tributarie).
Alla luce delle suddette argomentazioni, ad avviso del
rimettente, la regola della motivazione degli atti amministrativi
dovrebbe applicarsi anche nei procedimenti valutativi di correzione
di elaborati scritti nell’ambito di concorsi pubblici o di esami di
abilitazione allo svolgimento delle professioni, essendo comunque
necessaria una adeguata giustificazione quanto ai criteri prescelti e
alla loro applicazione al caso concreto.
Infatti, non potendo il giudice amministrativo operare un
autonomo apprezzamento della situazione di fatto, la motivazione
costituirebbe lo strumento, attraverso il quale egli potrebbe operare
un «sindacato indiretto» sulla correttezza della valutazione, anche
sulla base della verifica della attendibilita’ del criterio
scientifico applicato.
Come gia’ affermato da questa Corte, la trasparenza delle scelte
amministrative andrebbe assicurata anche se assunte da organi
tecnici, in quanto il carattere non politico dell’organo non
assicurerebbe l’imparzialita’ dell’esercizio della funzione pubblica
(sentenza n. 453 del 1990).
Ad avviso del rimettente, la mancanza di motivazione del «voto
numerico» dei provvedimenti di non ammissione alle prove orali dei
candidati partecipanti agli esami di abilitazione alla professione
forense comporterebbe un difetto di trasparenza in contrasto con il
principio di imparzialita’ che postula la conoscibilita’ e
pubblicita’ delle scelte amministrative anche tecniche (art. 97
Cost.), nonche’ con il principio di uguaglianza e di pari dignita’ di
tutti i cittadini di fronte all’esercizio del potere amministrativo
(art. 3 Cost.).
Peraltro, secondo il giudice a quo, la «sufficienza» del voto
numerico per i provvedimenti di non ammissione dei partecipanti agli
esami di abilitazione alla professione forense contrasterebbe con gli
artt. 4 e 41 Cost., sotto il profilo dell’interesse legittimo (avente
natura sostanziale e non solo processuale) degli stessi candidati
all’accesso al lavoro, nonche’ con l’art. 24 Cost., sotto il profilo
dell’interesse della collettivita’, e degli aspiranti all’esercizio
della professione, alla adeguatezza e preparazione della classe
forense, stante l’imprescindibile ruolo degli avvocati ai fini della
rappresentanza in giudizio e quindi dell’esercizio del diritto di
difesa.
Infine, sarebbe violato anche l’art. 117 Cost., costituendo i
principi del giusto procedimento e della trasparenza parte del
«patrimonio costituzionale comune dei Paesi europei» in forza
dell’art. 253 del Trattato istitutivo delle Comunita’ europee del 25
marzo 1957, operante nell’ordinamento interno come norma interposta
in forza del richiamo operato dallo stesso art. 117 Cost.
Secondo il rimettente, il punteggio numerico indicherebbe il
risultato finale della valutazione, ma non consentirebbe di
comprendere l’iter logico attraverso il quale la commissione
esaminatrice ha fatto applicazione dei criteri di valutazione da essa
stessa prestabiliti secondo legge. Il giudizio espresso in termini
meramente numerici impedirebbe, pertanto, ogni forma di controllo
sulla scelta tecnico – discrezionale e ogni «sindacato indiretto»
sulla correttezza della valutazione della commissione esaminatrice,
in violazione dei principi di trasparenza e imparzialita’ dell’azione
della pubblica amministrazione.
2. – In ciascun giudizio e’ intervenuto, con atti depositati il
14 settembre 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente infondate.
2.1. – La difesa dello Stato – dopo avere richiamato le pronunce
di questa Corte sulla manifesta inammissibilita’ delle questioni (con
riferimento all’art. 3 della legge n. 241 del 1990 e alle norme
denunciate nei giudizi in oggetto), in quanto finalizzate ad ottenere
un avallo interpretativo sulla inesistenza di un obbligo di
motivazione analitica per gli esami di abilitazione e i concorsi in
genere, senza che tale tesi costituisse «diritto vivente» –
sottolinea che la Corte stessa, con la sentenza n. 20 del 2009, preso
atto della consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato sulla
sufficienza della motivazione espressa con punteggio numerico, ha
dichiarato non fondata la questione di legittimita’ delle medesime
norme denunciate nei giudizi in oggetto, in riferimento agli artt.
