Cass. civ. Sez. I, Sent., 28-05-2012, n. 8437 Occupazione abusiva o illegittima

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Bari con sentenza del 5 febbraio 2010 ha confermato quella in data 27 ottobre 2005 del Tribunale che aveva respinto la domanda di D.C.A., A., L. e F. di risarcimento del danno per l’illegittima occupazione da parte del comune di Acquaviva delle Fonti di un terreno di proprietà del loro dante causa, D.V.M. (in catasto al fg. 36, part. 170, 203, 217 e 218), pur in mancanza di procedimento ablativo, in quanto il Piano di zona sul quale era fondata l’occupazione temporanea autorizzata con Delib. Giunta 13 agosto 1980, era stato annullato dal giudice amministrativo. Ha osservato al riguardo: a) che tale annullamento reso definitivo dal Consiglio di Stato con sentenza del 20 gennaio 1994 aveva riguardato altri proprietari di terreni dello stesso PEEP; per cui i suoi effetti non si estendevano ai proprietari di fondi diversi estranei a quel giudizio; b) l’azione risarcitoria ex art. 2043 cod. civ., era comunque carente di tutti i suoi presupposti dalla illegittimità (nei loro confronti) dell’atto amministrativo al dolo e/o alla colpa dell’amministrazione; c) per converso restava valida ed efficace la cessione dell’immobile stipulata dal D. con il comune con contratto del 13 novembre 1982 che aveva comportato la rituale conclusione della procedura ablativa.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il solo D.F., affidandolo a 3 motivi; cui resiste il comune di Acquaviva con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il D., denunciando violazione dell’art. 362 cod. proc. civ., addebita al giudice di appello di aver recepito la c.d. pregiudiziale amministrativa rifiutando di esercitare la giurisdizione per il fatto che egli non aveva impugnato il provvedimento contenente la dichiarazione di p.u.; e perciò disattendendo la giurisprudenza delle Sezioni Unite che ha attribuito la tutela degli interessi legittimi a prescindere dalla preventiva impugnazione del provvedimento amministrativo illegittimo: ormai non più richiesta.

Con il secondo, deducendo violazione degli artt. 24, 103, 111 e 113 Cost., si duole che la sentenza impugnata abbia subordinato la tutela risarcitoria richiesta alla preventiva caducazione di detto provvedimento, disattendendo il nuovo orientamento giurisprudenziale iniziato con la nota decisione 13659/2006, seguita alla L. n. 205 del 2000, per la quale è venuto meno il collegamento tra la impugnazione del provvedimento ed il diritto al risarcimento del danno provocato dal suo contenuto illegittimo: essendo sempre consentito al titolare di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo l’esercizio della giurisdizione onde richiedere la tutela demolitoria, quest’ultima unitamente a quella risarcitoria ed infine la sola tutela risarcitoria senza necessità di impugnare l’atto lesivo.

Con l’ultimo, deducendo violazione L. n. 865 del 1971, art. 12, nonchè art. 2909 cod. civ., lamenta che sia stata qualificata valida ed efficace la cessione volontaria conclusa tra le parti con il menzionato contratto del 30 novembre 1982, senza considerane le clausole che la subordinavano a specifici adempimenti e che la stessa era stata posta nel nulla dal successivo decreto ablativo del 3 maggio 1983.

Le suesposte censure sono tutte infondate.

La Corte di appello non ha dichiarato affatto inammissibile la richiesta riasarcitoria dei D. invocando il principio della c.d. pregiudizialità amministrativa, ma l’ha esaminata nel merito respingendola per aver accertato che il proprietario, loro dante causa, era stato soggetto ad una regolare procedura espropriativa iniziata con il Piano di zona approvato con decreto regionale del 30 marzo 1979, costituente dichiarazione di p.u. e successivamente conclusa con il contratto di cessione del 30 novembre 1982. Ha quindi respinto il tentativo dei D. di giovarsi dell’avvenuto annullamento del piano ad opera delle ricordate decisioni dei giudici amministrativi, osservando in conformità della costante giurisprudenza della Corte e di quella amministrativa, espressamente illustrate e più non contestate dal ricorrente in questa fase di legittimità, che la dichiarazione di p.u. riferita a più fondi costituisce un atto plurimo contenente una somma di provvedimenti, ciascuno relativo ad uno degli immobili individuati, che pertanto non perde la sua individualità; con la conseguenza che, annullata dal giudice amministrativo su ricorso di alcuni proprietari ed in relazione ai loro fondi, il giudicato non può giovare nè estendersi ai proprietari non impugnanti nei confronti dei quali la dichiarazione resta valida ed efficace (Cass. 11920/2009; 16728/2004;

7253/2004).

Pertanto è stato il ricorrente ad invocare il giudicato di annullamento della dichiarazione di p.u. (e non la sua mera illegittimità), anche perchè nel caso costituiva condizione dell’azione risarcitoria dallo stesso avanzata; e fondata proprio sul presupposto che l’avvenuta caducazione della dichiarazione comportasse l’invalidità derivata del decreto ablativo, rendendo l’occupazione del terreno illegittima in radice e soggetta alla normativa degli artt. 2043 e 2058 cod. civ.. Laddove la sentenza impugnata, affermando ed esercitando la propria giurisdizione anche in ordine a tale richiesta, ha escluso l’estensione del suddetto giudicato rilevando che lo stesso giovava soltanto ai proprietari che lo avevano conseguito e non anche ai D. che tale impugnazione non avevano proposto: perciò consentendo che il procedimento ablativo si svolgesse regolarmente con riguardo ai terreni allora di proprietà del loro dante causa.

Ancor più inconsistente è il richiamo del ricorrente ai recenti risultati attinti dalla giurisprudenza in tema di tutela risarcitoria a seguito di comportamenti illegittimi della p.a., ormai del tutto autonoma e svincolata da quella demolitoria, nonchè dalla sorte di atti e provvedimenti lesivi anche di soli interessi legittimi:in quanto la Corte territoriale si è attenuta proprio all’orientamento iniziato dalla nota decisione 500/1999 delle Sezioni Unite e ribadito dalle ricordate sentenze 13659 e 13660/2006 pur con riguardo all’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 35; ed in base allo stesso ha ritenuto ammissibile ed esaminato nel merito la relativa richiesta dei D., pur se essi non avevano impugnato il piano di zona nella parte in cui faceva riferimento ai propri terreni. E tuttavia l’ha egualmente respinta proprio in conformità alla giurisprudenza suddetta, secondo cui il nuovo corso,come già rilevato dalla sentenza impugnata, non ha introdotto affatto una equazione in forza della quale il giudice ordinario tutte le volte in cui riscontri la presenza di una posizione di interesse legittimo in capo al privato, debba procedere automaticamente ed indiscriminatamente al risarcimento del danno che questi assuma essergli stato provocato dalla P.A.. In quanto la sussistenza di una situazione in tal senso qualificata è condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., per la quale occorre anzitutto che l’interesse legittimo sia stato leso da un provvedimento, ovvero da un comportamento illegittimo dell’amministrazione, e quindi, attraverso l’esplicazione illegittima e colpevole della funzione amministrativa. Ed è necessario altresì, per quanto qui interessa,che il giudice accerti, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei criteri generali, se l’evento dannoso sia riferibile ad una condotta della p.a. ed imputabile a responsabilità della stessa: non invocabile sulla base del mero dato obiettivo della illegittimità del provvedimento amministrativo poichè si richiede, invece, una più penetrante indagine in ordine alla valutazione della colpa, che, unitamente al dolo, costituisce requisito essenziale della responsabilità aquiliana; e configurabile conclusivamente qualora l’atto amministrativo sia stato adottato ed eseguito in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione alle quali deve ispirarsi l’esercizio della funzione amministrativa, e che costituiscono limiti esterni alla discrezionalità amministrativa. Laddove nessuno di tali elementi è stato prospettato neanche in questa sede di legittimità dal ricorrente, il quale si è limitato a richiamare contraddittoriamente il risultato della tutela demolitoria conseguita dai menzionati proprietari di altri terreni compresi nello stesso piano e pur essi sottoposti ad espropriazione.

Infine il D. è privo di interesse a dedurre l’invalidità ed inefficacia del contratto di cessione 13 novembre 1982 perchè posto nel nulla e comunque superato dal successivo decreto di espropriazione egualmente emesso e trascritto il 3 maggio 1983: non traendo alcun giovamento dal fatto che la procedura ablativa sia stata legittimamente definita per altra via, che poi è quella principale e che tale definizione, perciò stesso escludente ogni pretesa risarcitoria fondata sulla illegittimità di detto procedimento abbia acquistato autorità di giudicato per effetto della sentenza 1351 del 2005 di questa Suprema Corte.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore del comune in complessivi Euro 5.200,00 di cui Euro 5.000 per onorario di difesa, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *