Cass. civ. Sez. I, Sent., 28-05-2012, n. 8449 Regolamento di competenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A seguito di pronuncia del Tribunale per i minorenni delle Marche del 31 ottobre 2007, d’inammissibilità del ricorso avverso il provvedimento dichiarativo dello stato di adottabilità del minore M.A., reso in data 31 maggio 2007, veniva proposto appello davanti alla Corte d’Appello sezione minorenni. Adita la Corte d’Appello, il giudice di secondo grado dichiarava la propria incompetenza in favore del Tribunale per i minorenni, affermando che la pronuncia di primo grado avrebbe potuto essere impugnata soltanto con regolamento di competenza. La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 10571 del 2009, investita del ricorso per regolamento di competenza, lo accoglieva, ritenendo che la Corte d’appello non avrebbe dovuto emettere una pronuncia declinatoria sulla competenza ma solo giudicare della legittimità o meno della declaratoria d’inammissibilità del Tribunale per i minorenni, con conseguente rinvio per un nuovo giudizio alla medesima Corte d’Appello, in diversa composizione, che, infine, decidendo anche nel merito della controversia, pronunciava la sentenza impugnata.

Il giudice del rinvio riformava la pronuncia d’inammissibilità del Tribunale per i Minorenni, ritenendo che, alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 22638 del 2008), avverso i provvedimenti dichiarativi dello stato di adottabilità resi prima del 30 giugno 2007 doveva essere proposto ricorso davanti al Tribunale per i minorenni, in quanto le nuove regole processuali riguardanti la competenza, a causa dei reiterati differimenti dell’entrata in vigore della nuova formulazione della L. n. 184 del 1983, art. 17 (per effetto della L. n. 149 del 2001), erano applicabili solo successivamente a tale data. Da tale premessa, tuttavia, il giudice di secondo grado non faceva discendere la rimessione della decisione sull’impugnazione del decreto al giudice di primo grado, ritenendo che non fosse ravvisabile, nella specie, alcuna delle ipotesi previste dagli artt. 353 e 354 cod. proc. civ., e, conseguentemente, provvedeva nel merito, confermando la valutazione di adottabilità del minore contenuta nel decreto impugnato. Il giudice d’appello, premesso che il minore era in affido fin dal 1998, evidenziava che l’inidoneità dei genitori naturali e le gravi conseguenze sull’equilibrio psico fisico del medesimo producibili da un rientro nella famiglia naturale,, erano state confermate da due consulenze tecniche d’ufficio, l’ultima delle quali effettuata nel 2011, disposta dalla Corte stessa. Dalle risultanze complessive dell’istruzione svolta dal Tribunale per i minorenni era univocamente emersa una condizione di patologia psichica della madre naturale, una condizione d’immaturità del padre, una persistente conflittualità tra i genitori, una forte compromissione delle capacità genitoriali che aveva determinato il ricovero in comunità anche dei due fratelli più grandi nonchè una episodicità di rapporti del minore con i genitori naturali, l’inesistenza di un rapporto significativo con loro ed infine la necessità di cure del minore medesimo, in quanto affetto da alopecia e balbuzie. Precisava infine la Corte d’Appello che la condivisibile valutazione delle consulenze tecniche era indipendente dall’inserimento del minore nella famiglia affidataria, il cui distacco avrebbe comunque determinato conseguenze traumatiche.

Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso i genitori naturali del minore, affidandosi a tre motivi. Nel primo motivo hanno lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 330 cod. civ., per illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo del provvedimento, perchè il giudice d’appello, pur avendo accolto la censura relativa all’erronea dichiarazione d’inammissibilità del ricorso avverso il decreto di adottabilità del Tribunale per i Minorenni, in modo del tutto contraddittorio avrebbe provveduto nel merito invece di disporre il rinvio della causa al giudice di primo grado, così violando il principio del doppio grado di giurisdizione.