24, 111, 113 e 117, primo comma, Cost., ritenendo, in sostanza, i
parametri evocati operanti sul piano esclusivamente processuale.
Pertanto, ad avviso della Presidenza del Consiglio, con
riferimento all’art. 24 Cost., la presente questione dovrebbe essere
dichiarata manifestamente infondata.
2.2. – Per quanto concerne l’asserita violazione del principio di
uguaglianza ai sensi dell’art. 3 Cost., secondo il Presidente del
Consiglio dei ministri non sarebbe ravvisabile – ne’ il rimettente
chiarirebbe al riguardo alcunche’ – disparita’ di trattamento dei
candidati all’esame di abilitazione rispetto all’esercizio del
potere, posto che per tutti il criterio di manifestazione del
giudizio sarebbe estrinsecato con le medesime modalita’.
Quanto all’asserita violazione anche dell’art. 97 Cost., la
difesa dello Stato pone in evidenza come l’art. 3 della legge n. 241
del 1990, collegando la motivazione alle risultanze dell’istruttoria,
farebbe riferimento all’attivita’ amministrativa provvedimentale e
non gia’ all’attivita’ valutativa di giudizio.
Ne conseguirebbe che il voto, associato ai criteri generali
definiti a livello normativo (d.l. n. 112 del 2003, convertito dalla
legge n. 180 del 2003), nonche’ ai criteri di massima stabiliti dalla
commissione esaminatrice, consentirebbe di ricostruire l’iter logico
seguito nella valutazione degli elaborati scritti da parte della
commissione medesima.
La motivazione espressa numericamente, dunque, sarebbe in grado
di assicurare la chiarezza sulle valutazioni di merito compiute dalla
commissione e garantirebbe il rispetto dei principi costituzionali di
economicita’, efficienza e speditezza dell’attivita’ amministrativa
(avuto riguardo anche all’elevato numero di esaminandi,
all’eterogeneita’ della preparazione degli stessi e all’obbligo di
concludere le operazioni in tempi strettissimi).
La difesa dello Stato sottolinea, inoltre, come anche
nell’ordinamento scolastico il giudizio in ordine alla preparazione
di un candidato sia stato sempre espresso con l’attribuzione di un
voto numerico (artt. 81 e 82 del regio decreto 6 maggio 1923, n. 1054
[Ordinamento della istruzione media e dei convitti nazionali]). In
ordine alla asserita limitazione di tutela giurisdizionale in ipotesi
di giudizi espressi in termini meramente numerici, il Presidente del
Consiglio dei ministri evidenzia che le valutazioni delle commissioni
giudicatrici degli esami di abilitazione o dei concorsi sono
sindacabili per sviamento logico, errore di fatto e
contraddittorieta’ rilevabile ictu oculi, per cui la affermata
«idoneita’» del punteggio numerico ad integrare l’obbligo di
motivazione non farebbe venire meno la possibilita’ di sindacato
giurisdizionale sulla ragionevolezza, coerenza, logicita’ della
valutazione (anche sulla base del possibile accesso agli atti di
competizione).
Quanto alla necessita’ di assicurare la trasparenza delle scelte
amministrative anche quando queste siano assunte da organi tecnici,
la difesa erariale richiama la pronuncia di questa Corte, in base
alla quale l’imparzialita’ dell’amministrazione sarebbe gia’
sufficientemente garantita dal carattere tecnico e non politico degli
organi amministrativi che procedono alla correzione degli elaborati.
Pertanto, anche con riguardo agli evocati artt. 3 e 97, la
questione andrebbe dichiarata manifestamente infondata.
