Cass. civ. Sez. I, Sent., 28-05-2012, n. 8441 Lodo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza emessa l’8 febbraio 2010 la Corte d’appello di Firenze rigettava l’impugnazione proposta dal comune di Reggello avverso il lodo arbitrale con il quale era stato dichiarato risolto il contratto stipulato il 3 novembre 1998 tra il Comune e la G.e.d.a. s.n.c. di Mulinacci Luigina & C. in liquidazione, avente ad oggetto l’elaborazione e la fornitura di una banca dati per l’anagrafe comunale, con particolare riguardo all’imposta comunale sugli immobili e alle relative procedure di liquidazione e accertamento per le annate 1993-1998.

Motivava:

che, contrariamente a quanto dedotto dal comune di Reggello, gli arbitri avevano dichiarato la risoluzione del contratto per inadempimento prevalente della G.e.d.a. s.n.c., come si ricavava da vari passi della motivazione, pur se il dispositivo faceva menzione di inadempimenti reciproci;

che correttamente gli arbitri, a fronte di una prestazione parzialmente utile per il comune, avevano applicato l’art, 1458 c.c., comma 1, dichiarando irripetibili quelle tra le prestazioni che risultavano esattamente adempiute;

che, nel determinare il compenso in proporzione alle imposte recuperabili, anzichè a quelle effettivamente recuperate, come recitava la clausola n. 4 della convenzione, gli arbitri avevano tenuto conto dell’inerzia dell’amministrazione nella riscossione coattiva delle imposte accertate a seguito di corretta attività della G.e.d.a.;

che non erano ammissibili le censure relative a vizi di motivazione eccedenti i limiti propri di un’impugnazione di lodo arbitrale, con particolare riguardo al denegato rimborso dell’aggio pagato dal Comune a fronte di imposte risultate non dovute o duplicate – tenuto anche conto che comunque il compenso complessivo spettante alla G.e.d.a. s.n.c. era stato liquidato dagli arbitri sulla base delle attività correttamente svolte- ed all’omesso riconoscimento del danno all’immagine, nonchè alla liquidazione equitativa del pregiudizio subito dal comune.

Avverso la sentenza notificata il 19 febbraio 2010 il comune di Reggello proponeva ricorso per cassazione, articolato in otto motivi, notificato il 22 aprile 2010 ed ulteriormente illustrato con memoria.

Deduceva:

1) la violazione degli artt. 1453, 1455, 1460 cod. civ., perchè la corte territoriale aveva confermato il lodo arbitrale nella parte in cui dichiarava la risoluzione contrattuale per inadempimento di entrambe le parti;

2) la violazione dell’art. 1458 cod. civ., per aver ritenuto, in conformità con la affermazione contenuta nel lodo, che fosse applicabile alla fattispecie la regola della irretroattività delle prestazioni esattamente adempiute, propria solo dei contratti a prestazioni continuata o periodica;

3) l’illogicità della motivazione nella parte in cui aveva ritenuto che la denunzia di nullità del lodo arbitrale fosse ininfluente, a fronte dell’accoglimento della domanda riconvenzionale del comune di Reggello;

4) la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui era stata negata l’erronea interpretazione, da parte degli arbitri, di una clausola contrattuale, laddove il lodo aveva determinato il compenso dovuto alla G.e.d.a. s.n.c. in proporzione alle imposte recuperabili, anzichè a quelle effettivamente recuperate come espressamente pattuito;

5) la carenza ed illogicità della motivazione nella parte in cui non era stata riconosciuto l’errore degli arbitri nel non annullare il lodo arbitrale che aveva riconosciuto compensi non dovuti alla G.e.d.a. s.n.c.;

6) la carenza di motivazione nell’esclusione del danno all’immagine;

7) l’illogicità della motivazione nel mancato accertamento dell’illegittimità della liquidazione del danno secondo equità, nonostante la precisione delle risultanze istruttorie sul punto;

8) la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.;

Resisteva con controricorso la G.e.d.a. s.n.c..

All’udienza del 15 marzo 2012 il Procuratore generale precisava le conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il comune di Reggeito deduce la violazione degli artt. 1453, 1455, 1460 cod. civ..

Il motivo è inammissibile, risolvendosi in una contestazione dell’interpretazione del lodo operata con applicazione corretta del principio di diritto dell’integrazione reciproca del dispositivo e della motivazione. La stessa corte territoriale ha dato atto dell’imprecisione letterale del dispositivo che ricollegava la risoluzione dichiarata ai reciproci inadempimenti; valorizzando, però, nel contempo, passi di univoca lettura della motivazione, oltre che la formula di chiusura dello stesso dispositivo, per negare che il lodo avesse disapplicato il principio della prevalenza dell’inadempimento ai fini dell’addebito di responsabilità della risoluzione contrattuale (Cass., sez. 3, 9 giugno 2010 n. 13.840;

Cass., sez. 2, 24 settembre 2009 n. 20.614; Cass., sez. 2, 3 gennaio 2002, n. 27). Oltre a ciò, la mera denunzia di un’imprecisione lessicale, priva di risvolti concreti sul decisum, pregiudizievoli per la parte ricorrente, non vale, neppure in astratto, ad integrare una violazione di legge rilevante ex art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3.

