Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 28-05-2012, n. 8421 Categoria, qualifica, mansioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ricorso in data 29 febbraio 2001 B.S. adiva il tribunale di Roma convenendo in giudizio l’ENAV S.p.A. di cui, a partire dal 2 aprile 1998, era stato dipendente con la qualifica di dirigente (direttore dell’area amministrazione e finanze dell’ente) fino alle dimissioni rassegnate in data 29 aprile 2000 ai sensi dell’art. 22 del contratto collettivo per dirigenti d’azienda in ragione dell’ingiustificato mutamento di posizione. Chiedeva dichiararsi la nullità o illegittimità o inefficacia di una serie di provvedimenti adottati dall’ente che avevano comportato la sottrazione di mansioni nel periodo tra la fine di aprile 1998 e il 14 aprile 2000 con conseguente violazione dell’art. 2103 c.c..

Chiedeva la condanna dell’ente al risarcimento del danno da dequalificazione professionale in misura pari a 19 mensilità dell’ultima retribuzione. Chiedeva altresì condannarsi l’ente al risarcimento del danno da lesione all’immagine professionale, nonchè al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso e al risarcimento del danno per riduzione del trattamento pensionistico di invalidità.

Lamentava in particolare di aver subito la privazione di peculiari competenze relative alla sua qualifica di dirigente, direttore dell’area amministrazione e finanze dell’ente. Tale area era preposta a cinque divisioni facenti capo ad altrettanti dirigenti. La circostanza però che nel corso del 1998 alcuni tra i migliori dipendenti, dirigenti e funzionari, erano stati trasferiti dall’area ad altri comparti aziendali aveva comportato che egli era stato costretto a far fronte personalmente con il suo lavoro a tutti gli incombenti, anche minori della direzione affidatagli.

Si costituiva l’ente contestando la fondatezza della domanda.

Esperita l’istruttoria mediante l’assunzione delle prove testimoniali dedotte dalle parti, il Tribunale di Roma con sentenza 27 gennaio – 25 maggio 2004 rigettava il ricorso e condannava la parte soccombente alla rifusione delle spese di lite.

2. Con atto notificato il 12 dicembre 2005 l’originario ricorrente interponeva appello avverso la suddetta sentenza di primo grado.

Si costituiva l’ente resistendo all’impugnazione.

La Corte d’appello di Roma con sentenza del 21 ottobre 2008 – 11 settembre 2009 riformava parzialmente la sentenza di primo grado, accogliendo il ricorso con riguardo al dedotto demansionamento e rigettando invece con riguardo all’asserito erroneo inquadramento previdenziale.

Osservava la Corte d’appello che il ricorrente era stato assunto dall’ente in qualità di dirigente e con la specifica attribuzione di responsabile dell’area finanza, prevista con delibera del consiglio di amministrazione del 25 marzo 1998, poi confermata dalla successiva delibera del 4 giugno 1998. Tale assetto organizzativo era stato però mutato con Delib. 14 aprile 2000, n. 38 che aveva disposto che le attività del Sistema informativo aziendale sarebbero state poste alle dirette dipendenze del direttore generale in quanto strumento tecnico essenziale per le scelte strategiche dell’ente. Tale delibera aveva comportato una modificazione di notevole consistenza nell’area di competenza del B. posto che il settore relativo al sistema informativo costituiva un’articolazione particolarmente importante e strategica all’interno dell’area finanze. Ed infatti vi era addetto il 35% delle risorse umane; in quella circostanza alcuni dirigenti e funzionari vennero trasferiti ad altre aree organizzative e mai sostituiti. Secondo la Corte d’appello quindi risultava integrato il presupposto previsto dall’art. 22 del contratto collettivo per dirigenti, applicabile al rapporto, che prevedeva che il dirigente che, a seguito di mutamento della propria attività sostanzialmente incidente sulla sua posizione, risolveva entro 60 giorni il rapporto di lavoro, aveva diritto, oltre al trattamento di fine rapporto, anche un trattamento pari all’indennità sostitutiva del preavviso spettante in caso di licenziamento. La Corte d’appello quindi condannava l’ente al pagamento di tale indennità, la cui quantificazione non era in contestazione tra le parti.

La Corte d’appello invece respingeva i capi di domanda che attenevano al risarcimento del danno da dequalificazione professionale e da lesione all’immagine, non essendone provati i presupposti; respingeva anche il caso di domanda relativo al danno previdenziale in quanto l’ente aveva provveduto all’apertura del rapporto previdenziale presso l’INPDAI in corrente doverosa applicazione del provvedimento con il quale l’Inps aveva classificato l’ente stesso tra gli enti industriali.

