Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-09-2011) 17-11-2011, n. 42389

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ritenuto che la Corte d’Appello di Bologna con sentenza emessa il 24 giugno marzo 2010, in parziale modifica, quanto alla determinazione della pena per effetto dell’esclusione dell’aggravante, della sentenza emessa dal Tribunale di Ravenna il 30 dicembre 2009,ha condannato S.S. per il delitto di cui agli artt. 81 cpv e 527 c.p., perchè appostandosi lungo il tragitto usualmente percorso a piedi dalla minore F.F. per recarsi dalla propria abitazione alla stazione ferroviaria di (OMISSIS), al sopraggiungere della ragazza ed al suo cospetto, denudava i propri organi genitali esibendoli in pubblico per soddisfare la propria libidine, in (OMISSIS), fino al 30 novembre 2009;

che avverso la sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi: 1) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale quanto alla fattispecie di cui all’art. 527 c.p. essendo il fatto da ricomprendere invece nella contravvenzione di cui all’art. 726 c.p.; 2) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione quanto alla circostanza di luminosità della zona nella quale ebbe a consumarsi il fatto;

Considerato che i motivi di ricorso sono manifestamente infondati, in quanto con gli stessi si è cercato di proporre una nuova lettura della vicenda processuale ma, come è noto, in tema di sindacato del vizio della motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta ai motivi di appello, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre;

che la struttura motivazionale della sentenza di appello impugnata, che concorda nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione con quella di primo grado, si salda con essa per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Cfr. Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181;

Sez 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145) e comunque fornisce una valutazione autonoma dei motivi di appello sui punti specificamente indicati, in virtù anche del parziale accoglimento dei motivi di ricorso quanto alla insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 527 c.p., comma 2, riconosciuta invece in primo grado;

che, infatti, i giudici di appello hanno confermato la piena attendibilità delle due testimonianze raccolte, sottolineando come le divergenze segnalate dalla difesa fossero attinenti a meri dettagli, del tutto irrilevanti rispetto al nucleo del fatto (l’imputato era stato visto toccarsi all’altezza dei genitali, mostrando il segno della propria eccitazione sessuale, mentre le divergenze attenevano alla chiusura o meno del giaccone dallo stesso indossato od ai minuti impiegati dai carabinieri per intervenire ed altri particolari del tutto ininfluenti), in riferimento al quale i giudici di merito hanno ribadito la qualificazione di comportamento osceno e che l’imputato ebbe a compiere tale gesto intenzionalmente, dovendosi prescindere da una asserita "erezione involontaria";

che questa Corte ritiene debba essere confermato e precisato il principio che è osceno un gesto intenzionale che abbia inequivocabilmente attinenza con la sfera sessuale, tenuto conto del suo contesto e delle sue modalità, e che sia volto a soddisfare la libido, ad esempio attraverso l’esibizione dei propri organi genitali o di altre parti del corpo aventi indubbia connotazione sessuale, ovvero a richiamarne il soddisfacimento (come desumibile, tra le altre, da Sez. 3, n. 8959 del 3/7/1997, P.M. in proc. Gallone, Rv.

208445; Sez. 3, n. 37395 del 2/7/2004, Annunziata, Rv. 230042; Sez. 3, n. 15676 del 25/3/2010, S., Rv. 246971); che pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente deve essere condannato, ai sensi del disposto di cui all’art 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa per le ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa per le ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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