2.3. – Con riferimento alla assunta violazione degli artt. 4 e 41
Cost., sotto il profilo dell’interesse all’accesso al lavoro
(subordinato o autonomo) dei candidati partecipanti all’esame di
abilitazione all’esercizio della professione forense, la difesa dello
Stato sottolinea come, con specifico riferimento allo «statuto» delle
libere professioni, il riconoscimento in capo agli Ordini e ai
Collegi professionali di particolari poteri di accertamento dei
requisiti di capacita’ e idoneita’ di coloro che aspirino a
esercitare la professione (ad esempio: possesso di titolo di studio;
esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione),
di vigilanza sull’esercizio della professione e di disciplina nei
confronti degli iscritti, garantirebbe la preparazione
tecnico-professionale e l’idoneita’ morale degli esercenti la
professione forense, interessi il cui fondamento costituzionale
sarebbe da rinvenire proprio nell’art. 41, secondo comma, Cost.
(l’attivita’ economica privata non puo’ svolgersi in contrasto con
l’utilita’ sociale, o in modo da recare danno alla sicurezza,
liberta’ e dignita’ umana).
La votazione costituirebbe una sintesi delle ragioni poste a
fondamento della valutazione delle prove scritte, percepibili ictu
oculi attraverso la semplice associazione della stessa con i criteri
generali indicati sul piano normativo e integrati dalla singola
commissione esaminatrice. La finalita’ di tale valutazione sarebbe
quella di accertare la capacita’ e la preparazione culturale del
candidato che intenda espletare la professione forense (la
sufficienza dell’onere motivazionale e’ stata affermata dal Consiglio
di Stato, anche in relazione al concorso per uditore giudiziario).
2.4. – Quanto all’asserita violazione dell’art. 117 Cost.,
attraverso la norma interposta di cui all’art. 253 del Trattato CE
(attualmente art. 296 TFUE), la difesa dello Stato rileva che il
diritto comunitario non disciplina le modalita’ in cui detta
motivazione deve essere esternata, potendosi ritenere conforme a tale
diritto anche la manifestazione di giudizio sintetizzata nel voto
numerico. Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, non
risulterebbe neanche invocabile l’obbligo per l’amministrazione di
motivare le proprie decisioni ai sensi del Trattato 29 ottobre 2004
(Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa), norma
applicabile «agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del
diritto dell’Unione» (art. II-111, comma 1), mentre la disciplina
degli esami di abilitazione all’esercizio della professione forense
non sarebbe attinente all’attuazione del diritto comunitario.
Anche sotto quest’ultimo profilo, la questione di legittimita’
costituzionale sarebbe manifestamente infondata.
3. – Con riferimento al giudizio r. o. n. 219 del 2010, si e’
costituito, con memoria depositata il 13 settembre 2010, il signor G.
M., chiedendo la declaratoria di illegittimita’ costituzionale delle
norme censurate, in riferimento ai medesimi parametri evocati
nell’ordinanza di rimessione.
3.1. – In punto di fatto, la parte privata premette che essa
aveva partecipato agli esami di abilitazione all’esercizio della
professione di avvocato nella sessione 2008, presso la Corte di
appello di Milano; che l’esito della valutazione delle prove scritte
era stato negativo; che aveva impugnato dinanzi al giudice
amministrativo il giudizio di non ammissione alle prove orali,
espresso con voto numerico completamente immotivato; che il Ministero
della giustizia si era costituito in giudizio, chiedendo il rigetto
del ricorso; che, in via cautelare, essa era stata ammessa a
sostenere le prove orali, poi superate in data 12 novembre 2009.
In punto di diritto, la parte privata sottolinea che l’obbligo di
motivazione del provvedimento amministrativo, sancito dall’art. 3
della legge n. 241 del 1990, troverebbe uniforme applicazione, con la
sola eccezione degli atti normativi e di quelli a contenuto generale.
Inoltre, pone in evidenza che l’indicazione dei «presupposti fatto e
delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione
dell’amministrazione» sarebbe necessaria per la verifica dell’iter
logico seguito dall’autorita’ nell’adozione del provvedimento e
l’obbligo di motivazione costituirebbe il corollario del principio di
buon andamento dell’Amministrazione enunciato nell’art. 97 Cost.
