Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 29-09-2011) 17-11-2011, n. 42401 Imputabilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del Tribunale di Patti, Sezione distaccata di Sant’Agata di Militello, emessa in data 8 Novembre 2007 la Sig.ra A. è stata condannata alla pena di otto mesi di reclusione, condizionalmente sospesa, e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite in quanto ritenuta responsabile del reato previsto dall’art. 408 c.p. commesso il 18 Marzo 2004 in danno delle sepolture delle Sigg. C. e Fa.Ca..

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello ha respinto l’impugnazione proposta dal l’imputata. Ritenuta condivisibile la condanna e non censurabile la valutazione che il Tribunale ha fatto delle prove in atti, la Corte territoriale ha ritenuto equa la pena inflitta in primo grado; al rigetto dell’appello la Corte ha fatto seguire la conferma delle statuizioni civili e la condanna dell’imputata alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili.

Avverso tale decisione la Sig.ra A. propone ricorso tramite il Difensore, in sintesi lamentando:

1. errata applicazione degli artt. 70 e 71 c.p. per essere stata emessa sentenza di condanna sebbene fosse documentata in atti la incapacità dell’imputata di stare in giudizio come documentato dalla consulenza depositata il 7 Novembre 2009 in altro procedimento e dal ricovero in struttura psichiatrica nei mesi di aprile e maggio 2010;

2. errata applicazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 546 c.p.p., comma 3, per carenza totale di motivazione in ordine all’entità della pena inflitta e per carenza del dispositivo;

3. vizio di motivazione per avere i giudici di merito omesso di vagliare con la necessaria attenzione critica le deposizioni delle persone offese e omesso di valutare le dichiarazioni favorevoli all’imputata rese dal teste M..

Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono manifestamente infondati.

1. Il primo motivo di ricorso propone per la prima volta in questa sede questioni concernenti la capacità di stare in giudizio e, sembra di capire, la stessa capacità di intendere e volere della Sig.ra A. al momento dei fatti. Tali questioni vengono fondate su elementi di fatto in parte datati ad oltre cinque anni dalla commissione del reato e in parte successivi alla stessa sentenza di primo grado, per i quali non risultano proposte specifiche questioni in sede di giudizio di appello; si tratta, inoltre, di fatti che troverebbero solo parzialmente riscontro in documentazione che viene per la prima volta portata all’attenzione dell’autorità giudiziaria in sede di ricorso di legittimità.

Si è in presenza di censure che concernono apprezzamenti di fatto e che avrebbero dovuto essere sottoposte ai giudici di merito;

risultano, dunque, tardivamente esposte e non ammissibili in sede di legittimità. 2. Anche il terzo motivo di ricorso contiene censure che attengono alla ricostruzione del fatto e pongono questioni che coinvolgono la valutazione del materiale probatorio. Tali censure si pongono in contrasto con i principi che questa Corte ritiene di accogliere con riferimento ai limiti del giudizio di legittimità ex art. 606 c.p.p., lett.): il giudizio sulla completezza e correttezza della motivazione della sentenza impugnata non può confondersi "con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporsi a quella fornita dal giudice di merito", con la conseguenza che una motivazione esauriente nell’affrontare i temi essenziali e coerente nella valutazione degli elementi probatori si sottrae al sindacato di legittimità. Conservano, dunque, piena validità anche dopo la novella del 2006 i principi essenziali fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767).

3. Deve, infine, essere dichiarato manifestamente infondato il secondo motivo di ricorso, non ricorrendo il vizio di carenza d motivazione prospettato dalla Sig.ra. A.. La Corte ha espresso in modo certamente sintetico ma chiaro la convinzione che, considerati i limiti di pena edittale, la sanzione inflitta dai primi giudici debba trovare conferma alla luce della gravità del fatto e della personalità dell’appellante quali emergono dalla ricostruzione dei fatti.

Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, nonchè al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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