Cass. civ. Sez. I, Sent., 28-05-2012, n. 8447 Revocatoria fallimentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

G.G. e R.M. proponevano appello avverso la sentenza del Tribunale di Siracusa del 20/5/2004, con cui era stata accolta la domanda revocatoria proposta L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 1, dalla Curatela del Fallimento della società irregolare costituita tra S.S. e B.N. nonchè dei soci medesimi S.S. e B.N., per la notevole sproporzione tra le contrapposte prestazioni, ed era stata dichiarata l’inefficacia della compravendita degli immobili, appartamento e garage, siti in (OMISSIS), stipulata tra il fallito S.S., G.G. e R.M., con atto pubblico del 1/6/1990.

La Curatela si costituiva e resisteva all’impugnazione.

Il giudizio veniva interrotto per il decesso del Curatore, quindi riassunto dagli appellanti nei confronti del nuovo Curatore.

La Corte del merito, con sentenza 7/7/2009, ha respinto l’appello e condannato gli appellanti alle spese del grado.

La Corte catanese ha ritenuto infondato il primo motivo, per non avere gli appellanti fornito la prova della propria inscientia decoctionis; a riguardo, il Tribunale aveva rilevato altresì che la pluralità di protesti cambiari per oltre un centinaio di milioni, elevati a carico di S.S. e B.N., non consentiva certo di escludere la conoscenza da parte dei coniugi G. – R. dello stato di insolvenza del venditore all’atto delle alienazioni e nulla di più avevano gli appellanti allegato in secondo grado, limitandosi a far valere in termini generici che il S. vantava solida e decennale attività, essendo tra gli imprenditori più noti in paese, piuttosto che l’ascrivibilità alla famiglia del detto imprenditore di un cospicuo patrimonio immobiliare; a ciò si doveva aggiungere, secondo la Corte del merito, che proprio il ristretto contesto territoriale nel quale operava l’impresa S. all’epoca dei fatti di causa costituiva ex se causa preclusiva della dedotta inscientia decoctionis. La Corte del merito ha ritenuto infondato il secondo motivo, inteso a contestare le valutazioni del primo Giudice in ordine alle risultanze della C.T.U.: all’atto dell’acquisto, l’appartamento ed il garage avevano un valore medio complessivo di mercato di L. 119.000.000, sicchè era stata rilevata la notevole sproporzione di ben oltre il 30% rispetto al corrispettivo di L. 85.000.000; gli accertamenti peritali erano basati su puntuali accertamenti tecnici ed esaurientemente motivati, tenendosi conto delle caratteristiche, della consistenza e delle condizioni dei beni, nonchè dei necessari criteri di valutazione. La Corte d’appello ha rilevato che il C.T.U. aveva mediato i risultati ottenuti in esito all’applicazione dei diversi metodi di stima (sintetico-comparativo, della capitalizzazione del reddito, secondo la rendita catastale e in base al costo di costruzione), mentre le censure degli appellanti riguardavano il solo metodo sintetico comparativo, in particolare la stima a mq., opponendosi l’esorbitanza dei valori allegati nel contesto territoriale della città di (OMISSIS), e delle condizioni di stagnazione e di regresso economico di molti paesi dell’entroterra siciliano, ma non vi erano elementi per ritenere erroneo siffatto valore di mercato, non rilevando la mancata specifica indicazione della natura delle informazioni acquisite dal C.T.U. nè che beni simili fossero stati venduti in esito a procedure coattive,se pur in epoca successiva, per prezzi inferiori, fosse solo per la particolare natura procedimentale del sistema dei pubblici incanti, a ciò aggiungendosi che i diversi criteri di stima elaborati dal C.T.U. avevano tutti portato a valori superiori rispetto a quello indicato.

La Corte catanese ha infine rigettato le censure rivolte alla stima peritale, imperniate sulla mancata adeguata valutazione dello stato degli immobili all’atto della consegna e delle migliorie successivamente apportate, nonchè sull’omessa considerazione della carenza del certificato di conformità, del collaudo dello stabile condominiale e dell’abitabilità, rilevando che il valore medio di stima era stato ridotto forfettariamente nella misura del 10%, in relazione all’incompletezza della finitura degli immobili, del mancato completamento a regola d’arte, delle manchevolezze di natura edilizia ed urbanistica riscontrate, esattamente ravvisate dal C.T.U. nel mancato deposito della relazione a struttura ultimata di cui alla L. n. 1086 del 1971, art. 6, nell’omesso collaudo ex art. 7 stessa legge, nel mancato rilascio del certificato di abitabilità; infine, non era stata data la prova delle specifiche migliorie tali da incidere sul valore complessivo delle unità immobiliari, nè del dedotto debito verso il Comune per asserite opere di urbanizzazione, gravante su tutti i condomini dello stabile comune.

Propongono ricorso G.G. e R.M., sulla base di quattro motivi.

Il Fallimento ha depositato controricorso, nonchè memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.1.- Con il primo motivo, gli appellanti si dolgono della violazione della L. Fall., art. 67, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5;

la Corte del merito ha argomentato in modo generico e, travisando l’oggetto della prova, ha erroneamente ritenuto che la parte avrebbe dovuto provare la mancata conoscenza dello stato d’insolvenza mediante argomenti di carattere oggettivo; gli appellanti hanno dedotto di non svolgere attività imprenditoriale, di non avere contatti con imprese edili, non avevano quindi alcuna possibilità di rendersi conto della presunta difficoltà della impresa S., anzi il fatto che la stessa, ottenuta la concessione edilizia e stipulati i preliminari, avesse avviato e regolarmente portato a compimento i lavori, era indizio della affidabilità e del normale esercizio dell’attività imprenditoriale, almeno agli occhi di un normale cittadino; inoltre, i contatti tra l’impresa e i ricorrenti risalivano alla stipula del preliminare avvenuta oltre cinque anni prima del fallimento, per cui le indagini sulla solidità e correttezza del venditore erano state effettuate all’epoca, e con esito rassicurante.

1.2.- Con il secondo motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione alla L. n. 47 del 1985, art. 40.

I ricorrenti deducono di avere sostenuto in tutti i precedenti atti del giudizio la nullità della compravendita, in quanto relativa ad un immobile non conforme al progetto approvato e privo del certificato di agibilità,come rilevato anche dal C.T.U., che da tali difformità aveva fatto conseguire la riduzione del 10% del valore, ma l’immobile non è solo privo dell’agibilità, l’intero stabile ove si trova lo stesso presentava e presenta difformità urbanistiche e strutturali, tali da renderlo del tutto incommerciabile: ed invero, non è stata depositata la relazione a struttura ultimata L. n. 1086 del 1971, ex art. 6 e manca il collaudo delle strutture previsto dall’art. 7 della stessa legge; tali certificazioni mancano, attese le gravi difformità rispetto al progetto approvato, circostanze provate dalle successive concessioni in sanatoria rilasciate nel corso degli anni agli altri contraenti dell’impresa; a ciò va aggiunto che il costruttore ha lasciato agli acquirenti un debito verso il Comune per le opere di urbanizzazione di Euro 31.474,00. 1.3.- Con il terzo motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per non essere stato ammesso "mezzo istruttorio decisivo per l’esito della controversia".

I ricorrenti censurano la mancata rinnovazione della C.T.U., che non ha assolutamente tenuto conto dei rilievi del C.T.P.; nel giudizio d’appello, è stato dimostrato che il Curatore ha venduto, sei anni dopo l’acquisto di cui si tratta, ben dieci appartamenti nel medesimo stabile a L. 550.000 al mq., mentre l’immobile è stato acquistato a 620.000 al mq., e che il Tribunale di Siracusa nella procedura esecutiva promossa dalla Cassa di Risparmio contro S.S. ha venduto all’asta per L. 500.000 al mq. un immobile sito nello stesso edificio ove si trova l’immobile di cui è causa.

La rilevanza e la decisività del mezzo istruttorio richiesto risultano alla stregua dell’esito della verifica tecnica disposta dalla medesima Corte d’appello nel giudizio "identico" relativo ad immobile sito nel medesimo stabile, che ha concluso per l’insussistenza della sproporzione tra prezzo pagato e valore dell’immobile.

1.4.- Il quarto motivo è relativo alla regolamentazione delle spese del giudizio, conseguente all’accoglimento in tesi del ricorso.

2.1.- Va premesso che nella specie, ratione temporis, non trova applicazione il disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., in quanto la sentenza impugnata è stata depositata il 7/7/2009, e quindi in data successiva all’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, che all’art. 47 ha abrogato il disposto sopra indicato.

Pertanto, i quesiti indicati dai ricorrenti in chiusura dei motivi, devono considerarsi tamquam non essent.

Il primo motivo è in parte inammissibile, ed in parte infondato.

La Corte del merito non ha affatto ristretto l’ambito dell’onere della prova della inscientia gravante sui coniugi G. – R. ai soli elementi presuntivi di carattere oggettivo, ma, nell’ambito della valutazione propria del merito della controversia, ha ritenuto, con motivazione congruamente e logicamente argomentata, la genericità dei rilievi fatti valere dagli appellanti, riproposti in modo altrettanto generico in questo grado del giudizio, nonchè l’infondatezza degli stessi.

Le censure rivolte dai ricorrenti, oltre che generiche, tendono inammissibilmente ad investire il merito della controversia;

infondato è altresì il riferimento alla data del preliminare, atteso che la prova della inscientia deve essere fornita con riferimento alla data di stipula del definitivo, con cui si realizza l’effetto traslativo, sì che il bene viene sottratto alla garanzia dei creditori(vedi a riguardo, tra le altre, le pronunce 21927/2011, 2005/2008).

2.2.- Il secondo motivo è inammissibile. Premesso che la Corte del merito ha specificamente motivato, aderendo alle valutazioni del C.T.U. che ha ridotto del 10% il valore stimato dell’immobile a ragione delle manchevolezze riscontrate, per il resto tutte le censure in oggetto sulla presenza delle difformità urbanistiche e strutturali tali da rendere l’immobile non commerciabile costituiscono doglianze in punto di fatto, rivolte per di più in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non avendo i ricorrenti indicato, riportandone i relativi brani, in quali scritti difensivi della fase di merito abbiano dedotte le circostanze indicate, nè hanno riportato il contenuto della nota a firma dei geometri M. e Tu. e la comunicazione del Commissario straordinario del Comune del 26/10/1989, così impedendo a questa Corte, a cui è inibito l’acceco ai documenti nella fase di merito alla stregua dei vizi denunciati, di prendere contezza e valutare l’eventuale vizio motivazionale (sul principio di autosufficienza, tra le ultime, si richiamano le pronunce 17915/2010, 2977/2006, 13556/2006).

2.3.- Il terzo motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

Premesso che la Corte del merito ha ampiamente e congruamente motivato in relazione al valore attribuito all’immobile, condividendo le valutazioni del C.T.U., le censure dei ricorrenti si appalesano inammissibilmente intese a far valere la mancata rinnovazione della C.T.U., sulla base di valutazioni di merito che si sostanziano in mere critiche al merito della controversia e all’apprezzamento della consulenza effettuato dalla Corte del merito, con motivazione immune da vizi logici.

2.4.- Il quarto motivo in punto spese non è autonomo e rimane quindi assorbito.

3.1.- Conclusivamente, il ricorso va respinto.

Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 3700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi; oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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