L’obbligo di motivazione degli atti amministrativi troverebbe
fondamento anche a livello di diritto comunitario, tutelato
attraverso l’art. 117 Cost., e sarebbe da ritenere sufficientemente
adempiuto allorche’ l’autorita’ procedente esponga in modo plausibile
le ragioni di fatto e di diritto a sostegno dell’atto adottato.
Pertanto, la parte privata ritiene che le disposizioni censurate
debbano essere lette ed integrate con l’art. 3 della legge n. 241 del
1990, essendo la motivazione finalizzata a rendere trasparente e
controllabile l’esercizio del potere discrezionale della pubblica
amministrazione, garantendone l’imparzialita’ (art. 97 Cost.) e la
parita’ di trattamento dei cittadini di fronte alla medesima (art. 3
Cost.).
Al riguardo, segnala la molteplicita’ dei casi in cui, proprio
perche’ carenti di motivazione, le valutazioni delle prove scritte
degli esami di abilitazione o di concorso sarebbero risultate
totalmente diverse a seconda della commissione giudicatrice, deputata
alla correzione. Soltanto una valutazione motivata potrebbe
assicurare la conoscibilita’ dei motivi di tali discrepanze.
Ne’, ad avviso della parte privata, sussisterebbero
insormontabili ragioni pratiche di speditezza idonee ad impedire la
motivazione del voto negativo delle prove d’esame (ad esempio,
sottolineatura dei brani censurati e/o indicazione delle parti del
brano contenenti errori o insufficienze).
Infine, la parte suddetta sottolinea l’interesse al lavoro
(subordinato o autonomo) dei candidati che partecipano all’esame di
abilitazione all’esercizio della professione forense (artt. 4 e 41
Cost.), nonche’ l’interesse della collettivita’ e degli stessi
aspiranti alla detta professione affinche’ sia garantita la
professionalita’ di coloro che superano l’esame di abilitazione ai
fini della rappresentanza in giudizio e dunque dell’esercizio del
diritto di difesa (art. 24 Cost.). Tali interessi sarebbero
soddisfatti esclusivamente attraverso la esternazione e la
conoscibilita’ delle motivazioni dei giudizi di non ammissione agli
esami di abilitazione all’esercizio della professione forense.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, con
le cinque ordinanze di analogo tenore indicate in epigrafe, dubita,
in riferimento agli articoli 3, 4, 24, 41, 97 e 117 della
Costituzione, della legittimita’ costituzionale degli artt. 17-bis,
comma 2, 23, quinto comma, 24, primo comma, del regio decreto 22
gennaio 1934, n. 37 (Norme integrative e di attuazione del regio
decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, sull’ordinamento della
professione di avvocato e di procuratore), come novellato dal
decreto-legge 21 maggio 2003, n.112 (Modifiche urgenti alla
disciplina degli esami di abilitazione alla professione forense),
convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2003, n.180,
nella parte in cui essi, secondo l’interpretazione giurisprudenziale
costituente «diritto vivente», consentono che i giudizi di non
ammissione dei candidati che partecipano agli esami di abilitazione
all’esercizio della professione forense possano essere motivati con
l’attribuzione di un mero punteggio numerico.
In ciascun giudizio il rimettente premette che, alla luce della
normativa censurata, i ricorsi, proposti dalle parti private avverso
i provvedimenti di non ammissione alle prove orali dell’esame per
l’iscrizione all’albo degli avvocati, dovrebbero essere respinti.
Infatti, tale normativa, secondo un orientamento del Consiglio di
Stato divenuto ormai costante, escluderebbe che la commissione
esaminatrice, nel procedere alla correzione degli elaborati, debba
supportare l’indicazione del voto numerico con una ulteriore
motivazione. Cio’ perche’ il voto espresso numericamente
costituirebbe in se’ una motivazione sintetica, ma comunque idonea a
rendere palese la valutazione compiuta dalla commissione, esternata
attraverso la graduazione del voto e l’omogeneita’ del giudizio
attribuito all’elaborato.
Tanto sarebbe sufficiente a rendere possibile il sindacato
giurisdizionale sul provvedimento di non ammissione che, in presenza
dell’ampio potere tecnico-discrezionale spettante agli organi
preposti alla valutazione, potrebbe avvenire soltanto in caso di
espressione di giudizi discordanti tra i commissari o di
contraddizione tra specifici elementi di fatto, i criteri di massima
prestabiliti e la conseguente attribuzione del voto.
Il giudice a quo richiama i precedenti di questa Corte,
menzionati in narrativa, e pone l’accento sull’ordinanza (recte:
sentenza) n. 20 del 2009, che ha preso atto dell’evoluzione della
giurisprudenza del Consiglio di Stato, ormai consolidata sul
principio della sufficienza del punteggio numerico, da considerare
diritto vivente e, quindi, suscettibile di essere sottoposto allo
scrutinio di legittimita’ costituzionale, sia pur pervenendo ad una
declaratoria di non fondatezza in base ai parametri in quella sede
evocati. Tuttavia, ritiene che la questione meriti di essere
riesaminata, alla luce delle argomentazioni del pari esposte in
narrativa.
2. – I cinque giudizi, aventi ad oggetto identiche questioni,
vanno riuniti per essere definiti con unica decisione.
3. – Le questioni non sono fondate.
L’art. 17-bis, comma 2, del r.d. n. 37 del 1934, e successive
modificazioni, nel testo vigente stabilisce che «Per ciascuna prova
scritta ogni componente delle commissioni d’esame dispone di dieci
punti di merito; alla prova orale sono ammessi i candidati che
abbiano conseguito, nelle tre prove scritte, un punteggio complessivo
di almeno 90 punti e con un punteggio non inferiore a 30 punti per
almeno due prove».
L’art. 23, quinto comma, del medesimo testo normativo dispone che
«La commissione assegna il punteggio a ciascuno dei tre lavori
raggruppati ai sensi dell’art. 22, comma 4, dopo la lettura di tutti
e tre, con le norme stabilite nell’articolo 17-bis».
Infine, l’art. 24, primo comma, del r.d. n. 37 del 1934 statuisce
che «Il voto deliberato deve essere annotato immediatamente dal
segretario, in tutte lettere, in calce al lavoro. L’annotazione e’
sottoscritta dal presidente e dal segretario».
Come si vede, il criterio prescelto dal legislatore per la
valutazione delle prove scritte nell’esame de quo e’ quello del
punteggio numerico, costituente la modalita’ di formulazione del
giudizio tecnico-discrezionale finale espresso su ciascuna prova, con
indicazione del punteggio complessivo utile per l’ammissione
all’esame orale.
Tale punteggio, gia’ nella varieta’ della graduazione attraverso
la quale si manifesta, esterna una valutazione che, sia pure in modo
sintetico, si traduce in un giudizio di sufficienza o di
insufficienza, a sua volta variamente graduato a seconda del
parametro numerico attribuito al candidato, che non solo stabilisce
se quest’ultimo ha superato o meno la soglia necessaria per accedere
alla fase successiva del procedimento valutativo, ma da’ anche conto
della misura dell’apprezzamento riservato dalla commissione
esaminatrice all’elaborato e, quindi, del grado di idoneita’ o
inidoneita’ riscontrato.
Inoltre, il punteggio espresso deve trovare specifici parametri
di riferimento nei criteri di valutazione contemplati nell’art. 22,
nono comma, del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578
(Ordinamento della professione di avvocato), convertito, con
modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36; ed e’ soggetto a
controllo da parte del giudice amministrativo che, pur non potendo
sostituire il proprio giudizio a quello della commissione
esaminatrice, puo’ tuttavia sindacarlo, nei casi in cui sussistano
elementi in grado di porre in evidenza vizi logici, errori di fatto o
profili di contraddizione ictu oculi rilevabili, previo accesso agli
atti del procedimento.
3.1. – In questo quadro, le argomentazioni addotte dal
rimettente, con riferimento ai parametri costituzionali evocati, non
possono essere condivise.
Infatti, e’ vero che la motivazione e’ diretta a rendere
trasparente e controllabile l’esercizio della discrezionalita’
amministrativa, garantendo cosi’ l’imparzialita’ della pubblica
amministrazione nonche’ la parita’ di trattamento dei cittadini di
fronte ad essa. Non e’ esatto, pero’, che il criterio del punteggio
numerico sia inidoneo a costituire motivazione del giudizio
valutativo espresso dalla commissione esaminatrice.
Come poco sopra si e’ notato, il detto criterio (peraltro
diffusamente adottato nelle procedure concorsuali ed abilitative)
rivela una valutazione che, attraverso la graduazione del dato
numerico, conduce ad un giudizio di sufficienza o di insufficienza
della prova espletata e, nell’ambito di tale giudizio, rende palese
l’apprezzamento piu’ o meno elevato che la commissione esaminatrice
ha attribuito all’elaborato oggetto di esame. Pertanto, non e’
sostenibile che il punteggio indichi soltanto il risultato della
valutazione. Esso, in realta’, si traduce in un giudizio complessivo
dell’elaborato, alla luce dei parametri dettati dall’art. 22, nono
comma, del citato r.d.l. n. 1578 del 1933, suscettibile di sindacato
in sede giurisdizionale, nei limiti individuati dalla giurisprudenza
amministrativa.
D’altro canto, va anche considerato che il criterio in questione
risponde ad esigenze di buon andamento dell’azione amministrativa
(art. 97, primo comma, Cost.), che rendono non esigibile una
dettagliata esposizione, da parte delle commissioni esaminatrici,
delle ragioni che hanno condotto ad un giudizio di non idoneita’,
avuto riguardo sia ai tempi entro i quali le operazioni concorsuali o
abilitative devono essere portate a compimento, sia al numero dei
partecipanti alle prove.
Neppure puo’ sostenersi che la normativa censurata si ponga in
contrasto con l’art. 3, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241
(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto
di accesso ai documenti amministrativi). Fermo restando che il
criterio del punteggio numerico e’ idoneo ad esprimere un giudizio
sufficientemente motivato, si deve osservare che il citato art. 3,
comma 1, va coordinato con l’art. 1, comma 1, della medesima legge n.
241 del 1990, in forza del quale l’attivita’ amministrativa e’ retta
(tra gli altri) da criteri di economicita’ e di efficacia, che
giustificano la scelta del modulo valutativo adottato dal
legislatore.
3.2. – Cio’ posto, venendo all’esame dei singoli parametri
evocati dalle ordinanze di rimessione, va rilevato che il richiamo
all’art. 3 Cost. non e’ fondato.
Al riguardo, il TAR della Lombardia ritiene che l’insufficienza
del criterio del punteggio numerico darebbe luogo ad un difetto di
trasparenza che si porrebbe «in inevitabile contrasto con il
principio di imparzialita’ che postula, invece, la conoscibilita’ e
la pubblicita’ delle scelte amministrative, finendo anche per
riverberarsi a danno della posizione di uguaglianza e pari dignita’
di tutti i cittadini di fronte all’esercizio del potere
amministrativo».
Tuttavia, ribadite le considerazioni sopra esposte circa la
sufficienza della motivazione espressa tramite il punteggio numerico,
si deve escludere il difetto di trasparenza lamentato dal rimettente;
e, quanto alla censura concernente il danno alla posizione di
uguaglianza e pari dignita’ di tutti i cittadini, essa risulta
proposta in termini generici ed astratti, che non consentono di
coglierne la riferibilita’ alla fattispecie, dato che il criterio di
esternazione del giudizio tramite punteggio numerico si applica con
le stesse modalita’ a tutti i candidati agli esami di cui si tratta.
Analoghi rilievi valgono anche per la censura mossa con
riferimento all’art. 97 Cost., alla luce di quanto sopra esposto.
Inoltre, ad avviso del giudice a quo, sarebbero violati gli artt.
4 e 41 Cost., perche’ sarebbe pregiudicato l’interesse legittimo
(avente natura sostanziale e non soltanto processuale) dei candidati
partecipanti all’esame di abilitazione professionale, sotto il
profilo dell’accesso al lavoro subordinato o autonomo.
Neppure questa doglianza e’ fondata.
La normativa censurata si limita ad individuare, in base ad una
scelta del legislatore immune da irragionevolezza e non arbitraria
(per quanto sopra detto), un criterio di valutazione delle prove di
esame per abilitazione all’esercizio della professione forense. Il
Tribunale rimettente sostiene che la trasparenza dell’operato delle
commissioni esaminatrici sarebbe imposta dal rilievo costituzionale
degli interessi implicati nel procedimento. Ma gia’ si e’ visto che
il sistema individuato dal legislatore e’ in grado di assicurare tale
trasparenza, onde la dedotta violazione non sussiste.
La violazione dell’art. 24 Cost. va, a sua volta, esclusa.
Invero, come gia’ questa Corte ha chiarito (sentenza n. 20 del
2009 e giurisprudenza in essa richiamata), la citata norma
costituzionale, che enuncia il principio dell’effettivita’ del
diritto di difesa in ambito generale, e’ diretta a presidiare
l’adeguatezza degli strumenti processuali posti a disposizione
dall’ordinamento per la tutela in giudizio delle situazioni
giuridiche ed opera esclusivamente sul piano processuale, mentre la
denunziata illegittimita’ costituzionale concerne un momento del
procedimento amministrativo che disciplina lo svolgimento degli esami
per l’abilitazione all’esercizio della professione forense e, dunque,
riguarda il profilo sostanziale dei requisiti di validita’ del
provvedimento di esclusione del candidato. Pertanto, la disciplina
censurata, che non preclude il ricorso al giudice amministrativo, non
e’ idonea ad interferire col diritto di difesa e si sottrae
all’ambito applicativo del citato art. 24.
Infine, il rimettente dubita della legittimita’ costituzionale
della norma censurata in riferimento all’art. 117 Cost. (da
intendere, alla luce della lettura congiunta della motivazione e del
dispositivo delle ordinanze, come art. 117, primo comma, Cost.).
Infatti, i principi del giusto procedimento e della motivazione delle
scelte amministrative «non sono di esclusiva pertinenza della
legislazione interna ma costituiscono parte del patrimonio
costituzionale comune dei Paesi europei in forza dell’art. 253 del
Trattato istitutivo delle Comunita’ europee ed operano, quindi, anche
nell’ordinamento interno come norme interposte in forza del richiamo
operato dall’art. 117 Cost. (Corte costituzionale, 17 marzo 2006, n.
104)».
Neppure tale doglianza e’ fondata.
Infatti, a prescindere dall’erronea qualificazione dell’art. 253
del Trattato istitutivo delle Comunita’ europee del 25 marzo 1957
(oggi art. 296 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea)
come norma interposta, la disciplina degli esami di abilitazione
all’esercizio della professione forense non rientra nel campo di
applicazione del diritto comunitario.
Ne segue l’inconferenza del richiamo all’art. 117, primo comma,
Cost.
3.3. – Conclusivamente, le questioni di legittimita’
costituzionale, sollevate dalle ordinanze di rimessione indicate in
epigrafe, devono essere dichiarate non fondate.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Riuniti i giudizi;
Dichiara non fondate le questioni di legittimita’ costituzionale
degli articoli 17-bis, comma 2, 23, quinto comma, 24, primo comma,
del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37 (Norme integrative e di
attuazione del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578,
sull’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore),
come novellato dal decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112 (Modifiche
urgenti alla disciplina degli esami di abilitazione alla professione
forense), convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2003,
n. 180, sollevate, in riferimento agli articoli 3, 4, 24, 41, 97 e
117 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la
Lombardia con le ordinanze indicate in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2011.

Il Presidente: Maddalena

Il redattore: Criscuolo

Il cancelliere: Melatti

Depositata in cancelleria l’8 giugno 2011.

Il direttore della cancelleria: Melatti

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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