Nel secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 353 e 354 cod. proc. civ., in relazione alla L. n. 18 del 1983, art. 17. Il giudizio di adottabilità, secondo il regime giuridico contenuto nell’originaria formulazione della L. n. 184 del 1983, anteriore alle modifiche introdotte con la L. n. 149 del 2001, non contemplava la partecipazione e/o la mera previsione della partecipazione della famiglia naturale fino all’emanazione del decreto. Proprio per questa ragione era prevista la proposizione dell’opposizione, in contraddittorio delle parti, da svolgersi secondo le regole costituzionali del giusto processo. Con la L. n. 149 del 2001, al contrario, il procedimento destinato a sfociare in un provvedimento relativo all’adottabilità del minore è caratterizzato dal contraddittorio sin dalla sua apertura. Per questa ragione è stata prevista esclusivamente l’impugnazione alla Corte d’Appello. Nella specie, essendo mancato il contraddittorio nella prima fase del procedimento con le parti private, l’omesso rinvio al primo giudice deve essere considerato del tutto contrastante con il dato normativo.

Nel terzo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, art. 8, in quanto la sentenza impugnata è fondata su una motivazione palesemente contrastante con i presupposti di legge fissati da tale norma dal momento che i genitori naturali non hanno smesso di interessarsi del proprio figlio ed hanno eseguito tutte le prescrizioni dei Servizi sociali, mentre questi ultimi hanno omesso di depositare qualsiasi relazione relativa al minore dal 2003, data in cui i genitori naturali hanno visto per l’ultima volta il minore, essendo state respinte tutte le istanze di visita formulate al Tribunale per i Minorenni. Viene inoltre censurato d’illegittimità il decreto di adottabilità e l’intera procedura, attesa la mancanza di un’indagine sulle possibilità di assistenza morale dei parenti fino al quarto grado. Infine è contestata la legittimità dei quesiti sottoposti al consulente tecnico d’ufficio nominato dalla Corte d’Appello in quanto relativi alla capacità genitoriale dei genitori naturali, da valutare "ora per allora" e alle conseguenze del distacco del minore dalla famiglia affidataria ed anche censurate le conclusioni della consulenza, recepita dal giudice di secondo grado, perchè fondate su un’indagine svolta a distanza di molti anni dall’ultimo incontro con il minore. E’ stato aggiunto dai ricorrenti che le parti sono risultate vittoriose nelle opposizioni allo stato di adottabilità degli altri due figli ormai maggiorenni e che le condizioni di adottabilità del minore non sussistono neanche alla luce dei nuovi presupposti di legge, in quanto le decisioni giurisdizionali impugnate sono in realtà fondate solo sulla convinzione, non suffragata da riscontri probatori, di non far rientrare il minore nella famiglia d’origine e di negargli la possibilità di scegliere liberamente.

Motivi della decisione

I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente avendo entrambi ad oggetto, sia pure con diversa prospettazione dei vizi, la mancata rimessione del giudizio davanti al Tribunale per i Minorenni, dichiaratosi erroneamente incompetente a decidere sull’opposizione al decreto di adottabilità. La parte ricorrente ritiene che la violazione del principio del doppio grado di giurisdizione, nel caso di specie, abbia determinato la violazione dei principi costituzionali del giusto processo, in quanto nel regime giuridico ante vigente del procedimento relativo alla dichiarazione dello stato di adottabilità (prima dell’entrata in vigore della L. n. 149 del 2001) l’emanazione del decreto interveniva in assenza di un effettivo contraddittorio, introdotto invece con la novella del 2001. Le censure si rivelano palesemente infondate alla luce degli univoci orientamenti di legittimità relativi alla tassatività delle fattispecie di rimessione al giudice di primo grado e alla generale applicazione del principio dell’effettività della lesione dei diritti processuali che informa l’interpretazione dei principi costituzionali del giusto processo. In ordine al primo dei due profili, è consolidato il principio secondo il quale l’erronea dichiarazione d’incompetenza, da parte del giudice di primo grado, non rientra tra le ipotesi di rimessione al primo giudice, tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 cod. proc. civ., essendo stato abrogato, dal 1/1/1993, comma 4, dell’art. 353 ( L. n. 353 del 1990, ex art. 89) che tale rimessione prevedeva nella sola ipotesi in cui il pretore, in riforma della sentenza del conciliatore, avesse dichiarato la competenza (Cass. n. 15430 del 2004 e 12455 del 2010). E’ stato inoltre ribadito, sotto il secondo profilo, che il principio del doppio grado di giurisdizione non ha garanzia costituzionale e, conseguentemente (la tassatività delle fattispecie previste negli artt. 353 e 354 cod. proc. civ., è conforme a Costituzione (Cass. 18691 del 2007). E’ stato ulteriormente chiarito con la pronuncia n. 21233 del 2011 che l’obbligo del giudice d’appello di valutare il merito della controversia nel contraddittorio delle parti e nel rispetto del loro diritto di difesa esclude l’astratta configurabilità di una violazione degli artt. 3 e 24 Cost.. Infine, perfettamente coerente alla fattispecie dedotta nel presente giudizio è il principio, del tutto condivisibile, contenuto nella motivazione della sentenza della Corte di Cassazione n. 225958 del 2010, nella quale vengono esaminate le due differenti ipotesi di erronea statuizione sulla competenza da parte del giudice di primo grado e indicate le diverse conseguenze che dall’una o dall’altra derivano. Nell’ipotesi di erronea dichiarazione di competenza e decisione nel merito del giudice di primo grado, il giudice d’appello deve dichiarare l’incompetenza del giudice adito, indicare quello competente e disporre la riassunzione, salvo il caso in cui il giudice competente corrisponda a quello d’appello e vi sia istanza apposita per la decisione nel merito ed in primo grado con instaurazione del contraddittorio sul punto (Il principio trova conferma anche in Cass. n. 26462 del 2011).

Nell’altra speculare ipotesi, invece, nella quale il giudice di primo grado abbia declinato erroneamente la competenza (com’è accaduto nella fattispecie dedotta nel presente giudizio, ancorchè con pronuncia d’inammissibilità emessa dal Tribunale per i minorenni), il giudice d’appello è effettivamente quello che avrebbe dovuto essere e, conseguentemente, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di rimessione al primo giudice ex artt. 353 e 354 cod. proc. civ., previa dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado a causa della non corretta declinatoria sulla competenza, in ragione dell’effetto devolutivo dell’appello, tale giudice deve decidere nel merito. Deve, pertanto, concludersi per il rigetto dei primi due motivi di ricorso.

Anche il terzo motivo non risulta meritevole di accoglimento. In esso si lamenta, al di là della formale formulazione di una duplice censura di violazione di legge e di vizio della motivazione, un’errata valutazione dei fatti sulla base dei quali è stata ritenuta sussistente dal giudice di secondo grado la situazione di abbandono, non transitoria e non dovuta a causa di forza maggiore, richiesta dalla L. n. 184 del 1983, art. 8, per dichiarare lo stato di adottabilità di un minore. Pertanto deve essere dichiarata inammissibile la parte del motivo che denuncia il vizio di violazione di legge relativo all’applicazione di tale norma, perchè fondato esclusivamente su censure relative alla selezione e valutazione degli elementi di fatto posti a base della decisione, mentre la formulazione del vizio ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, richiede necessariamente la deduzione di un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata da una norma di legge (Cass. 16698 del 2010) e non è compatibile con la contestazione delle risultanze di causa. Deve, invece, ritenersi ammissibile la censura relativa al vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione.

Al riguardo occorre rilevare che i ricorrenti hanno indicato come elementi di fatto contrastanti la situazione di abbandono riconosciuta come esistente e continuativa dalla Corte di appello le seguenti circostanze:

a) La reiezione di molteplici richieste di colloquio o visita del minore rivolte agli organi competenti delle quali, tuttavia, non c’è nè indicazione nè traccia documentale nel ricorso e che sono fermamente smentite dalla sentenza di secondo grado la quale, al contrario, riferisce dell’episodicità dei rapporti tra genitori naturali (ed in particolare la madre) ed il minore e la conseguente mancata instaurazione di un legame affettivo con il minore medesimo, "dovuta alla mancanza d’iniziativa assunta in tale senso dai genitori". b) La mancanza di relazioni dei servizi sociali dal 2003. Si tratta di un elemento che difetta della decisività soprattutto se posto in correlazione con il duplice univoco riscontro delle consulenze tecniche eseguite rispettivamente nel 2006 e nel 2011, ovvero rispettivamente poco prima dell’emissione del decreto di adottabilità e poco prima della pronuncia impugnata, dalle quali, come esaurientemente riportato in sentenza, emerge un quadro univoco d’inidoneità genitoriale derivante dalle singole personalità dei genitori (madre affetta da patologia psichiatrica e padre dipendente dalla moglie), dalla persistente conflittualità tra di essi, sfociata in numerosi e reiterati interventi della Polizia di Stato e dei Servizi sociali (fin dal 2001), dalla mancanza di supporto affettivo e relazionale in cui si è trovato il minore lasciato spesso solo fin dalla più tenera età, dalla permanenza di tale condizione di compromissione delle capacità genitoriali al momento dell’emissione del decreto di adottabilità. c) La mancanza di un’indagine sulle possibilità di assistenza morale e materiale da parte dei parenti fino al quarto grado. La deduzione difetta radicalmente di decisività in quanto priva dell’indicazione specifica di tali figure parentali e della manifestazione di disponibilità espressa nei precedenti gradi di giudizio.

Al riguardo deve evidenziarsi il rigore manifestato negli orientamenti della giurisprudenza di questa Corte in ordine all’accertamento delle condizioni necessarie per escludere lo stato d’abbandono anche in presenza di figure parentali disponibili. Nella pronuncia n. 2102 del 2011 è stato sottolineato come neanche la mera disponibilità possa essere ritenuta elemento sufficiente, essendo necessario che venga integrata dall’accertamento dell’idoneità a garantire condizioni di assistenza e di crescita adeguate e che siano state positivamente instaurate relazioni psicologiche ed affettive significative (Cass. n. 6629 del 2002 e 11993 del 2002). d) L’illegittimità dei quesiti relativi all’ultima consulenza d’ufficio svolta dalla Corte d’appello. Premessa l’incensurabilità in sede di legittimità della valutazione delle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, ove la condivisione sia adeguatamente motivata nella sentenza impugnata, le conclusioni dell’elaborato sono state poste in correlazione con le altre circostanze di fatto già acquisite e costituenti un continuum univoco di riscontri relativi all’inidoneità dei genitori naturali, ed, inoltre, il giudice d’appello ha specificamente richiesto ai consulenti d’ufficio di valutare la situazione al momento della dichiarazione di adottabilità, oltre che al momento dell’accertamento peritale. Nella sentenza impugnata si afferma, infatti: "Nell’elaborato (…) si ribadisce (premessa la già individuata presenza di una patologia psichiatrica, definita quale reazione psicotica breve in capo alla madre e l’altrettanto già rilevata personalità immatura del padre) la forte compromissione delle capacità genitoriali dei genitori naturali, con riferimento sia al periodo attuale sia a quello relativo all’epoca della dichiarazione di adottabilità". e) La conclusione positiva per i genitori naturali delle cause di opposizione allo stato di adottabilità degli altri figli della coppia. Anche tale elemento difetta della decisività dovendo la condizione d’idoneità essere considerata con riferimento al minore e al momento della decisione sull’adottabilità del medesimo. Deve, comunque, osservarsi che la Corte d’appello da atto della circostanza che gli altri figli ormai maggiorenni convivono con i genitori, ma sottolinea la diversità della loro situazione rispetto a quella del figlio più piccolo con il quale non risulta essere stato instaurato uno stabile rapporto affettivo con i genitori naturali, per le ragioni già ampiamente illustrate, coerentemente con i principi anche di recente ribaditi dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 7115 del 2011) secondo i quali la mera volontà dei genitori naturali di riassumere il proprio ruolo genitoriale (pur se rilevante, non è sufficiente ad escludere la ricorrenza delle condizioni dello stato di abbandono quando sia accertato che la vita offerta al figlio non sarebbe in grado di garantire il suo equilibrio psico fisico.

Pertanto anche se la L. n. 184 del 1983, art. 1 (nel testo novellato dalla L. n. 149 del 2001) attribuisce al diritto del minore di crescere nell’ambito della propria famiglia d’origine un carattere prioritario, considerandola l’ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psico fisico; e mira a garantire tale diritto attraverso la predisposizione d’interventi diretti a rimuovere situazioni di difficoltà e di disagio familiare, come ribadito anche di recente da questa Corte (Cass. 1837 del 2011), può configurarsi lo stato d’abbandono quando non sia sopravvenuta l’autonomia genitoriale necessaria e, pur dopo i necessari e reiterati interventi dei servizi sociali, risulti impossibile prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità dei minore di uno stabile contesto familiare, anche in presenza di un’evoluzione dei rapporti tra genitore naturale e minore.

Il ricorso deve, pertanto, essere respinto, senza statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione in giudizio delle controparti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

A norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, dei minori e dei parenti, in quanto imposto dalla legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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