Cons. Stato Sez. IV, Sent., 22-12-2011, n. 6791 Sospensione cautelare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 15 ottobre 2010, n. 2101, il T.A.R. per la Puglia – Lecce, sezione III, respingeva il ricorso proposto dal signor G. B., maresciallo capo dell’Arma dei Carabinieri in servizio presso la compagnia di Brindisi, contro i provvedimenti (adottati in data 23 settembre 2009 e – dopo l’accoglimento di una domanda cautelare da parte del Consiglio di Stato, sezione IV, con ordinanza 24 febbraio 2010, n. 921 – in data 7 maggio 2010) con cui il Ministero della difesa, in relazione al procedimento penale al quale il ricorrente è tuttora sottoposto, aveva disposto l’applicazione della misura della sospensione precauzionale dall’impiego ai sensi dell’art. 20, primo comma, della legge 31 luglio 1954, n. 599, con la conseguente riduzione alla metà dello stipendio e degli altri assegni a carattere fisso e continuativo.

Il B. ricorreva in appello contro tale decisione, ritenuta non correttamente motivata ed elusiva del giudicato cautelare. L’istanza con cui al tempo stesso chiedeva la sospensione dell’efficacia della sentenza gravata era respinta dal Consiglio di Stato, sezione IV, con ordinanza 19 gennaio 2011, n. 151.

All’udienza del 29 novembre 2011 l’appello veniva chiamato e trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. Per inquadrare correttamente la questione, occorre ricordare la scansione temporale dei provvedimenti che hanno condotto alla sospensione precauzionale dall’impiego del signor B., dei quali sopravvive solo quello del 2010. Nei confronti del precedente provvedimento il ricorrente aveva proposto istanza di sospensiva, respinta dal T.A.R. competente con ordinanza 11 dicembre 2009, n. 912, ma accolta dal Consiglio di Stato, sezione IV, con ordinanza 24 febbraio 2010, n. 921. Dando corso a tale ultima pronuncia, l’Amministrazione, in data 7 maggio 2010, riammetteva in servizio il ricorrente a titolo precario a far data dall’ordinanza del Consiglio di Stato, in attesa della decisione del gravame nel merito, e contestualmente disponeva ancora ex nunc la misura precauzionale. In definitiva, è contro tale provvedimento, impugnato nel corso del giudizio di primo grado con motivi aggiunti, che si sviluppa l’appello proposto contro la sentenza del T.A.R. pugliese.

2. Ciò posto, l’appello è infondato e va pertanto respinto.

3. Il primo motivo dell’appello sviluppa diffusamente, nella sostanza, il profilo dell’eccesso di potere dell’Amministrazione. Nel disporre la sospensione dall’impiego, quest’ultima non avrebbe obiettivamente e compiutamente valutato i fatti imputati al B. e, in particolare, non avrebbe considerato il venir meno di quattro dei capi di imputazione durante la fase delle indagini preliminari, non avrebbe indicato le ragioni per cui il mantenimento in servizio del ricorrente avrebbe leso l’onore e il prestigio dell’Arma e avrebbe costituito fattore di turbativa; non avrebbe infine adeguatamente bilanciato l’interesse pubblico e quello dell’appellante, atteso che la riduzione dello stipendio alla metà, che segue per legge alla sospensione precauzionale dall’impiego, avrebbe irreparabili e pesanti ricadute negative sulla famiglia di questi.

Premesso che non è naturalmente questa la sede per valutare i fatti in questione per quanto emergono nel processo penale (che – come anche è emerso durante l’udienza pubblica – è tuttora nella fase del dibattimento in primo grado), è incontestato che, pur essendo cadute alcune delle imputazioni originarie, il B. è stato rinviato a giudizio per concussione, tentata concussione continuata, peculato continuato, violata consegna di militare in servizio aggravata, rivelazione di segreti d’ufficio. Si tratta all’evidenza di fattispecie di reato particolarmente gravi, funzionalmente connesse alla qualifica di maresciallo capo dell’Arma dei Carabinieri rivestita dal B., idonee – se confermate con sentenza passata in giudicato – a comportare la perdita del grado a norma dell’art. 20, comma 1, della ricordata legge n. 599 del 1954, e allo stato rivestite quanto meno di quella consistenza che ha legittimato il rinvio a giudizio dell’imputato.

Che il mantenimento in servizio di quest’ultimo leda l’immagine dell’Arma dei Carabinieri e susciti sconcerto tra i cittadini è di tutta evidenza, considerate la natura e la gravità dei reati nonché la qualifica rivestita dall’appellante. Né si vede davvero cosa inoltre avrebbe dovuto addurre l’Amministrazione a motivazione del provvedimento adottato oltre all’ovvia necessità di tener conto dell’incidenza della vicenda in questione sull’ordinario svolgersi della cosa pubblica e sul dovere di salvaguardia del prestigio dell’Amministrazione stessa.

Per sostenere la possibilità che l’Arma adottasse iniziative di differente tenore, l’appellante ricorda l’art. 3 della legge 27 marzo 2001, n. 97, che in situazioni analoghe a quelle di cui è causa prevede per il dipendente di una amministrazione o di un ente pubblico, come diverso rimedio, il trasferimento ad altro ufficio o ad altra sede o l’attribuzione di un incarico differente, e come extrema ratio il collocamento in aspettativa o in disponibilità con diritto al trattamento economico in godimento, salvo che per gli emolumenti strettamente connessi alle presenze in servizio. Come rileva lo stesso appellante, la disposizione citata fa comunque salva l’applicazione della sospensione dal servizio in conformità a quanto previsto dai rispettivi ordinamenti. Il che basta ad escludere che la disposizione stessa possa applicarsi – né in via diretta, né in via analogica, e neppure come criterio interpretativo di fondo – nell’ambito di un ordinamento militare quale è quello che qui viene in questione, gli appartenenti al quale istituzionalmente assolvono a funzioni di particolare delicatezza nei rapporti con i cittadini e le Autorità.

Ciò vale anche a mostrare come sia privo di pregio il rilievo del supposto mancato bilanciamento tra l’interesse pubblico e quello privato. Se è vero che tale bilanciamento va tenuto nella necessaria considerazione – nel che, peraltro, è l’essenza della discrezionalità amministrativa -, è altrettanto vero che, una volta che l’Amministrazione abbia correttamente valutato le esigenze di tutela del bene pubblico, quello del privato non può che recedere e rimanere sprovvisto di tutela. Il che è particolarmente vero nel caso di specie, ove la parte privata, che invoca la salvaguardia delle proprie ragioni nella relazione dialettica con l’interesse pubblico, non può che rammaricarsi con sé stessa..

4. Per altro verso, neppure è fondato il motivo che argomenta dalla pretesa elusione del giudicato amministrativo per sostenere la illegittimità del provvedimento impugnato in primo grado e addirittura per farne discendere la nullità a norma dell’art.21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241.

In concreto, l’elusione sarebbe data da ciò, che il provvedimento avrebbe disposto in difformità dalla citata ordinanza n. 921 del 2010, con cui il Consiglio di Stato ha accolto l’istanza cautelare proposta contro il provvedimento di sospensione del 2009. E ciò, nel presupposto che il giudicato possa formarsi in relazione non solo a sentenze, ma anche a decisioni cautelari.

La questione è certo di grande eleganza, ma non è evocata proficuamente nella vicenda in oggetto. Né a fondare un concetto ampio di "giudicato", rispetto al quale potrebbe prodursi l’elusione, vale richiamare il precedente costituito da una sentenza di questo Consiglio (V sez., 24 luglio 2007, n. 4136). Impregiudicata la questione su un piano generale, resta il fatto che la decisione ora citata, nell’affermare che "anche la pronuncia cautelare di primo grado e la sentenza del tribunale non sospesa contengono un "comando giurisdizionale" che si impone inderogabilmente alle amministrazioni destinatarie", pone a questo effetto "il solo limite delle sopravvenienze di fatto o di diritto" (paragrafo 63). Poiché nella fattispecie – come ha correttamente rilevato il Giudice di primo grado – tra il primo e il secondo provvedimento di sospensione si è interposto il fatto nuovo costituito dal rinvio a giudizio dell’imputato, resta escluso in radice che, nella concreta fattispecie, sia utile all’appellante evocare la figura dell’elusione del giudicato.

5. Respinto l’appello per le considerazioni che precedono, sussistono peraltro giustificate ragioni per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, respinge l "appello e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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