Cass. civ. Sez. I, Sent., 28-05-2012, n. 8434 Procedimento esecutivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con decreto emesso il 16 novembre 2010 il Tribunale di Marsala, su ricorso dei sigg. M.M., Ma.Vi., M. M. e M.A., soci della fallita ITTICA MEDITERRANEA s.r.l., annullava il provvedimento del giudice delegato che aveva fissato la vendita coattiva senza incanto dei beni, disapplicando il parere emesso dal prefetto di Trapani favorevole al riconoscimento del beneficio della sospensione dell’esecuzione forzata di cui alla L. 23 febbraio 1999, n. 44, art. 20, comma 4, (Disposizioni concernenti il fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura).

Per l’effetto, dichiarava sospesa la predetta vendita per la durata prevista dalla legge.

Motivava.

– che il reclamo era tempestivo, non potendosi far decorrere il termine perentorio di 10 giorni di cui alla L. Fall., art. 26 dalla comunicazione a mezzo fax del solo dispositivo, anzichè del provvedimento nella sua interezza;

– che sussisteva la legittimazione attiva dei soci, dato il loro interesse ad agire, desumibile dal fatto che il sig. M. M., nella qualità di socio e presidente della Ittica Mediterranea s.r.l., aveva presentato l’istanza di sospensione;

– che, nel merito, il provvedimento concessivo della sospensione aveva duplice veste, amministrativa e giurisdizionale, e rientrava nella competenza, rispettivamente, del prefetto e del presidente del tribunale, cui competeva l’accertamento della sussistenza dei presupposti di legge;

– che non sussistevano le ragioni di illegittimità addotte dal giudice delegato per disapplicare l’atto prefettizio, sotto il profilo della legittimazione esclusiva della curatela fallimentare a richiedere il beneficio; salva, in caso di inerzia, anche quella della società fallita;

– che era pure improprio l’ulteriore sindacato di legittimità operato dal giudice delegato in ordine alla decadenza maturata del diritto alla sospensione dei termini per effetto della tardiva presentazione della domanda di elargizione del contributo previsto dall’art. 13, commi 3 e 4, di cui la sospensione dei termini di esecuzione coattiva costituiva una misura prodromica, di natura cautelare e strumentale, per la durata di 300 giorni.

Avverso il provvedimento comunicato l’1 dicembre 2010, la curatela del fallimento Ittica Mediterranea s.r.l. proponeva ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., articolato in cinque motivi e notificato il 13 gennaio 2011.

Deduceva.

1) la violazione della L. Fall., art. 26 e degli artt. 136 e 739 cod. proc. civ. nel mancato accoglimento dell’eccezione di decadenza, per tardività, del reclamo, proposto oltre il termine perentorio di 10 giorni dalla comunicazione a mezzo fax della cancelleria;

2) la violazione della L. Fall., art. 26 e dell’art. 100 cod. proc. civ. nell’omesso accoglimento dell’eccezione di carenza di interesse dei reclamanti;

3) la violazione di vari articoli della L. n. 44 del 1999, nonchè la carenza di motivazione nel mancato esame dell’eccezione di inapplicabilità della normativa ad una fattispecie diversa dal danno da attività estorsiva, vertendosi, nella specie, di asserita usura bancaria;

4) la violazione della L. n. 44 del 1999, art. 15 e della L. 7 marzo 1996, n. 100, art. 14 nonchè la carenza di motivazione nel ritenere applicabile la sospensione ad un processo fallimentare pendente da sette anni;

5) la violazione della L. Fall., art. 46 e della L. 23 febbraio 1999, degli artt. 15 e 20 nel mancato rilievo della carenza, da parte dei soci, della legittimazione a richiedere il beneficio sospensivo a tutela di un interesse strettamente personale della vittima di estorsione o di usura e dell’intercorsa decadenza per effetto della tardiva presentazione della richiesta di contributo, cui la sospensione dei termini relativi a processi esecutivi era correlata;

Le parti intimate non svolgevano attività difensiva.

All’udienza del 16 febbraio 2012 il Procuratore generale ed il difensore precisavano le conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la curatela del fallimento Ittica Mediterranea s.r.l. deduce la violazione della L. Fall., art. 26 e degli artt. 136 e 739 cod. proc. civ. nel mancato accoglimento dell’eccezione di decadenza.

Il motivo è infondato.

E’ inidonea a provocare la decorrenza del termine per proporre reclamo la comunicazione, a cura della cancelleria, del solo dispositivo del provvedimento; occorrendo, invece, come correttamente statuito dal Tribunale di Marsala, la comunicazione integrale del testo: che, sola, può fornire alla parte un’informazione completa, necessaria per la proposizione del gravame (Cass., sez. 1, 26 Febbraio 2010, n. 4783).

Tale regola, espressa ora in modo inequivoco dalla L. Fall., art. 26, comma 3, emendato dal D.Lgs. n. 5 del 2006, deve ritenersi già implicita nella previsione generale di cui all’art. 136 c.p.c., comma 1, che riserva la forma abbreviata, consistente nella mera notizia della pubblicazione del provvedimento (d’ordinario, eseguita tramite comunicazione del dispositivo), ai casi per i quali è specificamente disposta dalla legge.

Si tratta quindi di una deroga bisognosa di un’espressa norma autorizzativa: quale non si rinviene neppure nel testo previgente della L. Fall., art. 26, risultante dalle reiterate dichiarazioni di illegittimità costituzionale nella parte in cui riferiva la decorrenza del termine per il reclamo alla data del decreto del giudice delegato, anzichè a quella della sua comunicazione (Corte costituzionale 22 novembre 1985, n. 303; Corte costituzionale 24 marzo 1986, n. 550; Corte costituzionale 27 giugno 1986, n. 156).

In ordine alle ulteriori censure mosse dalla curatela ricorrente, natura pregiudiziale riveste il quarto motivo, con cui la curatela del fallimento Ittica Mediterranea s.r.l. deduce la violazione di legge, nonchè la carenza di motivazione nel ritenere ammissibile la sospensione prevista dalla L. 23 febbraio 1999, n. 44, art. 20 anche per le vendite forzate disposte nell’ambito di una procedura fallimentare pendente da sette anni.

La sua disamina deve peraltro investire due aspetti distinti, quantunque correlati nel caso in esame.

L’uno, di carattere generale ed astratto, involge il problema dell’applicabilità stessa del beneficio in favore dell’imprenditore fallito, nel silenzio della L. 23 febbraio 1999, n. 44 (nel testo anteriore agli emendamenti introdotti con la L. 27 Gennaio 2012, n. 3, che invece la prevedono espressamente: artt. 1 e 2): con interpretazione estensiva del dettato normativo che fa riferimento testuale all’esecuzione individuale (Sono sospesi… termini relativi a processi esecutivi mobiliari e immobiliari, ivi comprese le vendite le assegnazioni forzate: L. n. 44 del 1999, art. 20, comma 4).

L’altro, pertinente alla fattispecie concreta, riguarda la compatibilità della sospensione (e del contributo) con la pendenza pluriennale della procedura concorsuale, alla luce della ratio legis di rilancio dell’attività imprenditoriale che le è sottesa.

Sotto il primo profilo, l’inclusione dell’esecuzione concorsuale nella previsione della L. n. 44 del 1999, art. 20 sembra potersi affermare anche nella vigenza del testo originario, tenuto conto del rapporto di genere a specie corrente tra l’esecuzione forzata individuale, sul singolo bene, e quella universale propria del fallimento: con la precisazione che la specialità concorsuale, nell’ambito di un’eguale finalità esecutiva, non investe, differenziandolo, alcuno degli elementi essenziali integrativi della fattispecie in esame: e cioè, l’esercizio di un’attività imprenditoriale – espressamente prevista anche nella dizione originaria della L. n. 44 del 1999, art. 3 quale requisito soggettivo dell’elargizione; richiamato, poi, in combinato disposto, dall’art. 20 ai fini della sospensione – e l’evento lesivo eziologicamente dipendente da episodi delittuosi di natura estorsiva o usuraria.

A favore dell’interpretazione estensiva (consentita anche laddove sia inammissibile quella analogica) cospira pure, nell’ottica di un’interpretazione teleologia (art. 12 disp. gen.), il rilievo che il fallimento dell’imprenditore costituisce proprio il più grave sbocco dei crimini contro il patrimonio presupposti; senz’alcuna cesura di consequenzialità logico-giuridica con l’archetipo processuale prefigurato in parte qua ("processi esecutivi mobiliari ed immobiliari, ivi comprese le vendite e le assegnazioni forzate": L. cit., art. 20, comma 4): onde, l’applicazione della sospensione cautelare si pone in rapporto di conformità con la ratio solidaristica della normativa.

Una conferma indiretta può anche desumersi dalle conseguenze paradossali cui porterebbe, per contro, la ritenuta inapplicabilità al fallimento della sospensione delle vendite coattive in presenza di ipotesi speciali di proseguibilità dell’azione esecutiva, in deroga al divieto generale di cui alla L. Fall., art. 51. E’ questo il caso delle espropriazioni promosse dalle banche sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari (D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 41 – Testo unico bancario); o dell’azione esecutiva individuale consentita ai creditori garantiti da pegno o assistiti da privilegio, ai sensi degli artt. 2756 e 2761 cod. civ. (L. Fall., art. 53); o ancora, dell’ipotesi residuale di rinunzia del curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori nell’ambito del programma di liquidazione, alla liquidazione di uno o più beni, ove questa appaia manifestamente non conveniente (L. Fall., art. 104 ter, comma 7).

Nelle fattispecie citate, il privilegio processuale dell’esecuzione forzata individuale porterebbe de plano all’applicazione in favore dell’esecutato (fallito) del beneficio, in aderenza al dato letterale dalla L. n. 44 del 1999, art. 20, comma 4; mentre, se nelle medesime ipotesi il curatore scegliesse di procedere autonomamente alla vendita coattiva dei beni ai sensi della L. Fall., art. 107 – alternativa, espressamente consentita dalla L. Fall., artt. 53 e 104 ter; ma comunemente ammessa anche nei confronti degli istituti bancari per crediti fondiari (Cass., sez. 1, 6 Dicembre 2002 n. 17.334; Cass., sez. 1 28 Gennaio 1993 n. 1025) – si dovrebbe negare, in limine, la possibilità per il fallito di ottenere la sospensione della liquidazione dei suoi beni sol perchè svolgentesi in sede endoconcorsuale. Con una dissonante contraddittorietà di disciplina, non giustificata da alcuna diversità dei presupposti sostanziali (argomento apagogico).

Si aggiunga che al giudice delegato è pure concesso, in linea di principio, di sospendere la vendita (L. Fall., art. 108, comma 1).

Potere, arricchito dalla recente riforma (D.Lgs. gennaio 2006, n. 5), che lo ha esteso anche a fattispecie innominate (" …qualora ricorrano gravi e giustificati motivi…"), ulteriori rispetto alla previsione originaria di un’eventuale inadeguatezza notevole del prezzo di vendita rispetto a quello giusto: cosicchè la sospensione di cui alla L. 23 febbraio 1999, n. 44, art. 20 finisce con l’iscriversi armonicamente in un principio generale già consacrato, fungendo, in ultima analisi, da ipotesi tipizzata dal legislatore.

Rispettosa del dato testuale della normativa, nel suo inquadramento sistematico, e conforme alla ratio ad essa sottesa, l’applicazione del beneficio al fallito neppure collide con i divieti imperativi posti, rispettivamente, dalla L. 7 Marzo 1996, n. 108, art. 14, comma 7, (Disposizioni in materia di usura) e dalla L. 23 Febbraio 1999, n. 44, art. 4 (Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura): attinenti non già allo status della vittima, bensì a presupposti di natura esclusivamente penale (reità in delitti contro il patrimonio della stessa indole, sottoposizione a misure di prevenzione, adesione alle richieste estorsive, ecc).

Alla luce della predetta ricostruzione ermeneutica, si può dunque concludere che l’inclusione espressa del soggetto fallito tra i beneficiari delle misure, ad opera della L. 27 Gennaio 2012, n. 3, artt. 1 e 2 abbia natura autenticamente interpretativa, piuttosto che innovativa, giustificata da oscillazioni della giurisprudenza di merito.

Sotto il concorrente profilo sollevato dalla curatela ricorrente della compatibilità dell’elargizione prevista dalla L. n. 44 del 1999 e della connessa sospensione dell’esecuzione forzata (volte, secondo la mens legis, alla ripresa dell’attività economica di imprese in crisi finanziaria provocata da estorsione od usura) con una situazione di insolvenza accertata, non si può a priori escludere la riattivazione di un’impresa – la cui vitalità sia stata compromessa da fattori distorsivi di matrice criminale – grazie all’ausilio dell’elargizione e della sospensione dell’esecuzione forzata in corso, prima della disgregazione definitiva della struttura aziendale.

Ogni dubbio teorico sul punto risulta, del resto, ormai dissipato dallo jus superveniens di cui alla L. 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonchè di composizione della crisi da sovraindebitamento), espressamente ammissivo dei benefici di cui alle L. n. 44 del 1999 e L. 7 marzo 1996, n. 108 in favore dell’imprenditore dichiarato fallito. Per di più, con esclusione dell’imputabilità alla massa fallimentare, o alle attività sopravvenute, delle somme erogate: vincolate invece ad investimenti produttivi, proprio al fine di reinserire la vittima dei delitti di estorsione e di usura nell’economia legale (L. n. 108 del 1996, art. 14, commi 2-bis e 2-ter; L. n. 44 del 1999, art. 3, commi 1-bis ed 1-ter, nei testi novellati).

Alla luce dei predetti rilievi, la censura svolta dalla curatela appare dunque infondata.

Con il secondo motivo si denunzia la violazione della L. Fall., art. 26 e art. 100 cod. proc. civ. Il motivo è fondato.

L’elenco dei soggetti legittimati a proporre reclamo avverso i decreti del giudice delegato e del tribunale contiene l’indicazione, di chiusura, di "chiunque vi abbia interesse". In tal modo, la legittimazione attiva viene ampliata, con una formulazione che riecheggia quella dell’art. 1421 c.c., ricomprendendo financo terzi rimasti estranei al provvedimento impugnato. L’interesse a reclamare deve essere peraltro qualificato ai sensi dell’art. 100 cod. proc. civ; e quindi, ove non riguardi il fallito, o il curatore, o il comitato dei creditori (cui sempre compete la legittimazione attiva), deve consistere nella minaccia di un pregiudizio scaturente, direttamente, dal provvedimento emesso.

Nella fattispecie in esame, caratterizzata dal diniego di sospensione della vendita coattiva del complesso aziendale dell’Ittica Mediterranea s.r.l. la legittimazione al reclamo non può essere riconosciuta ai soci della società di capitali, portatori di un mero interesse di fatto alla conservazione della consistenza economica dei patrimonio sociale: così come, non sarebbe, analogamente, predicabile nell’azione di nullità, ex art. 1421 c.c., di un negozio giuridico stipulato dalla società di appartenenza (Cass., sez. 1, 25 febbraio 2009, n. 4579; Cass., sez. 2, 7 maggio 2002 n. 6544; Cass., sez. 1, 15 novembre 1999 n. 12615).

In ossequio ai predetti principi, è dunque esatta l’affermazione della curatela ricorrente che la legittimazione a proporre reclamo competeva, nella specie, alla sola Ittica Mediterranea s.r.l., diretta beneficiaria della sospensione, quale proprietaria degli immobili posti in vendita, su cui nessun diritto vantano, per contro, i soci. L’accoglimento del motivo assorbe le censure restanti.

Il decreto del Tribunale di Marsala dev’essere dunque, cassato.

In carenza della necessità di ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del reclamo proposto dai sigg. M.M., Ma.Vi., M. M. e M.A. (art. 384 c.p.c., comma 2).

La presenza di obbiettivi profili di incertezza ermeneutica giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione e, decidendo nel merito, rigetta il reclamo.

Compensa tra le parti le spese giudiziali.

Così deciso in Roma, il 16 Febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2012

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