Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 29-09-2011) 17-11-2011, n. 42403

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 30.6.2009 il giudice del tribunale di Savona, sezione distaccata di Albenga, dichiarò R.V., R.E. e M.F. colpevoli, il primo quale committente, il secondo quale costruttore ed il terzo quale direttore dei lavori, dei reati di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. c), e D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis, e li condannò alla pena di mesi nove di reclusione ciascuno, con i doppi benefici e con l’ordine di demolizione e quello di rimessione in pristino dello stato dei luoghi.

La corte d’appello di Genova, con la sentenza in epigrafe, ritenendo – erroneamente – che il reato di cui al capo B) fosse una contravvenzione, ridusse la pena a mesi tre di arresto, confermando nel resto la sentenza di primo grado.

In particolare, la corte d’appello ritenne: – che era stata realizzata una struttura scatolare con dimensione diversa dal permesso di costruire ed una tettoia sulla stessa anch’essa difforme dal permesso di costruire; – che le dimensioni dello scatolato erano notevolmente diverse sia per le misure perimetrali sia per la volumetria complessiva; – che non aveva rilievo l’affermazione difensiva che al termine dei lavori il maggior volume sarebbe stato riempito, perchè contava solo il fatto che lo sbancamento ed il maggior volume erano esistenti al momento dell’accertamento; – che sussisteva il reato ambientale per la esistenza di una costruzione per dimensioni, volume e costruzione per dimensioni, volume e caratteristiche diverse da quelle assentite; – che inoltre non potevano essere utilizzati materiali di copertura diversi da quelli assentiti; – che si trattava di variazioni essenziali per il consistente aumento della cubatura dello scavo, non avendo rilievo l’affermazione che questo sarebbe stato riempito in seguito.

Gli imputati propongono ricorso per cassazione deducendo:

1) Quanto all’illecito edilizio di cui al capo A), violazione del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, artt. 44 e 22, e dell’art. 56 cod. pen. nonchè vizio di motivazione. Osservano che le difformità rilevate si riducono alla diversa profondità dello scavo fondazionale e nella diversità dei materiali interni utilizzati per i pilastri a sostegno della tettoia (cls anzichè legno), ossia due modeste variazioni assentibili con semplice DIA. Invero, lo scavo fondazionale sarebbe stato riempito e su di esso avrebbero dovuto parcheggiare le auto, ed è quindi influente dal punto di vista urbanistico; la maggiore profondità dello scavo si era resa necessaria per la friabilità del terreno e quindi per esigenze di consolidamento; anche l’utilizzo di materiale interno diverso è stato determinato da esigenze di consolidamento per sostenere il carico dell’impianto fotovoltaico. Si tratta quindi di opere di risanamento conservativo, essendo finalizzate al consolidamento statico e quindi assentibili con DIA semplice ai sensi del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 22, comma 2, secondo il quale sono realizzabili con DIA le varianti ai permessi di costruire che, tra l’altro, non incidono – come accade nella specie – sulla volumetria e sulla sagoma dell’edificio.

Osservano inoltre che in modo manifestamente illogico il giudice da un lato ha dato atto che si tratta di uno sbancamento o scavo e dall’altro ha ravvisato in tale opera una costruzione urbanistica rilevante in termini di superficie e volumetria. Inoltre, secondo la giurisprudenza, lo scavo fondazionale non rappresenta neppure l’inizio dei lavori sicchè esso è penalmente irrilevante non essendo punibile il tentativo nelle contravvenzioni.

2) Quanto all’illecito ambientale, violazione del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181 e vizio di motivazione. Osservano che lo scavo di fondazione del parcheggio, in quanto interrato, era destinato a non essere percepibile dall’esterno e perciò non richiedeva l’autorizzazione ambientale. Inoltre si trattava di opere di consolidamento statico che non alteravano lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici. D’altra parte, la costruzione di fondamenta completamente interrate e l’utilizzo di diversi materiali interni, sono irrilevanti penalmente.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Quanto al primo motivo, invero, l’assunto secondo cui la diversa profondità dello scavo sarebbe solo provvisoria perchè lo scavo stesso, destinato alle fondazioni, sarebbe stato poi riempito per renderlo conforme al progetto assentito, si risolve in realtà in una censura in punto di fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità.

La sentenza di primo grado, infatti, con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede, ha accertato che era stato realizzato uno scatolato in calcestruzzo (solo) parzialmente interrato, con dimensioni diverse rispetto a quelle oggetto del permesso di costruire ed in posizione diversa da quella indicata, con spostamento verso il mare di circa m.

3,70 e con una altezza pari al doppio rispetto a quella assentita (m.

3 invece di m. 1,50). Anche la tettoia sopra questo manufatto era difforme rispetto a quella assentita, in particolare in ordine al materiale utilizzato.

Non risulta essere stato fornito alcun elemento dal quale potesse desumersi che la profondità dello scavo fosse solo provvisoria e che esso sarebbe stato in parte riempito in seguito, sicchè non può ritenersi manifestamente illogica o immotivata la decisione dei giudici del merito che hanno escluso in concreto questa possibilità in considerazione del fatto che lo scatolato era stato realizzato in cemento armato e che lo stesso non era stato completamente interrato ma per una parte si innalzava sul piano di campagna.

Del tutto correttamente ed congruamente, pertanto è stato ritenuto sussistente il contestato reato edilizio, dal momento che si trattava certamente di variazioni essenziali rispetto al progetto assentito con il permesso di costruire, avendo comportato uno spostamento del fabbricato ed un notevole aumento di cubatura (stante il raddoppio dell’altezza), sicchè avrebbero necessitato del rilascio di un permesso di costruire in variante.

E’ infondato anche il secondo motivo perchè il notevole aumento di volume, lo spostamento del manufatto e comunque la mancanza di conformità al permesso di costruire ed alla autorizzazione ambientale, integrano la sussistenza anche del reato ambientale, indipendentemente dal diverso materiale utilizzato per i pilastri.

La corte d’appello ha anche erroneamente ritenuto che il contestato reato di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis, costituisse una contravvenzione, invece che un delitto, e quindi ha sostituito la pena della detenzione, esattamente irrogata dal giudice di primo grado, con quella dell’arresto. A questo evidente errore, però, in mancanza di impugnazione da parte del Procuratore generale, non può porsi rimedio in questa sede.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna dei ricorrenti singolarmente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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