Con il secondo motivo si censura la violazione dell’art. 1458 cod. civ..

Il motivo è inammissibile risolvendosi in una difforme interpretazione del contratto, avente natura di merito, che non può trovare ingresso in questa sede.

La Corte d’appello di Firenze ha ritenuto corretta l’applicazione dell’art. 1458 cod. civ., comma 1, al contratto in esame, perchè non caratterizzato da un’unica prestazione non frazionabile, ma da più prestazioni funzionalmente collegate; ciascuna delle quali conservava una concreta utilità economico-giuridica, se esattamente adempiuta.

Tale valutazione si è conformata ad un indirizzo consolidato di legittimità, estensivo della portata della norma anche a contratti in cui l’oggetto sia solo formalmente unico: dei quali può quindi essere pronunziata la risoluzione parziale. (Cass., sez. 2, 13 dicembre 2010 n. 25157; Cass., sez. 2, 21 dicembre 2004 n. 23657;

Cass. sez. 2, 20 maggio 2005 n. 10.700; Cass., sez. 2 15 aprile 2002, n. 5434). Tale apprezzamento, altresì sorretto, in via argomentativa, dalla modalità di determinazione del compenso, commisurata alle somme recuperate per imposta, sanzioni e interessi, appare dunque il portato di una disamina completa di ogni aspetto del contratto rilevante in sede ermeneutica ( art. 1362 cod. civ.). La normale unitarietà dell’oggetto dell’appalto è confacente alla realizzazione di un opus; laddove, nell’appalto di servizi (talvolta connotato da elementi propri della somministrazione) le singole prestazioni conservano una loro individualità, suscettibile di valutazione separata. Non senza aggiungere che nella risoluzione di un appalto con oggetto formalmente unico, dell’ eventuale prestazione erogata, se insuscettibile di restituzione, si deve pur sempre valutare l’utilità per aestimationem, nella liquidazione del danno risarcibile.

Il terzo motivo con cui il comune di Reggello denunzia l’illogicità della motivazione è pure infondato.

Appare esatta la statuizione secondo cui la censura di manifesta contraddittorietà del lodo arbitrale, nella parte in cui aveva riconosciuto l’amministrazione comunale responsabile di alcuni inadempimenti, risulta assorbita dall’accoglimento della domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto per inadempimento (prevalente) della Geda. E ciò, a prescindere dal rilievo che il vizio di motivazione può essere dedotto in sede di impugnazione del lodo arbitrale solo nei limiti in cui renda impossibile la ricostruzione dell’iter logico della decisione: evenienza, neppure allegata in questa sede.

Il quarto ed il quinto motivo, con cui si denunzia :a contraddittorietà della motivazione nella conferma della determinazione arbitrale del compenso dovuto alla G.e.d.a. s.n.c. in proporzione alle imposte recuperabili, anzichè a quelle effettivamente recuperate, sono inammissibili, prospettando una diversa ricostruzione della volontà delle parti, ritenuta dalla corte d’appello di Firenze immune da vizi di nullità. In effetti, lo stesso motivo di gravame esulava dai limiti dell’impugnazione per nullità del lodo, non enucleando una violazione di principi di diritto, quanto piuttosto una difforme chiave di lettura della clausola, ammissibile in sede di appello ordinario, ma non in sede di impugnazione di un lodo ( art. 829 cod. proc. civ.). La corte territoriale, richiamati natura e limiti dell’impugnazione del lodo (Cass., sez. 1, 8 aprile 2011 n. 8049), ha contenuto entro i limiti della violazione di legge l’esame della censura, pervenendo con percorso argomentativo corretto alla conclusione che l’interpretazione arbitrale della clausola, pur se opinabile, non violava alcun canone legale, tenuto conto dell’inerzia del Comune nel recuperare tributi non iscritti a ruolo; nè tanto meno era viziata nel lodo da radicale inadeguatezza della motivazione, in quanto del tutto carente o composta di sole clausola di stile, o talmente illogica da rendere addirittura incomprensibile la ratio decidendi:

vizio, che assurgerebbe ad effettiva violazione di legge (Cass., sez. 1, 8 giugno 2007, n. 3.511). Tanto più che ha positivamente escluso che il rigetto della domanda di ripetizione di indebito abbia comportato un concreto pregiudizio per il comune, dal momento che il compenso della Geda era stato determinato sulla base delle sole prestazioni regolarmente svolte.

Anche il sesto motivo con cui si censura la carenza di motivazione nell’esclusione del danno all’immagine, è inammissibile, consistendo in una valutazione alternativa delle circostanze di causa, avente natura di merito; così come il settimo motivo sull’illegittimità della liquidazione del danno secondo equità, involgente un’interpretazione di merito delle risultanze istruttorie.

L’ultimo motivo, che accomuna promiscuamente due diverse censure in ordine al criteri di determinazione del compenso dovuto alla Geda e al danno all’immagine, risulta pure inammissibile, volto com’è ad un riesame del merito, oltre che in gran parte ripetitivo di precedenti censure.

Il ricorso è dunque infondato e deve essere respinto, con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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