Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 28-09-2011) 17-11-2011, n. 42393

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Roma confermò la sentenza 18 novembre 2008 del tribunale di Roma, che aveva dichiarato S.A. colpevole dei reati di cui: A) all’art. 609 octies c.p., commi 2 e 3, per avere, unitamente ad E.T. e ad una terza persona, approfittando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica di B.S. che aveva assunto insieme a loro cocaina e sostanze alcoliche, costretto la stessa a subire atti sessuali consistenti nel toccamento ripetuto delle parti intime; B) agli artt. 581 e 612 cod. pen.; C) all’art. 605 cod. pen.;

D) all’art. 609 bis c.p., comma 1 e comma 2, n. 1 e art. 609 ter c.p., n. 4 per avere, con minaccia ed approfittando dello stato di inferiorità psico-fisica della B., costretto la stessa a subire un rapporto sessuale orale e la penetrazione vaginale; E) all’art. 582 cod. pen.; F) all’art. 385 cod. pen. e lo aveva condannato alla pena di anni sette di reclusione per i primi cinque reati ed a quella di mesi quattro di reclusione per il reato di evasione, oltre pene accessorie.

L’imputato propone ricorso per cassazione deducendo:

1) violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla attendibilità di B.S. non avendo, tra l’altro, la sentenza impugnata preso in considerazione la particolare condizione fisica e percettiva della stessa a causa del pesante uso da parte di tutti i partecipanti di sostanze stupefacenti ed alcoliche in preparazione del festino. Nella specie, poichè la persona offesa versava in condizioni particolari per la smodata assunzione di alcol e di droga, era tanto più indispensabile una rigorosa verifica della attendibilità delle sue dichiarazioni e della capacità di ricostruire l’evolversi degli eventi. Apoditticamente poi la corte d’appello ha ritenuto che la versione della B. avesse trovato elementi di riscontro esterni (testimonianza della C. e della O., certificati medici, sequestri di polizia giudiziaria) mentre in realtà tali elementi esterni non riscontrano alcunchè e sono perfettamente compatibili con la versione fornita dall’imputato.

La corte d’appello inoltre ha omesso di evidenziare le ragioni per le quali ha ritenuto che la versione dell’imputato fosse non lineare e invece credibile quella della donna. Analogamente, non è spiegato perchè i referti medico ginecologici fossero compatibili con il racconto della B. senza confutare le argomentazioni difensive contenute nell’atto di appello. La corte ha poi omesso di considerare che entrambi i soggetti versavano in una condizione psichica assolutamente alterata e distorta a causa della smodata assunzione di alcol e droghe, conducente ad una parziale percezione della realtà. 2) violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla asserita ritrattazione del consenso originariamente prestato dalla B. al compimento di condotte sessuali. Osserva che la corte d’appello non ha risposto alle censure svolte sul punto con l’atto di appello, e, pur avendo affermato che il consenso era mancato da un cero momento in poi, ha omesso ogni valutazione di tale passaggio, in ordine all’accertamento di veridicità della donna, sebbene questo fosse il punto focale della vicenda. Nè è stato considerato che le dichiarazioni della B. non sono suffragate da alcun referto medico attestante una avvenuta violenza sessuale. E’ quindi assolutamente apodittica e frutto di travisamento della prova l’affermazione che da un certo momento in poi il consenso al compimento di atti sessuali sarebbe stato ritrattato. Manca inoltre qualsiasi cenno di motivazione sulla assunzione di droga ed alcol in quantità elevata da parte di tutti e tre i soggetti proprio al fine di abbandonarsi ad una serata di certa trasgressione e, di conseguenza, manca ogni motivazione sulla ritrattazione del consenso e sulle scaturigini della stessa. Del resto è pacifico che il contesto iniziale della serata fu quello di una volontaria accettazione bilaterale dei rischi derivanti dalla assunzione di alcol e droga, che pose tutti i partecipanti in una condizione di grave compromissione dei propri freni inibitori. Ciò emerge anche dalle dichiarazioni della B. che mostrano uno stato emotivo assolutamente turbato da chiare visioni allucinatorie.

3) violazione di legge e contraddittorietà, mancanza o manifesta illogicità della motivazione per avere la sentenza impugnata erroneamente utilizzato, quale unico punto di riferimento per la valutazione degli elementi probatori, le dichiarazioni della B., sebbene contrastate dai referti medici e dalle dichiarazioni dello S.. La sentenza impugnata invero ha dedotto l’attendibilità delle dichiarazioni probatorie da una mera sovrapposizione delle stesse con quelle dello S., assumendo apoditticamente ed acriticamente le stesse come attendibili, senza valutare alcuna ipotesi alternativa nè analizzare la loro attendibilità intrinseca.

E difatti, la inattendibilità delle dichiarazioni dello S. viene fatta discendere dalla inconciliabilità con quelle della donna, senza esaminare le circostanze rappresentate dalla difesa e senza considerare che la ricostruzione dell’imputato era dettagliata, puntuale, spontanea e veridica, nonchè certamente più congrua.

Lamenta poi che non sussiste alcun elemento probatorio riferibile all’asserito dissenso della donna e che non è conciliabile con il presunto tentativo di strozzamento la mancanza di qualsiasi riscontro nei referti medici. In sostanza, la sentenza impugnata giustifica l’attendibilità delle dichiarazioni della B. solo per la contraddizione con quelle dello S..

4) violazione di legge e contraddittorietà della motivazione per avere la sentenza impugnata ritenuto l’esito negativo dei referti ginecologici – attestante la assoluta assenza di qualsiasi lesione agli organi genitali della donna – prova della avvenuta violenza sessuale. Al contrario, ben poteva ritenersi, in mancanza di elementi di prova in senso contrario, che tutte le operazioni sessuali avvennero nell’ambito del consenso, del cui ritiro non vi è peraltro prova.

5) violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alle censure mosse con l’atto di appello con riferimento alla ritenuta ipotesi di sequestro di persona. Lamenta che la corte d’appello non ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto la durata del presunto sequestro esorbitante la sola consumazione degli atti sessuali. Sono state poi dimenticate le dichiarazioni dello S. sul punto e le telefonate effettuate dalla donna, in asserito regime di sequestro, ad una amica nel corso della notte.

Manca anche la motivazione sulla consapevolezza dell’imputato di infliggere alla donna una privazione della libertà. 6) violazione dell’art. 385 cod. pen. ed omessa motivazione in ordine alle censure mosse con l’atto di appello con riferimento alla ritenuta ipotesi di evasione. Lamenta che non sono state esaminate le censure sul punto svolte dalla difesa, specialmente con riferimento alla presenza del G. nell’immediatezza dei fatti.

7) violazione dell’art. 582 cod. pen. ed omessa motivazione in ordine alle censure mosse con l’atto di appello con riferimento alle lesioni asseritamene provocate dall’imputato alla B.. Lamenta che manca la motivazione sulla sussistenza di lesioni, anzichè di percosse, nonchè sulla stessa causale delle lesioni (caduta o colpo infetto) in mancanza di qualsiasi accertamento peritale.

8) violazione di legge e carenza di motivazione sulla valutazione delle attenuanti generiche come equivalenti alle aggravanti, senza considerare la assoluta incensuratezza dell’imputato ed il contesto di bilateralità da cui è partita l’intera vicenda, nonchè le censure svolte con l’atto di appello in ordine alla determinazione della pena. Osserva che lo S. non pose in essere alcuna limitazione della libertà personale della donna e che l’uso di sostanze stupefacenti ed alcoliche non era stato preordinato dallo S. al fine di commettere reati ma era stato frutto di una scelta consapevole di tutti i soggetti.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

