Corte Costituzionale, Sentenza n. 182 del 2011, in tema di legge finanziaria

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 26 del 15-6-2011

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale degli artt. 1, comma 1, e
12, comma 2, lettera b), della legge della Regione Toscana 29
dicembre 2010, n. 65 (Legge finanziaria per l’anno 2011), promosso
dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il
24 febbraio – 3 marzo 2011, depositato in cancelleria il 1° marzo
2011 ed iscritto al n. 11 del registro ricorsi 2011.
Visto l’atto di costituzione della Regione Toscana;
Udito nell’udienza pubblica del 10 maggio 2011 il Giudice
relatore Giorgio Lattanzi;
Uditi l’avvocato dello Stato Federico Basilica per il Presidente
del Consiglio dei ministri e l’avvocato Lucia Bora per la Regione
Toscana.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 24 febbraio 2011 e depositato il
successivo 1° marzo (reg. ric. n. 11 del 2011), il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, ha proposto questioni di legittimita’
costituzionale dell’art. 1, comma 1, e dell’art. 12, comma 2, lettera
b), della legge della Regione Toscana 29 dicembre 2010, n. 65 (Legge
finanziaria per l’anno 2011), in relazione all’art. 117, terzo comma,
della Costituzione.
L’art. 1, comma 1, della legge impugnata stabilisce che «in
applicazione della disposizione di cui all’articolo 6 del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitivita’ economica) convertito
in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 30
luglio 2010, n. 122, la Giunta regionale, sulla base delle spese
risultanti dal rendiconto per l’anno 2009, determina con proprio atto
l’ammontare complessivo della riduzione delle proprie spese di
funzionamento indicate dal citato articolo 6. Tale ammontare e’
assicurato dalla Giunta regionale anche mediante una modulazione
delle percentuali di risparmio in misura diversa rispetto a quanto
disposto dall’articolo 6 del decreto-legge n. 78/2010».
A propria volta, l’art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, al
quale la disposizione impugnata si riferisce, prevede la «riduzione
dei costi degli apparati amministrativi», operando su numerose voci
di spesa della pubblica amministrazione, anche per mezzo di
decurtazioni indicate in percentuale.
A parere del ricorrente, la disposizione impugnata, nel
consentire alla Giunta regionale di modificare tali percentuali
«definite e puntuali», si pone in contrasto con la normativa statale
interposta, espressiva di un principio di coordinamento della finanza
pubblica, e viola, di conseguenza, l’art. 117, terzo comma, Cost.
La seconda disposizione impugnata, ossia l’art. 12, comma 2,
lettera b), della legge in questione, stabilisce che per l’anno 2011
gli enti e le aziende del servizio sanitario regionale procedono
«all’adozione di misure per il contenimento della spesa per il
personale idonee a garantire che la spesa stessa non superi il
corrispondente ammontare dell’anno 2006, comprensivo dei costi
contrattuali di competenza 2006, anche se erogati negli anni
successivi, diminuito dell’1,4 per cento. A tal fine si considera
anche la spesa per il personale con rapporto di lavoro a termine.
Dalla spesa 2006 sono esclusi gli oneri per arretrati relativi ad
anni precedenti, a seguito del rinnovo dei contratti collettivi
nazionali di lavoro, e dalla spesa 2011 gli oneri derivanti dai
rinnovi contrattuali intervenuti successivamente al 2006».
Il ricorrente Ritiene tale previsione in contrasto con l’art. 2,
comma 71, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge
finanziaria 2010), secondo cui l’anno di riferimento, ai fini della
determinazione del livello di spesa, e’ il 2004, anziche’ il 2006:
anche in questo caso il legislatore regionale avrebbe violato un
principio di coordinamento della finanza pubblica.
Il pregiudizio che le norme censurate avrebbero prodotto a carico
delle «finanze pubbliche» giustificherebbe, secondo l’Avvocatura, la
sospensione della legge impugnata, ai sensi dell’art. 35 della legge
11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento
della Corte costituzionale).
2. – Si e’ costituita in giudizio la Regione Toscana, chiedendo
che le questioni siano dichiarate non fondate.
La Regione Osserva che con l’art. 1, comma 1, impugnato viene
rispettato l’«ammontare complessivo delle riduzioni disposte dalla
norma statale» (art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010), ma si
riserva alla Giunta il potere di ripartire i tagli apportati alle
specifiche voci di spesa, anche secondo percentuali di volta in volta
diverse rispetto a quelle indicate dalla norma interposta.
Difatti, prosegue la Regione, la disposizione statale evocata dal
ricorrente non potrebbe in nessun caso ritenersi espressiva di un
principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, tale
da imporsi all’autonomia regionale, ove si dovesse intendere che le
percentuali ivi indicate siano rigide e immodificabili da parte del
legislatore regionale. Si tratterebbe, infatti, di un’incisione su
minute e dettagliate voci di spesa, tale da ledere l’autonomia
finanziaria della Regione, secondo quanto avrebbe ripetutamente
affermato la stessa giurisprudenza costituzionale.
Questo rilievo troverebbe conferma nello stesso art. 6, comma 20,
del decreto-legge n. 78 del 2010, secondo cui «le disposizioni del
presente articolo non si applicano in via diretta alle regioni, alle
province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i
quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del
coordinamento della finanza pubblica».
Quanto, poi, all’art. 12, comma 2, lettera b), l’altra
disposizione impugnata, la Regione Toscana Ritiene che anche con
riguardo alla spesa per il personale del settore sanitario il
legislatore statale non possa imporre in modo rigido un tetto a una
singola voce del bilancio, dovendosi limitare a prescrivere il
perseguimento dell’«equilibrio economico-finanziario» complessivo.
Cio’ troverebbe avallo nell’art. 2, comma 73, della legge n. 191
del 2009, secondo cui, in sede di verifica dell’Osservanza degli
adempimenti cui e’ vincolata per il contenimento della spesa
sanitaria, la Regione e’ considerata adempiente, ove, pur in caso di
mancato raggiungimento degli specifici obiettivi, abbia comunque
assicurato il predetto equilibrio. In tale contesto, la disposizione
impugnata, relativa al 2011, avrebbe ben potuto assumere come anno di
riferimento per la determinazione della spesa il 2006, anziche’ il
2004, confermando in tal modo una scelta gia’ compiuta dalla legge
regionale 1 agosto 2006, n. 42 (Misure di razionalizzazione della
spesa delle aziende ed enti del servizio sanitario regionale), con
riferimento al triennio 2007-2009. Rispetto a quest’ultimo triennio,
infatti, la riduzione della spesa e’ stata aumentata dall’1%
all’1,4%, assicurando in tal modo, secondo la difesa regionale,
l’equilibrio economico complessivo.

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha proposto questioni di
legittimita’ costituzionale dell’art. 1, comma 1, e dell’art. 12,
comma 2, lettera b), della legge della Regione Toscana 29 dicembre
2010, n. 65 (Legge finanziaria per l’anno 2011), in relazione
all’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Il ricorrente Ritiene che tali disposizioni ledano la competenza
dello Stato a dettare i principi fondamentali della materia a riparto
concorrente "coordinamento della finanza pubblica", ponendosi in
contrasto con due norme specificamente adottate nell’esercizio di
essa.
In particolare, l’art. 1, comma 1, nel consentire alla Giunta
regionale di determinare l’ammontare complessivo della riduzione
delle proprie spese di funzionamento, rispetto al livello raggiunto
nel 2009, contrasterebbe con l’art. 6 del decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria
e di competitivita’ economica), convertito in legge, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n.
122. Questo articolo, al fine di ridurre il costo degli apparati
amministrativi, ha prescritto un taglio, secondo percentuali
prestabilite, di numerose voci di spesa proprie delle amministrazioni
statali, stabilendo altresi’, al comma 20, che le singole
disposizioni con cui tali tagli sono stati indicati nel corpo dello
stesso art. 6 costituiscono principi di coordinamento della finanza
pubblica per Regioni, Province autonome ed enti del Servizio
sanitario nazionale.
La norma regionale censurata, pur nel dichiarato intento di dare
attuazione all’art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, consentirebbe
alla Giunta una «modulazione delle percentuali di risparmio in misura
diversa» rispetto a quella rigidamente determinata dalla disposizione
statale, con cio’, a parere dell’Avvocatura, contravvenendovi.
Il ricorrente muove, infatti, dal presupposto interpretativo
secondo cui l’art. 6 pretende di trovare applicazione integrale nei
confronti delle Regioni, le quali sarebbero percio’ obbligate a
operare una contrazione di singole e minute voci di spesa, proprio
nella misura prescritta per le amministrazioni dello Stato.
In particolare, con riguardo alle sole spese concernenti il
funzionamento della Giunta (le uniche ad essere disciplinate dalla
norma impugnata, tra le molte previste dall’art. 6 del decreto-legge
n. 78 del 2010), si sarebbe trattato di ridurre del 10%, rispetto al
2010, indennita’, compensi, gettoni, retribuzioni ed altre utilita’
corrisposte ai componenti di organi (art. 6, comma 3); di contenere
entro il 20% del tetto raggiunto nel 2009 sia le spese per studi ed
incarichi di consulenza (art. 6, comma 7), sia le spese per relazioni
pubbliche, convegni, mostre, pubblicita’ e rappresentanza (art. 6,
comma 8); di rinunciare integralmente alle spese per sponsorizzazioni
(art. 6, comma 9); di ridurre al 50% del 2009 le spese sia per
missioni (art. 6, comma 12), sia per la formazione (art. 6, comma
13); di restringere all’80% del 2009 le spese per la gestione delle
autovetture, compresi i buoni taxi (art. 6, comma 14).
Secondo la Regione, invece, la disposizione in questione non
potrebbe in nessun caso ritenersi espressiva di un principio
fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, tale da imporsi
all’autonomia regionale, ove si dovesse intendere che le percentuali
ivi indicate siano rigide e immodificabili da parte del legislatore
regionale. Si tratterebbe, infatti, di un’incisione su minute e
dettagliate voci di spesa, tale da ledere l’autonomia finanziaria
della Regione, secondo quanto avrebbe ripetutamente affermato la
stessa giurisprudenza costituzionale.
E’solo nel suo insieme che l’art. 6 del decreto-legge n. 78 del
2010 potrebbe eventualmente considerarsi espressione di un principio
fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, e sotto questo
aspetto nessuna violazione sarebbe configurabile dal momento che «la
Regione Toscana ha previsto di attenersi all’ammontare complessivo
delle riduzioni disposte dalla norma statale, con la facolta’ di
ripartire la riduzione complessiva in autonomia, e dunque in modo
anche diverso da quanto disposto a livello nazionale».
1.2. – La questione non e’ fondata.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il
legislatore statale, con una "disciplina di principio", puo’
legittimamente «imporre agli enti autonomi, per ragioni di
coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali,
condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche
di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in
limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti» (sentenza n.
36 del 2004; si veda anche la sentenza n. 417 del 2005). Questi
vincoli, perche’ possano considerarsi rispettosi dell’autonomia delle
Regioni e degli enti locali, devono riguardare «l’entita’ del
disavanzo di parte corrente oppure – ma solo "in via transitoria ed
in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza
pubblica perseguiti dal legislatore statale" – la crescita della
spesa corrente». In altri termini, la legge statale puo’ stabilire
solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia
liberta’ di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e
obiettivi di spesa» (sentenze n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004; si
vedano anche le sentenze n. 88 del 2006 e n. 449 del 2005).
Poste tali premesse, e’ da aggiungere che interventi analoghi per
i contenuti a quelli operati dalle diverse disposizioni dell’art. 6
del decreto-legge n. 78 del 2010, disposti negli anni trascorsi dal
legislatore statale, non sono stati in grado di superare il vaglio di
legittimita’ costituzionale, data l’indebita compressione
dell’autonomia finanziaria delle Regioni che con essi veniva
realizzata. In particolare, sono state ritenute illegittime, nella
parte in cui pretendevano di imporsi al sistema regionale, rigide
misure concernenti la spesa per studi, consulenze, missioni
all’estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni (sentenza
n. 417 del 2005); la spesa per viaggi in aereo (sentenza n. 449 del
2005); i compensi e il numero massimo degli amministratori di
societa’ partecipate dalla Regione (sentenza n. 159 del 2008); le
spese per autovetture (sentenza n. 297 del 2009).
A fronte di tale consolidato indirizzo della giurisprudenza
costituzionale, il legislatore statale, con l’art. 6 citato, ha
mostrato di saper superare la tecnica normativa in origine adottata,
ai fini del contenimento della spesa pubblica, preferendo agire
direttamente sulla spesa delle proprie amministrazioni con norme
puntuali, delle quali si e’ invece dichiarata l’efficacia nei
confronti delle Regioni esclusivamente quali principi di
coordinamento della finanza pubblica, escludendone l’applicabilita’
diretta (sentenza n. 289 del 2008).
Va da se’ che tale operazione puo’ rispettare il riparto
concorrente della potesta’ legislativa in tema di coordinamento della
finanza pubblica, solo a condizione di permettere l’estrapolazione,
dalle singole disposizioni statali, di principi rispettosi di uno
spazio aperto all’esercizio dell’autonomia regionale. In caso
contrario, la disposizione statale non potra’ essere ritenuta di
principio (sentenza n. 159 del 2008), quale che ne sia l’eventuale
autoqualificazione operata dal legislatore nazionale (sentenza n. 237
del 2009).
E’da ritenere che il comma 20 del citato art. 6 abbia inteso
operare in tal senso, con la previsione che «le disposizioni del
presente articolo non si applicano in via diretta alle regioni, alle
province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i
quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del
coordinamento della finanza pubblica». Percio’ la premessa su cui si
fonda integralmente la censura dello Stato avverso l’art. 1, comma 1,
della legge impugnata e’ palesemente erronea, poiche’ tradisce il
senso dell’evocata norma interposta.
L’art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, diversamente da quanto
postulato dall’Avvocatura dello Stato, non intende imporre alle
Regioni l’Osservanza puntuale ed incondizionata dei singoli precetti
di cui si compone e puo’ considerarsi espressione di un principio
fondamentale della finanza pubblica in quanto stabilisce, rispetto a
specifiche voci di spesa, limiti puntuali che si applicano
integralmente allo Stato, mentre vincolano le Regioni, le Province
autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale solo come limite
complessivo di spesa.
Questa conclusione si fonda sulla possibilita’ di effettuare una
duplice operazione logico-giuridica: in primo luogo, l’art. 6 citato
consente un processo di induzione che, partendo da un apprezzamento
non atomistico, ma globale, dei precetti in gioco, conduce
all’isolamento di un principio comune; in secondo luogo, siffatto
principio e’ idoneo al compito inverso di dedurre da esso, in modo
consequenziale, ma adeguato a preservare la discrezionalita’ del
legislatore regionale, una diversificata normativa di dettaglio. Il
comma 20 dell’art. 6, infatti, autorizza le Regioni, le Province
autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale, anzitutto, a
determinare, sulla base di una valutazione globale dei limiti di
spesa puntuali dettati dall’art. 6, l’ammontare complessivo dei
risparmi da conseguire e, quindi, a modulare in modo discrezionale,
tenendo fermo quel vincolo, le percentuali di riduzione delle singole
voci di spesa contemplate nell’art. 6.
Pertanto, il rigetto della censura discende dal rilievo per il
quale la norma impugnata non e’ contraria a quella interposta assunta
nel significato che correttamente la Regione le ha attribuito:
l’erroneita’ del presupposto interpretativo posto a base del ricorso
determina l’infondatezza della questione.
2. – L’art. 12, comma 2, lettera b), della legge impugnata
dispone che, per l’anno 2011, enti ed aziende del servizio sanitario
regionale limitino le spese per il personale all’ammontare sostenuto
nel 2006, ridotto dell’1,4%.
Lo Stato reputa tale disposizione in contrasto con l’art. 2,
comma 71, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge
finanziaria 2010), secondo cui tali spese non possono, per il
triennio 2010-2012, eccedere il livello raggiunto nel 2004, diminuito
anche in tal caso dell’1,4%: posto che tale ultima norma esprimerebbe
un principio di coordinamento della finanza pubblica, la disposizione
regionale censurata sarebbe illegittima.
2.1. – La questione e’ fondata.
Anzitutto, va messo in chiaro che la norma regionale oggetto di
impugnazione permette un incremento della spesa per il personale
sanitario per l’anno 2011, rispetto al livello massimo prescritto
dalla norma statale interposta.
Il legislatore toscano, infatti, ha preso in considerazione,
quale base di riferimento per contenere la spesa in questione, l’anno
2006, anziche’ l’anno 2004, indicato dall’art. 2, comma 71, della
legge n. 191 del 2009. Sennonche’ tale ultima disposizione si salda
senza soluzione di continuita’ con l’art. 1, comma 565, della legge
27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2007), che
aveva previsto analoga misura per il triennio 2007-2009, con
l’effetto che la spesa per il personale sanitario dal 2007 al 2012
deve ritenersi agganciata, salvo espresse deroghe legislative,
all’ammontare raggiunto nel 2004, diminuito dell’1,4%. E’ percio’
chiaro che, riferendosi invece al 2006, ovvero all’ultimo anno
durante il quale si e’ permessa un’ulteriore lievitazione dei costi,
la legge impugnata consente alla Regione una spesa inevitabilmente
superiore, e come tale si pone in contrasto con quanto stabilito
dalla norma interposta.
Del tutto privo di rilevanza, sul punto, e’ l’argomento impiegato
dalla difesa regionale, secondo cui la norma censurata avrebbe
comunque ridotto la capacita’ di spesa della Regione, rispetto a
quanto in precedenza operato da talune delibere di Giunta, con le
quali si era imposta la mera riduzione dell’1% rispetto alle uscite
del 2006, anziche’ quella dell’1,4%. E’ ovvio, infatti, che la
vigenza nel passato di un criterio amministrativo, anch’esso in
palese conflitto con la legislazione statale, non ne legittima in se’
la trasposizione in legge per gli anni a venire, ne’ diviene punto di
raffronto per valutare la conformita’ a Costituzione di tale legge.
Cio’ acclarato, si tratta di interrogarsi sulla natura della
disposizione interposta: questa Corte le ha gia’ attribuito carattere
di principio con la sentenza n. 333 del 2010 e con la sentenza n. 68
del 2011; del resto gia’ la sentenza n. 120 del 2008 aveva concluso
nel medesimo modo, con riguardo all’analoga norma recata dall’art. 1,
comma 565, della legge n. 296 del 2006.
E’fuor di dubbio che la spesa per il personale costituisca una
delle voci del bilancio regionale, caratterizzata sia dal peso
preponderante che vi riveste, sia dalla storica ritrosia delle
Regioni a porvi adeguati limiti. Puo’ quindi ritenersi proporzionata
la valutazione del legislatore statale, sottesa alla norma
interposta, relativa all’inefficacia che eventuali e assai
improbabili misure regionali alternative potrebbero sortire, ai fini
della riduzione del debito pubblico (sentenza n. 169 del 2007).
Questa Corte e’ giunta alla medesima conclusione anche con riguardo
alla sottocategoria delle spese per il personale sanitario (sentenze
n. 333 del 2010 e n. 120 del 2008), anch’esse di regola cosi’ elevate
da non giustificare una prognosi favorevole circa l’introduzione di
idonee misure alternative da parte della legge regionale.
Alla luce di simili considerazioni va letto lo stesso art. 2,
comma 73, della legge n. 191 del 2009, richiamato dalla difesa
regionale, secondo cui «alla verifica dell’effettivo conseguimento
degli obiettivi previsti dalle disposizioni di cui ai commi 71 e 72
per gli anni 2010, 2011 e 2012, si provvede nell’ambito del Tavolo
tecnico per la verifica degli adempimenti di cui all’articolo 12
dell’intesa 23 marzo 2005, sancita dalla Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e
di Bolzano, pubblicata nel supplemento ordinario n. 83 alla Gazzetta
Ufficiale n. 105 del 7 maggio 2005. La regione e’ giudicata
adempiente ove sia accertato l’effettivo conseguimento degli
obiettivi previsti. In caso contrario la regione e’ considerata
adempiente solo ove abbia comunque assicurato l’equilibrio
economico».
Secondo la Regione Toscana il riconoscimento del corretto
adempimento regionale, anche in caso di deroga ai precetti di cui al
precedente comma 71, ove comunque sia stato assicurato l’equilibrio
economico, dovrebbe far ritenere che non si renda necessaria la
scrupolosa Osservanza del risparmio di spesa indicato con riferimento
al personale sanitario, ben potendo l’autonomia regionale trovare
soluzioni alternative, ugualmente idonee allo scopo di conseguire
l’obiettivo indicato.
Va pero’ Osservato, in senso contrario, che l’ipotesi residuale
contemplata dall’ultimo periodo del comma 73 non elide affatto la
previsione principale, secondo cui l’adempimento della Regione va
misurato con riferimento agli specifici obiettivi recati dal
precedente comma 71. Proprio le considerazioni innanzi svolte, con
riferimento alla natura sfavorevole della prognosi relativa
all’adozione di misure alternative di risparmio, fanno ritenere che
l’esigenza di coordinamento della finanza pubblica non possa
ritenersi adeguatamente protetta, in assenza di un criterio primario
alla luce del quale indirizzare immediatamente, e senza attendere
verifiche necessariamente posteriori, la politica di contenimento
delle spese. Pertanto l’eventuale raggiungimento dell’equilibrio
economico sara’ senz’altro di giovamento alla Regione su altri piani,
essendo ad esempio manifestamente irragionevole che il legislatore
statale pretenda comunque di persistere nell’applicazione di
eventuali sanzioni. Ma, in attesa, al termine del triennio,
dell’accertamento sul raggiungimento dell’equilibrio economico, deve
ritenersi vincolante l’obbligo primario descritto dal comma 71.
A questo punto, resta solo da verificare se l’imposizione di un
simile vincolo sia tollerabile, in ragione della funzione
compensativa che va attribuita, in tali casi, alla discrezionalita’
del sistema regionale nell’individuare in concreto i mezzi idonei al
raggiungimento dell’obiettivo. Anche su questo piano, l’accertamento
e’ favorevole alla legislazione statale, poiche’ la norma interposta
«non determina gli strumenti e le modalita’ per il perseguimento del
predetto obiettivo, ma lascia libere le Regioni di individuare le
misure necessarie al fine del contenimento della spesa per il
personale» (sentenza n. 120 del 2008). Nell’ambito di tale
accertamento, si pone l’ulteriore Osservazione, svolta dalla sentenza
n. 120 del 2008 con riguardo ad una norma del tutto analoga all’art.
2, comma 71, della legge n. 191 del 2009, secondo cui assume rilievo
anche la clausola di salvezza prevista oggi dal successivo comma 73,
e appena ricordata. Se, infatti, va escluso per le ragioni innanzi
precisate che nell’immediato le Regioni possano sottrarsi al vincolo
descritto dal comma 71, resta parimenti inoppugnabile che, all’esito
del triennio durante cui esso transitoriamente opera, le pur sempre
possibili manovre regionali alternative si siano davvero rivelate
idonee, vincendo la ragionevole presunzione contraria. In tal caso,
lo Stato non potra’ piu’ pretendere di persistere in eventuali misure
sostitutive o sanzionatorie, e dovra’ verificare per il futuro la
congruita’ di un vincolo, la cui cogenza si e’ dimostrata, alla prova
dei fatti, basata su un convincimento erroneo.
Allo stato, preso atto della difformita’ dell’art. 12, comma 2,
lettera b), della legge impugnata rispetto all’art. 2, comma 71,
della legge n. 191 del 2009, e accertata la natura di principio
rivestita da tale ultima disposizione, la questione deve ritenersi
fondata.
2.2. – L’istanza di sospensione dell’efficacia delle norme
impugnate, formulata nel ricorso, rimane assorbita (da ultimo,
sentenze n. 326 e n. 16 del 2010).

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 12, comma 2,
lettera b), della legge della Regione Toscana 29 dicembre 2010, n. 65
(Legge finanziaria per l’anno 2011);
Dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale
dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Toscana n. 65 del
2010, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in
riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, con il
ricorso indicato in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2011.

Il Presidente: Maddalena

Il redattore: Lattanzi

Il cancelliere: Melatti

Depositata in cancelleria il 10 giugno 2011.

Il direttore della cancelleria: Melatti

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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