Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 29-09-2011) 17-11-2011, n. 42397

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza emessa in data 30 Marzo 2010, emessa a seguito di giudizio conseguente ad opposizione avverso decreto penale di condanna, il Tribunale di Crotone ha condannato i Sigg. C. e Cu. alla pena di mille Euro di ammenda ciascuno in relazione al reato previsto dalla L. n. 394 del 1991, artt. 11, 19 e 30 per avere svolto attività di pesca all’interno della Riserva naturale marina di Isola Capo Rizzuto in data 15 Ottobre 2006.

Avverso tale decisione è stata proposta dichiarazione di appello, che la Corte di Appello di Reggio Calabria ha qualificato come ricorso e trasmesso a questa Corte.

L’impugnazione, premesso che il transito nelle acque protette fu conseguenza di un’avaria al timone e all’esigenza di prestare soccorso al Sig. Cu., che si era ferito alla testa nel tentativo di riparare il timone stesso, si fonda su plurimi motivi, così sintetizzabili:

1. violazione di legge e conseguente nullità ai sensi dell’art. 181 c.p.p. per vizi nelle notificazioni della data di fissazione della prima udienza e delle udienze successive in quanto effettuate presso un indirizzo del Difensore non corretto;

2. violazione di legge per essere stata erroneamente revocata l’ordinanza ammissiva del testimoniale addotto dalla difesa;

3. violazione di legge per mancata assoluzione degli imputati, quanto meno ai sensi dell” art. 54 c.p.;

4. vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di responsabilità degli imputati senza tenere in alcun conto il materiale documentale prodotto e la versione difensiva;

5. violazione di legge per mancato rispetto delle regole in tema di contraddittorio nell’assunzione delle prove;

6. mancata applicazione dell’art. 495 c.p.p., comma 4.

Motivi della decisione

La Corte ritiene che i motivi di ricorso siano manifestamente infondati.

Esaminando in via preliminare le censure circa violazioni delle norme processuali, la Corte evidenzia come le questioni concernenti la validità delle notificazioni debbano essere esaminate avendo come parametro l’esistenza di obiettive lesioni del diritto degli imputati ad una difesa effettiva, secondo la logica che nel rispetto dei principi fissati dalla C.e.d.u. è stata accolta dalla Corte costituzionale (sentenza n. 317 del 2009) e si pone alla base delle decisioni di questa Corte con riferimento ai diritti dell’imputato contumace (tra tutte, Sesta Sezione Penale, sentenza n. 22247 del 2011, Tanzi, rv 250054). In questa prospettiva si colloca, poi, la sentenza delle Sezioni Unite Penali che ha affrontato il tema delle eventualità ritualità della notificazione ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis, ed ha affermato che la relativa nullità, a regime intermedio, "deve ritenersi sanata quando risulti che non ha impedito all’imputato di conoscere l’esistenza dell’atto e di esercitare il diritto di difesa" (sentenza n. 25957 del 2008, Ricciullo, rv 239396).

Si tratta di principi che, applicati al caso in esame, portano ad escludere la sussistenza della lamentata nullità. L’esame dei verbali di udienza e degli atti di causa consente di rilevare che effettivamente la prima elezione di domicilio effettuata dal Sig. C. il 15 dicembre 2006 indicava lo Studio Cirese in (OMISSIS) e che con l’atto di opposizione a decreto penale l’elezione di domicili veniva corretta con indicazione di Via (OMISSIS), ma consente anche di rilevare che: a) all’udienza del 13 dicembre 2007 l’Avv. C. e l’Avv. Cirese erano presenti (si veda foglio 69 verso sull’indirizzo dello Studio legale) e che la difesa aveva depositato tempestiva lista testi (f. 72); b) che all’udienza del 13 luglio 2008 era presente l’Avv. Morace di Crotone su delega dell’Avv. Cirese e dell’Avv. C.; c) che alle udienze del 17 settembre e 17 dicembre 2009 il dibattimento è stato rinviato, dopo avere assunto il 17 settembre un testimone, per consentire l’assunzione dei testi a difesa e la comparizione degli imputati per rendere dichiarazioni e che all’udienza successiva, 12 gennaio 2010, era presente l’Avv. Iuliano quale sostituto dell’Avv. C.; d) che ancora una volta all’udienza del 9 febbraio 2010 il Tribunale ha rinviato il dibattimento per assenza dei testi.

Emerge, dunque, con evidenza che l’esercizio dei diritti di difesa è stato garantito alle parti e ai loro difensori lungo l’intero arco del dibattimento, così che non sussiste alcuna rilevanza dei vizi di notificazione lamentati.

L’esposizione dei fatti processuali ora compiuta rende evidente anche la infondatezza manifesta dei motivi secondo, quinto e sesto, apparendo evidente che alla difesa sono stati concessi plurimi rinvii al fine di assumere le dichiarazioni testimoniali richieste e al fine di rendere possibile l’esame degli imputati, che non hanno comunque inteso presenziare e sottoporsi all’esame, così che non vi è stata alcuna violazione del diritto al contraddittorio e non risulta immotivata l’ordinanza con la quale il Tribunale ha revocato l’ammissione dei testimoni indicati dalla difesa anche in relazione alla loro non decisività.

Infine, la Corte ritiene che la motivazione non sia nè carente nè priva di coerenza logica. Il Tribunale ha ritenuto che la responsabilità penale sia pacifica: le immagini riprese dall’alto della barca durante le attività di pesca e la esatta localizzazione della stessa tramite apparato Gps non lasciano dubbi circa la violazione commessa in zona di mare soggetta a restrizione; la barca fu affiancata da una motovedetta quando era ormai uscita dalla zona protetta e quindi accompagnata in porto. Le due circostanze sono state ritenute certe e sufficienti per ritenere provato il reato, con conclusione che non sarebbe comunque messa in crisi dalla prospettazione della difesa che attiene a circostanze diverse ed in ogni caso successive.

Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che i ricorrenti versino ciascuno la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nonchè al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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