I giudici del merito hanno fondato il giudizio di credibilità del racconto della B. su due considerazioni preliminari. La sentenza di primo grado, alla quale la corte d’appello si è integralmente richiamata, ha ritenuto che l’atteggiamento tenuto dalla donna subito dopo i fatti, escludeva una sua volontà di calunniare lo S., il che era sufficiente per desumere l’attendibilità della sua versione e l’inattendibilità invece di quella dell’imputato. Il ragionamento è illogico e da luogo ad una carenza di motivazione, perchè non è stata nemmeno presa in esame una diversa possibile ipotesi, e cioè che la particolare condizione psichica e percettiva della donna a causa del pesante uso da parte di tutti i partecipanti di sostanze stupefacenti ed alcoliche abbia potuto provocare percezioni e ricordi, per così dire, distorti o esagerati o comunque non conformi alla realtà dei fatti. Questa possibilità, del resto, emerge dalla stessa sentenza impugnata, laddove questa evidenzia (in grassetto) che quando l’ E. sembrava essersi allontanato e l’imputato e la B. avevano ripreso le loro effusioni spogliandosi completamente, assumendo altra cocaina e bevendo altro spumante, la donna aveva a un certo punto, inspiegabilmente, "perso i sensi; mentre si riprendeva da detto stato di torpore, sentiva delle mani che le immobilizzavano i polsi e le caviglie costringendola a stare con le gambe aperte, altre mani che la toccavano su tutto il corpo, anche nelle parti intime, bocche che la leccavano e del liquido che le colava addosso; come apriva gli occhi, vedeva l’ E. e l’imputato che le stavano addosso per cui balzava in piedi, urlando e afferrava i primi abiti che le erano capitati a tiro e che cercava di indossare avvedendosi che non erano i suoi perchè le stavano troppo larghi". Poichè è pacifico che la donna aveva assunto in maniera smodata sostanze stupefacenti ed alcoliche e poichè quindi si trovava verosimilmente in particolari condizioni psichiche e percettive, i giudici del merito avrebbero dovuto sottoporre il suo racconto ad una attenta ed approfondita verifica, tale da permettere di escludere che la stessa si trovasse in una condizione psichica alterata e distorta e che il suo narrato fosse frutto di allucinazioni o visioni determinate dalle dette sostanze.

La corte d’appello, da parte sua, ha fatto ricorso anche ad una diversa considerazione, affermando che "dalla versione dell’imputato, confrontata con quella della B. e valutati gli elementi di riscontro, emerge la piena attendibilità della B.". In questo modo, però, la corte sembra aver detto che la mera sovrapposizione delle dichiarazioni dello S. a quelle della B. permetterebbe di ritenere l’inattendibilità delle prime e la piena attendibilità delle seconde, che vengono quindi apoditticamente ritenute veritiere, tanto da fungere da punto di riferimento, e ciò senza valutare alcuna ipotesi alternativa nè soffermarsi su una effettiva analisi della attendibilità intrinseca del portato delle dichiarazioni della dorma. La carenza di motivazione sulle ragioni per le quali la versione dello S. è ritenuta totalmente inattendibile emerge anche dal fatto che la sentenza impugnata si risolve, in buona parte, in un pedissequo resoconto dei fatti attraverso la versione e le testimonianze offerte dall’accusa, senza in alcun modo esaminare (e motivare in proposito) le circostanze rappresentate dalla difesa in ordine allo svolgersi degli eventi. In sostanza, la valutazione di "non linearità" del racconto dello S. appare apodittica, perchè non tiene conto delle (e non risponde alle) osservazioni svolte con l’appello che evidenziavano come l’imputato avesse fatto riferimento a numerosi particolari che avrebbero dimostrato la veridicità del suo narrato, ed avesse prospettato che dal punto di vista logico la sua versione dei fatti era maggiormente congrua.

La motivazione della sentenza impugnata è quindi apodittica e carente perchè in sostanza si limita ad una acritica ripetizione del racconto della B. ed inoltre, senza effettuare alcun effettivo esame della attendibilità intrinseca di questo racconto accusatorio, fa assurgere senz’altro alcune circostanze ad elementi di riscontro oggettivo senza spiegarne adeguatamente le ragioni e senza valutare la compatibilità di tali circostanze con la versione dell’imputato.

Così, non è spiegato perchè la testimonianza della C. costituirebbe conferma, oltre che dello stato d’animo della B. dopo essere tornata a casa nelle prime ore del mattino, anche di quello che effettivamente era avvenuto durante la notte, non specificando se i racconti erano o meno frutto di allucinazioni o di percezioni distorte, e se e quando vi era stata una revoca del consenso.

Quanto alla testimonianza della O., non è spiegato perchè essa costituirebbe conferma della versione della B. e non invece di quella dello S.. La sentenza impugnata invero ricorda che l’ O. aveva riferito di avere ricevuto durante la notte diverse telefonate dalla B., effettuate sia dal telefono fisso del negozio dello S. sia dal cellulare della Stessa B.;

di avere anche lei richiamato il telefono del negozio ove le rispose direttamente la stessa B., che piagnucolava, ed aveva riferito anche che mentre la donna le diceva che lo S. la stava picchiando, costui invece era intervenuto nella comunicazione dicendole a sua volta che la B. gli stava distruggendo il negozio, tanto che insieme al S. corse al negozio, dove però trovò le luci spente e non udì rumori, andando pertanto via. La corte d’appello ha esaminato unicamente la circostanza che la O. aveva detto che nelle varie telefonate durante la notte la B. le aveva riferito di essere picchiata e non aveva parlato di violenze sessuali e l’ha ritenuta irrilevante (peraltro con motivazione apodittica e congetturale) mentre ha omesso totalmente di considerare e valutare sia il fatto che durante la notte vi furono diverse telefonate reciproche tra la B. e la O. (attraverso il telefono fisso del negozio ed anche attraverso il cellulare della B.) sia soprattutto il fatto che già durante dette telefonate lo S. le aveva riferito che la B., stravolta dalla droga e dall’alcol, gli stava distruggendo il negozio. Questa circostanza avrebbe dovuto essere adeguatamente valutata, perchè astrattamente idonea a dimostrare che la versione dello S. era stata da questi raccontata già durante la notte in una telefonata ricevuta nel negozio e non inventata successivamente come alibi.

Anche i ritenuti riscontri di polizia giudiziaria sono stati considerati tali in modo apodittico, non essendo stato indicato alcun motivo per il quale gli elementi riportati nella sentenza impugnata debbano considerarsi riscontri alla versione accusatoria e non invece elementi afferenti ad entrambe le narrazioni.

Infine, anche per le certificazioni mediche non è spiegato perchè esse sarebbero in contrasto con la versione dello S., il quale ha ammesso che, al fine di placare la donna in preda ad uno stato di totale esaltazione per la massiccia assunzione di sostanze stupefacenti ed alcol, le aveva dato degli schiaffi in volto.

Ma la sentenza impugnata appare assolutamente priva di motivazione – anche per mancato esame delle censure svolte dalla difesa in proposito con l’atto di appello – anche sul punto decisivo del passaggio dal consenso al dissenso. La sentenza impugnata accerta come fatto pacifico sia che tutti i partecipanti alla serata assunsero volontariamente abbondanti dosi di sostanze stupefacenti e di alcol sia che inizialmente i rapporti sessuali che la B. ebbe con lo S. furono certamente consensuali. La sentenza infatti afferma (pag. 4) che la donna "nella notte tra il (OMISSIS) – almeno da un certo momento in poi – fu contro volontà costretta a subire variegate manipolazioni sessuali", ossia ammette che all’inizio i rapporti furono consensuali ma ritiene che il consenso venne poi meno in un certo momento non meglio specificato.

Questa ricostruzione della vicenda operata dalla corte d’appello avrebbe però richiesto una adeguata e congrua motivazione almeno su due punti essenziali, ossia sulla individuazione del momento in cui la B. revocò il proprio consenso e sui gesti o le parole con le quali manifestò tale revoca e, conseguentemente, sulla consapevolezza dell’imputato dell’avvenuto mutamento di volontà. La corte si è invece limitata apoditticamente ad affermare che, "almeno da un certo momento in poi", doveva presumersi una mancanza di consenso manifestata all’imputato, senza compiere nessuna valutazione critica o logica sulla narrazione offerta dalla persona offesa, sul particolare stato psichico dei partecipanti e sulla loro condizione di grave compromissione dei propri freni inibitori volontariamente procuratasi.

E’ quindi fondato il ricorso anche laddove lamenta che la consapevolezza da parte dell’imputato di una intervenuta revoca del consenso e, quindi, la sua colpevolezza sono state affermate presuntivamente, valorizzando solo le circostanze che si potevano accordare con la versione della B. e minimizzando od omettendo di considerare invece altre circostanze che contrastavano tale versione. Così, è stato omesso di considerare che il racconto, secondo cui lo S. aveva posto in essere ai suoi danni un tentativo di strangolamento tale da farla accasciare a terra, non aveva trovato alcun riscontro nei referti medici effettuati nella immediatezza dei fatti. Allo stesso modo, non è spiegato perchè sarebbero contrastanti con la versione dell’imputato i referti medici sulle lesioni in assenza di qualsiasi accertamento peritale sulla causa delle lesioni stesse, e cioè se da colpo infetto o da battitura. La motivazione è manifestamente illogica anche laddove asserisce la compatibilità del dato temporale con la versione della B. senza tenere in considerazione la circostanza che sia la B. sia lo S. versavano nella medesima condizione perturbata e distorta a cagione della assunzione di sostanze stupefacenti e di alcol, sicchè risulta non spiegata la ragione per la quale si sarebbe potuta valutare la durata alla stregua di quanto percepito dai protagonisti della vicenda.

La motivazione è poi manifestamente illogica e contraddittoria nella parte in cui fa riferimento ai referti ginecologici attestanti la mancanza di qualsiasi lesione agli organi genitali della B., alla stregua di riscontri alle sue dichiarazioni. In tal modo, la sentenza sembra affermare illogicamente che riscontri ginecologici negativi rispetto alla ipotizzata violenza sessuale finiscono per dimostrarla. E ciò senza prendere in considerazione l’ipotesi alternativa che le operazioni sessuali si fossero verificate nell’ambito di un consenso mai ritirato. E’ quindi manifestamente illogica l’affermazione che "prova troppo" l’eccezione della difesa, secondo cui la assoluta assenza negli organi genitali esterni e nella vagina della donna, nella immediatezza dei fatti, di lesioni, escoriazioni, ecchimosi avrebbe invece dimostrato che tutti i rapporti sessuali erano stati il frutto di una scelta consapevole e volontaria.

La motivazione della sentenza impugnata è poi meramente apparente e manifestamente illogica anche in relazione alla ritenuta ipotesi del sequestro di persona, non essendo state chiarite le ragioni per le quali si è ritenuto che la durata del presunto sequestro fosse esorbitante la sola consumazione degli atti sessuali de quibus. La mancanza di motivazione sul punto è ancor più significativa perchè anche l’esorbitanza delle tempistiche del sequestro rispetto alle condotte sessuali è stata fatta discendere dalle sole dichiarazioni della B., senza considerare le specifiche censure svolte con l’atto di appello. La corte, poi, come del resto dianzi già rilevato, ha totalmente omesso di valutare che nel corso della vicenda vi furono, in asserito regime di sequestro, numerose telefonate fatte dalla B. alla O., sia dal suo cellulare sia dal telefono fisso del negozio, e dalla O. al telefono del negozio, alle quali rispose proprio la B.. Manca comunque una adeguata motivazione sulla consapevolezza dello S. di infliggere alla donna una privazione della libertà.

Manca inoltre anche la motivazione sulla sussistenza del reato di lesioni e sul rigetto della tesi della difesa secondo cui sarebbe stato invece configurabile quello di percosse, essendosi lo S. limitato a schiaffeggiare in volto la B. per farla tornare in sè. La corte invero non spiega le ragioni per le quali doveva escludersi la veridicità del racconto dell’imputato e non spiega perchè, in mancanza di un accertamento peritale, la causa delle lesioni di cui al certificato medico è stata ricondotta a colpi inferii anzichè alla caduta da una scala ed alla battitura della testa sul bancone.

Manca infine la motivazione anche in ordine al reato di evasione, in quanto non sono state prese in considerazione le specifiche censure mosse relativamente a tale reato con l’atto di appello, soprattutto con riferimento alla presenza del G. nella immediatezza dei fatti ed alle dedotte contraddizioni in cui sarebbe caduta la B. facendo riferimento all’arrivo del medesimo sul posto e dichiarando di non aver chiamato nessuno.

In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per mancanza e per manifesta illogicità della motivazione.

Gli altri motivi restano assorbiti.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Roma per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *