Cass. civ. Sez. I, Sent., 28-05-2012, n. 8442 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.A. conveniva in giudizio il Comune di Vigonovo, per sentir determinare le giuste indennità di espropriazione e di occupazione, a fronte dell’indennità di espropriazione provvisoria offerta di Euro 42.175,94, mentre non era stata nè offerta nè quantificata l’indennità provvisoria dell’occupazione, decretata il 4/7/2001 ed avvenuta il 1/10/2001, seguita dal decreto di espropriazione del 22/5/2003, notificato il 2/7/2003, del terreno sito in (OMISSIS), al f.5, mapp. 157, di mq. 2320 e destinato ad attrezzature scolastiche, per il quale era stato approvato con delibera consiliare del 22/3/2001 il progetto per i lavori della scuola elementare che, ai sensi della L. n. 1 del 1978, art. 1, venivano dichiarati di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza.

Il Comune si costituiva tardivamente ed eccepiva l’infondatezza della domanda attrice.

Veniva disposta ed espletata C.T.U.; il C.T.U. veniva successivamente sentito a chiarimenti; la causa, interrotta per il decesso della B., veniva riassunta dagli eredi C.A., L. e M., e a seguito della rinuncia da parte di C. M., veniva dichiarata l’estinzione del rapporto processuale limitatamente a detta parte.

La Corte d’appello, con sentenza 11/12/2008-30/11/2009, ha determinato l’indennità di espropriazione in Euro 452.400,00 e l’indennità di occupazione temporanea per il periodo 1/10/2001- 22/5/2003 in Euro 62.833,00 e conseguentemente, detratta la somma già depositata in via provvisoria, ha ordinato al Comune il deposito presso la Cassa depositi e Prestiti, a disposizione degli aventi diritto, della somma di Euro 480.247,56, oltre interessi legali dalla data del decreto di espropriazione al saldo, ed ha condannato il Comune alla rifusione agli attori delle spese di causa.

La Corte d’appello, per quanto qui interessa, ha respinto l’eccezione di inammissibilità della domanda di opposizione alla stima provvisoria, sollevata dal Comune, stante l’intervenuta determinazione da parte della competente Commissione dell’indennità definitiva di esproprio, rilevando che era stato emesso il decreto di esproprio pur non essendo stata notificata la stima definitiva, peraltro intervenuta in corso di causa.

La Corte ha ritenuto tardiva l’eccezione D.Lgs. n. 327 del 2001, ex art. 37, comma 7, per essersi il Comune costituito oltre l’udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c., quando si era esaurita la fase del thema probandum, con l’ammissione della C.T.U. in assenza di altre richieste probatorie; nel merito, ha fatto riferimento al valore venale del bene come accertato nella C.T.U. e ribadito nella relazione a chiarimenti, senza procedere ad alcuna decurtazione, stante l’intervenuta pronuncia della Corte costituzionale in materia, e dovendosi applicare lo jus superveniens di cui alla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89.

Secondo la Corte del merito, correttamente era stato valutato dal C.T.U. l’immobile come edificabile, intanto perchè tale considerato dal Comune che aveva adottato la valutazione della Commissione provinciale di Venezia; comunque, rileva il Giudice del merito, dalla documentazione in atti e dagli accertamenti del C.T.U., si evince che l’immobile era dotato di edificabilità di fatto, determinata dall’assenza di valida disciplina urbanistica, attesa la scadenza del vincolo urbanistico: come risulta dalla documentazione prodotta dal Comune, l’immobile era stato destinato a zona per attrezzature pubbliche -scuola media- con il P.R.G. adottato il 30/7/73 e con vincolo espropriativo decaduto nel corso del quinquennio, con trasformazione in zona bianca, priva di disciplina urbanistica; dal certificato di destinazione urbanistica allegato dal C.T.U. e prodotto dal Comune risultava che successivamente erano state adottate varianti parziali al P.R.G. interessanti solo zone rurali e produttive e l’unica variante generale, approvata con la Delib.

Giunta Regionale n. 1658 del 2001, aveva destinato il lotto in questione ad attrezzature scolastiche- scuola elementare sulla base della quale era stato approvato il progetto ed attivata la procedura espropriativa, quindi, prima dell’approvazione di tale variante generale, la zona era da ritenersi bianca, da valutarsi secondo il criterio della edificabilità di fatto, da cui la valutazione in relazione all’ambiente circostante; la stessa destinazione del P.R.G. vigente, approvato con la Delib. Giunta regionale n. 1658 del 2001, ad attrezzature scolastiche conferisce ex se l’edificabilità: la scuola infatti, pur assolvendo ad un interesse di carattere pubblico, può essere realizzata e gestita anche da privati.

Ciò posto, la Corte del merito ha aderito alle valutazioni del C.T.U., eseguite con riferimento alla teorica densità edilizia di mc/mq 1,50, praticabile secondo il P.R.G. nelle aree circostanti quali aree ad espansione urbanistica ad uso residenziale dopo la trasformazione subita dall’urbanizzazione, pervenendo al valore venale puro del terreno di Euro 452.400,00, da cui deriva l’indennità di occupazione, tenuto conto del periodo interessato dal 1/10/01 al 22/5/03, nella misura di Euro 62.883,00.

Ricorre per cassazione il Comune di Vigonovo sulla base di quattro motivi.

Si difendono con controricorso C.A. e L..

Ambedue le parti hanno depositato le memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.1.- Con il primo motivo, il Comune denuncia violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 7: la Corte del merito ha ritenuto trattarsi di eccezione in senso stretto, per trattarsi di diritti patrimoniali e per rilevare il principio dispositivo, mentre il sistema di calcolo dell’indennità è unitario e deve essere applicato d’ufficio dal giudice chiamato a liquidare l’indennità. 1.2.- Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32, 37 e 40;

dell’omessa motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio: la sentenza impugnata è viziata nella misura in cui afferma che la stessa destinazione ad area per attrezzature scolastiche impressa dal vigente P.R.G. approvato con Delib. Giunta Regionale n. 1658 del 2001 conferisce ex se all’area il carattere dell’edificabilità, alla stregua della più recente giurisprudenza del S.C., secondo cui la destinazione ad edilizia scolastica determina il carattere non edificabile dell’area, per cui avrebbe dovuto essere adottato in luogo del criterio stabilito dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, già del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, convertito nella L. n. 359 del 1992, il criterio del valore agricolo medio previsto dall’art. 40 del medesimo D.P.R..

Il ragionamento della Corte d’appello è altresì censurabile, anche a ritenere corretta la qualificazione dell’area come edificabile: la Corte del merito ha applicato il criterio della edificabilità di fatto, facendo riferimento agli indici delle zone circostanti anzichè quelli proprì dell’edilizia scolastica, previsti per le zone classificate dal Piano come "Fa"; nel caso, non era rinvenibile nè l’ipotesi dell’assenza della strumentazione urbanistica nè quello della sopravvenuta decadenza del vincolo, che deve essere ritenuto conformativo e pertanto non assoggettato al termine quinquennale di decadenza.

La Corte del merito ha quindi omesso di valutare che al momento del decreto di esproprio del 22/5/03, il terreno aveva specifica destinazione urbanistica impressa con la Delib. Giunta regionale 22 giugno 2001, n. 1658, che aveva destinato il lotto ad attrezzature scolastiche (scuola elementare).

1.3.- Con il terzo motivo, il Comune si duole dell’omessa motivazione circa fatto controverso e decisivo per il giudizio: in subordine, il C.T.U. ha utilizzato un criterio comparativo ma la stima non può essere ancorata alla dinamica del mercato immobiliare, laddove i terreni contigui appartengono a diverse tipologie; il vincolo di destinazione pubblica non poteva consentire il riferimento al contesto comprensoriale urbano, il prezzo stimato non poteva corrispondere al valore di mercato sia in forza dell’art. 37 sia in ragione della precipua classificazione del terreno; valgono gli stessi rilievi per la qualità dell’area e l’indice di edificabilità, il valore di 130,00 al mq. compare nella C.T.U. senza spiegazione alcuna.

1.4.- Con il quarto motivo, il Comune si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 32, 37,40 e 50 del T.U.; omessa motivazione circa fatto controverso e decisivo per il giudizio:

l’erronea determinazione dell’indennità di espropriazione si è riverberata sulla determinazione dell’indennità di occupazione.

2.1.- Il primo motivo va respinto.

Va a riguardo rilevato in via assorbente che la disposizione citata è stata dichiarata incostituzionale dal Giudice delle Leggi con la pronuncia 338 del 2011, in via consequenziale, atteso che detta norma riproduce la disciplina di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, comma 1, dichiarato incostituzionale con la medesima pronuncia.

2.2.- Il secondo motivo va accolto, nei limiti e per le ragioni di seguito esposte.

I controricorrenti hanno prospettato l’ inammissibilità del motivo, sul rilievo che il Comune, avendo adottato la valutazione della Commissione Provinciale che aveva affermato la natura edificabile del terreno, ed essendosi costituito tardivamente, non avrebbe potuto escludere la natura edificatoria(allo scopo, la parte avrebbe dovuto fare valere specifica domanda riconvenzionale) ed in quanto, non avendo il ricorrente censurato la statuizione della Corte del merito in relazione alla natura edificatoria, perchè tale considerata dalla stessa parte, la pronuncia deve considerarsi in ogni caso validamente sorretta dalla seconda argomentazione, di applicabilità della edificabilità di fatto.

Ambedue i rilievi dei controricorrenti sono infondati.

Ed invero, è di immediata evidenza che il Comune non si è limitato a contestare l’erroneità della pronuncia in relazione all’applicazione del criterio della edificabilità di fatto, ma ha specificamente contestato la stessa qualificazione come edificabile del terreno (vedi in specie le pagine 25-27 del ricorso).

Quanto al primo rilievo, si deve rilevare che,come tra le ultime affermato nella pronuncia 26357/2011, "il giudizio di opposizione alla stima non è un mero giudizio d’impugnazione del provvedimento amministrativo che determina l’indennità, ma è un giudizio sul rapporto, il quale non si esaurisce nella semplice verifica dell’esattezza o meno dei criteri che hanno presieduto alla liquidazione dell’indennità in sede amministrativa, dovendo il giudice procedere autonomamente alla determinazione del quantum dell’indennità, sulla base dei parametri normativi vigenti e ritenuti applicabili (cfr. Cass., sez. 1^ sez., 27 gennaio 2005 n. 1701). Tale principio non incontra limitazioni quando si sia in presenza di un’indennità provvisoria non accettata, in quanto, non sussistendo in tal caso una stima compiuta in via amministrativa avente carattere di definitività, l’espropriante può, nel relativo giudizio, contrastare la domanda dell’espropriato adducendo gli argomenti ed indicando i criteri che, a suo avviso, giustificherebbero la liquidazione di un’indennità inferiore rispetto alla pretesa azionata. Qualora invece… vi sia stata la stima definitiva, i poteri spettanti al giudice incontrano un limite nell’operatività del principio della domanda, conseguente all’applicazione della L. n. 865 del 1971, art. 19, comma 2, il quale, imponendo ad entrambe le parti di proporre opposizione, ove intendano ottenere la liquidazione di un’indennità diversa da quella determinata dalla Commissione provinciale, comporta che solo in assenza di un’opposizione dell’espropriante è preclusa al giudice la determinazione di un’indennità inferiore a quella calcolata in sede amministrativa (cfr. Cass., Sez. 1A, 2 marzo 2001, n. 3048)".