3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione il B., illustrato anche con successiva memoria.

Resiste con controricorso la parte intimata che ha proposto anche ricorso incidentale.

Motivi della decisione

1. Il ricorso principale del B. è articolato in un unico motivo con cui il ricorrente, denunciando la violazione della L. n. 665 del 1996, art. 8, punto 6, censura la sentenza impugnata per aver erroneamente rigettato la domanda di risarcimento del danno per il legittimo inquadramento previdenziale. Secondo l’art. 8 citato i dirigenti dell’ente, assunti successivamente alla trasformazione dello stesso in ente pubblico economico, dovevano essere obbligatoriamente iscritti all’assicurazione obbligatoria gestita dall’Inps e non all’INPDAI. In particolare deduce il ricorrente che egli era titolare di un trattamento pensionistico di invalidità erogato dall’INPDAI fin dal 1990. Una volta assunto dall’ente, quest’ultimo erroneamente lo aveva reiscritto all’INPDAI ancorchè l’ente non potesse considerarsi azienda industriale, ma azienda del settore terziario. Ciò aveva comportato, in ragione della particolare disciplina sul divieto di cumulo tra trattamento pensionistico di invalidità e retribuzione, la decurtazione della pensione nella misura del 50%; decurtazione che era addebitabile all’ente proprio per l’erronea iscrizione all’INPDAI invece che all’Inps.

2. Con un unico motivo l’ente ricorrente incidentale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., nonchè il vizio di motivazione. Contesta la sussistenza del demansionamento ritenuto dalla Corte d’appello atteso che con il provvedimento organizzativo del 14 aprile 2000, n. 38, vi era stata soltanto una variazione quantitativa, del tutto marginale, delle mansioni del ricorrente.

3. I giudizi proposti rispettivamente col ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno riuniti avendo ad oggetto la stessa sentenza impugnata.

4. Va esaminato innanzitutto il ricorso incidentale che logicamente precedere la censura mossa col ricorso principale.

Il ricorso incidentale è infondato.

La Corte d’appello ha adeguatamente motivato, in punto di fatto, la ritenuta sussistenza della dequalificazione in ragione del consistente svuotamento delle mansioni dirigenziali assegnate al ricorrente. Ha rilevato la Corte d’appello che le attività del Sistema informativo aziendale, già rientranti nell’area amministrazione e finanze, alla quale era preposto il ricorrente come dirigente, erano state stralciate e poste alle dirette dipendenze del direttore generale con Delib. 14 aprile 2000 n. 38. Ciò aveva ridotto in modo consistente, dal punto di vista qualitativo e quantitativo, le mansioni dirigenziali del ricorrente, anche in termini di personale che operava alle sue dipendenze, stante l’importanza e il ruolo strategico del Sistema informativo aziendale.

La Corte d’appello in particolare ha potuto quantificare nel 35% la riduzione delle risorse umane (dirigenti e funzionari) che operavano alle dipendenze del ricorrente, preposto all’area amministrazione e finanze.

La Corte d’appello ha quindi puntualmente accertato il presupposto di fatto della garanzia cui all’art. 2103 c.c., applicabile anche ai dirigenti d’azienda (Cass., sez. lav., 8 novembre 2005, n. 21673).

5. Il ricorso principale è inammissibile.

La sentenza impugnata ha rigettato la pretesa risarcitoria del dirigente considerando che l’ente aveva aperto il rapporto previdenziale presso l’INPDAI in ragione dell’espressa classificazione operata dall’Inps che ha ritenuto che l’ente rientrasse nell’area industriale e non già nel settore terziario.

Motivazione questa che va integrata con l’ulteriore considerazione che, ove la classificazione dell’ente fosse stata errata, ciò non avrebbe escluso che il dirigente avrebbe potuto contestare la legittimità della decurtazione del trattamento pensionistico di invalidità erogato dall’INPDAI; ma ciò avrebbe potuto fare promuovendo una controversia nei confronti di dell’INPDAI. A fronte di questa motivazione il ricorrente principale argomenta soltanto, se pur diffusamente, che la classificazione dell’ente nel settore terziario avrebbe dovuto comportare, fin dalla data dell’assunzione, l’iscrizione presso l’Inps e non già appresso l’INPDAI. In tal modo però il ricorrente ha censurato – inammissibilmente – la sentenza impugnata con un’argomentazione che non è conferente rispetto alla ratio decidendi di quest’ultima.

6. In entrambi i ricorsi vanno quindi rigettati.

La reciproca soccombenza consente la compensazione delle spese di lite di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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