Come efficacemente messo in luce nella pronuncia delle Sezioni unite, 2998/2012, per effetto dell’opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione (o di occupazione temporanea), il carattere vincolante della stima amministrativa viene meno sia per l’opponente che per l’opposto, in quanto destinata ad essere sostituita, rispetto a tutti, dalla determinazione del giudice; il quale, quindi, una volta investito della causa, deve procedere autonomamente alla liquidazione del "quantum" con tutti i suoi poteri di indagine, sulla base dei parametri normativi vigenti e ritenuti applicabili nei casi singoli:

e, quindi, in particolar modo alla individuazione delle norme che regolano l’espropriazione, nonchè alla corretta qualificazione della "destinazione" legale (edifìcabile, agricolo – non edificabile o edificato) del fondo espropriato (Cass. 6 ottobre 2005 n. 19511).

Peraltro, oggetto del giudizio è pur sempre la congruità di detta stima e la sua conformità ai criteri di legge e questi principi devono essere coordinati con quello della domanda (art. 99 c.p.c.), per cui (a differenza di quel che accade nell’azione diretta alla determinazione giudiziale dell’indennità in mancanza di stima della Commissione), se quest’ultima è formulata soltanto dall’espropriato, l’opposizione può condurre a determinare un’indennità maggiore rispetto a quella calcolata in sede amministrativa, ma non può portare ad una somma inferiore a detta stima in difetto di una domanda all’uopo formulata dall’espropriante. Ed in caso in cui l’accertamento conduce ad un tal risultato il giudice deve limitarsi a respingerla, altrimenti incorrendo nel vizio di ultrapetizione. Per determinare giudizialmente in minus la misura dell’indennità rispetto alla stima amministrativa della Commissione, è invece necessaria una specifica richiesta dell’espropriante che può essere posta con autonoma opposizione,come previsto dallo stesso art. 19;

ovvero mediante domanda riconvenzionale avanzata nel giudizio iniziato dall’espropriato (per la quale non è dunque sufficiente la contestazione dei criteri indicati dall’espropriato per la determinazione della indennità, o la mera indicazione di diversi criteri), con conseguente osservanza delle forme e dei termini stabiliti per quest’ultima dall’art. 167 cod. proc. civ., comma 2. E solo la proposizione di una domanda riconvenzionale da parte dell’espropriante convenuto in opposizione può consentire una variazione al ribasso dalla somma fissata in sede di valutazione amministrativa (Cass. 2.3.2001, n. 3048), e che non è più vincolata al termine per l’opposizione, quale che ne sia il decorso (Cass. 2260/1984; 3902/1995; 483/1998; 5106/2004; 388/2006).

Nel merito, le censure del ricorrente sono fondate, con la precisazione di cui si dirà in appresso, atteso che la pronuncia impugnata disattende l’orientamento di questa Corte.

Premesso che un’area va ritenuta edificabile, a nulla rilevando l’edificazione delle zone adiacenti, soltanto se e per il fatto che come tale, essa risulti classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici, secondo il criterio della prevalenza o autosufficienza della edificabilità legale (così le pronunce SU 172/2001, e 7950/03, 10889/04), va rilevato che, per costante indirizzo di questa Corte, la destinazione di aree ad edilizia scolastica, nell’ambito della pianificazione comunale (nel caso, a mezzo della variante al P.R.G. approvata con la Delib. Giunta Regionale n. 1658 del 2001), ne determina il carattere non edificabile, avendo l’effetto di configurare un tipico vincolo conformativo, come destinazione di un servizio che trascende le necessità di zone circoscritte ed è concepibile solo nella complessiva sistemazione del territorio, nel quadro della ripartizione zonale in base a criteri generali ed astratti; nè può ritenersi l’edificabilità sotto il profilo della realizzabilità della destinazione ad iniziativa privata o promiscuo pubblico- privata, atteso che l’edilizia scolastica è ricollegata ad un servizio strettamente pubblicistico, inteso al perseguimento di un fine istituzionale proprio dello Stato, su cui non interferisce la parità assicurata all’insegnamento privato, e tale da rendere irrilevanti le modalità della sua realizzazione, anche ove gli interventi siano effettuati da privati e la gestione sia assicurata da enti o imprese private (così tra le tante, le pronunce 19938/2011, 2633/201, 12862/2010, 15616/2007).

Ciò posto, va rilevato che la doglianza è stata proposta dal ricorrente prima della pronuncia del Giudice della L. n. 181 del 2011, che ha fatto venir meno il criterio del valore agricolo medio, per contrasto con l’art. 42 Cost., comma 3 e art. 117 Cost.; detto meccanismo riduttivo non può quindi più trovare applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione di detta sentenza, a meno che il rapporto non sia divenuto definitivo per essersi formato il giudicato o per essersi verificato altro evento a cui l’ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni processuali o decadenze e prescrizioni non direttamente investite nei loro presupposti normativi dalla pronuncia di incostituzionalità; nessuna di dette ipotesi si è verificata nel caso, atteso che il Comune, contestando il criterio indennitario pur se limitato alla natura non edificatoria del terreno, ha rimesso in discussione il criterio legale utilizzato dalla corte del merito.

Venuti meno i criteri riduttivi suddetti a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale, la Corte deve ribadire quanto già affermato dopo la sentenza 348/2007 della Corte costituzionale relativa ai suoli edificatori: che cioè per la stima dell’indennità torna nuovamente applicabile il criterio generale dell’indennizzo pari al valore venale del bene, fissato dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, che è l’unico criterio ancora vigente rinvenibile nell’ordinamento, e per di più non stabilito per singole e specifiche fattispecie espropriative, ma destinato a funzionare in linea generale in ogni ipotesi o tipo di espropriazione salvo che un’apposita norma provvedesse diversamente. E che quindi nel caso concreto si presenta idoneo a riespandere la sua efficacia per colmare il vuoto prodotto nell’ordinamento dall’espunzione del criterio dichiarato incostituzionale (Cass. 4602/1989; 3785/1988;sez. un. 64/1986): anche per la sua corrispondenza con la riparazione integrale in rapporto ragionevole con il valore venale del bene garantita dall’art. 1 del Protocollo allegato alla Convenzione europea,nell’interpretazione offerta dalla Corte EDU. L’applicazione del criterio in questione da parte del giudice di rinvio comporta necessariamente l’estensione anche alla stima dell’indennizzo in questione dei medesimi principi già applicati per quello rivolto a risarcire l’espropriazione illegittima degli stessi fondi non edificatori, che impongono di tener conto delle obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell’area in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio, perciò consentendo pure al proprietario interessato da un’espropriazione rituale, di dimostrare sempre all’interno della categoria suoli/inedificabili, anche attraverso rigorose indagini tecniche e specializzate, che il valore agricolo sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua ormai accertata non edificatorietà. E, quindi, che il fondo, suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell’edificatorietà, abbia un’effettiva e documentata valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc.): sempre che siano assentite dalla normativa vigente sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative ( in senso conforme, si richiamano le pronunce 21386/2011, 19939/2011, 19938/2011).

2.3.- Il terzo motivo è assorbito dall’accoglimento del secondo motivo.

2.4- Il quarto motivo, relativo al calcolo dell’indennità di occupazione, va accolto, quale diretta conseguenza dell’accoglimento del terzo motivo, dovendosi l’indennità di occupazione essere calcolata avuto riguardo alla somma dovuta a titolo di indennità di espropriazione.

3.1.- Conclusivamente, respinto il primo motivo, accolti i motivi secondo e quarto, assorbito il terzo, va cassata la pronuncia impugnata in relazione ai profili accolti e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, che si atterrà ai principi sopra enunciati e provvedere anche alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo ed il quarto motivo del ricorso, assorbito il terzo, respinge il primo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 22 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *