Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-11-2011) 18-11-2011, n. 42594

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Uditi, altresì, nella pubblica udienza:

– il Pubblico Ministero in persona della Dott.ssa CESQUI Elisabetta, sostituto procuratore generale della Repubblica presso questa Corte suprema, la quale ha concluso per il rigetto del ricorso e per la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali;

– il difensore, delle parti civili, avvocato Vincenzo Nucara, il quale ha concluso per iscritto per il rigetto del ricorso e per la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio giusta separata notula;

– il difensore, del ricorrente imputato, avvocato Antonio Managò, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Rileva:

1. – Con sentenza, deliberata il 21 ottobre 2010 e depositata il 25 novembre 2010, la Corte di assise di appello di Reggio di Calabria ha confermato la sentenza del giudice della udienza preliminare del Tribunale di quella stessa sede, 19 febbraio 2010, di condanna alla pena principale della reclusione in anni dodici (ritenuto il concorso delle circostanze attenuanti generiche e della diminuente del rito abbreviato ed esclusa la premeditazione a carico di V. D., imputato dell’omicidio commesso in danno di G. Z.A. in (OMISSIS), con exitus in (OMISSIS).

1.1 – I giudici di merito hanno accertato quanto segue, sulla base del testimoniale e delle emergenze della generica.

Nelle succitate circostanze di tempo e di luogo il giudicabile, mediante numerosi colpi inferti al torace (nove) e al collo (uno) con un coltello da quindici centimetri, dotato di lama lunga centimetri sei e millimetri cinque, aveva mortalmente ferito al pericardio e al miocardio la vittima, la quale prontamente soccorsa era deceduta diciannove ore dopo presso gli Ospedali Riuniti di Reggio di Calabria anche a cagione di concomitante eziologia iatrogena.

Il fatto di sangue aveva costituito l’epilogo cruento di un diverbio insorto poco prima del ferimento e trasceso a vie di fatto tra l’imputato e la persona offesa.

La notte del 2 novembre 2008 i due si erano incontrati casualmente:

Z. usciva dal locale (OMISSIS) nel mentre D. transitava alla guida della propria autovettura; il prevenuto arrestava la marcia del veicolo e scendeva; l’incontro sfociava subito in un alterco (le cui cause sono rimaste oscure); e l’alterco degenerava in una colluttazione nel corso della quale D. percoteva con un bastone l’antagonista.

L’intervento pacificatore del gestore del locale, P.C., e di Z.D., cugino della vittima, conseguiva il risultato – rivelatosi invero effimero – di separare e allontanare i contendenti.

Subito dopo Z.D., nel rincasare, udiva, transitando davanti l’abitazione di D., forti rumori "come se qualcuno stesse bussando con veemenza alla porta"; e scorgeva, quindi, il prevenuto che sortiva dal retro del fabbricato, brandendo "una piccola ascia" e la vittima che usciva dal portone della abitazione;

Z.D., tentava invano di disarmare D., che lo minacciava, e di impedire un nuovo scontro tra i due antagonisti, al quale assisteva D.D., sorella del giudicabile.

Riusciva, tuttavia, Z.D. a dividere temporaneamente i contendenti, abbracciando da tergo D. e traendolo seco poco distante nei pressi dell’ufficio postale. Ma colà li raggiungeva Z.G., il quale si scagliava contro D.. Costui estraeva, allora, dalla tasca un coltello e iniziava a colpire il rivale.

Z.D., pur adoperandosi a trattenere "con forza" il cugino, non riusciva a sedare lo scontro e si allontanava per chiedere l’intervento della forza pubblica; eseguita la segnalazione, ritornava sulla scena del delitto; ove lo scontro era ancora in atto e la vittima si presentava già insanguinata; pertanto si allontanava ancora una volta per sollecitare aiuto; al ritorno rinvenne il corpo del congiunto il quale giaceva per terra, esanime e con vistose tracce ematiche.

I Carabinieri rinvennero e sequestrarono sulla scena del crimine l’arma del delitto, abbandonata da D.; costui, rintracciato dai Militari, presso la sua abitazione, ancora imbrattato di sangue e con "varie escoriazioni al viso", ammise di aver accoltellato Z..

Apprezzabile contributo eziologico al decesso della vittima fu offerto dai sanitari curanti per la negligenza dimostrata per la omessa esecuzione di alcuni accertamenti strumentali (ecocardiogramma, ecocardiografia e, all’esito dei medesimi, dell’intervento operatorio cardiochirurgico (di riparazione della lesione del miocardio che avrebbe scongiurato il mortale epilogo.

1.2 – Con riferimento ai motivi di gravame – e in relazione a quanto assume rilievo nel presente scrutinio di legittimità – in punto di "ricostruzione delle dinamica del fatto" e di attendibilità del teste Z.D.; in punto di riconoscimento della legittima difesa, quanto meno putativa; in punto di esclusione del nesso eziologico per le sopravvenute condotte colpose dei sanitari che curarono la vittima; gradatamente in punto di qualificazione del fatto sensi dell’art. 584 c.p.; e in punto di trattamento sanzionatorio; la Corte territoriale ha argomentato nei termini illustrati nei paragrafi che seguono da sub 1.3 a sub 1.7. 1.3 – La mancata emersione del motivo dei risentimento (e del conseguente diverbio tra i protagonisti del fatto di sangue non incide sull’accertamento della condotta omicida.

Le testimonianze di Z.D. e di P.C. concordano nella attribuzione all’appellante della "iniziativa della lite".

Peraltro non rileva la carenza di prova certa in ordine alla individuazione di chi dei due antagonisti tenne "per primo un atteggiamento provocatorio"; è certo, piuttosto, che la condotta dell’appellante innescò in Z. "l’irrefrenabile impulso di vendicarsi", sicchè, dopo intervento pacificatore del cugino e del gestore del locale, si recò a casa del giudicabile.

Le dichiarazioni di Z.D. sono pienamente attendibili essendo confortate da quelle di C. e P.G., nonchè della stessa sorella dell’imputato.

Neppure rileva l’assenza del testimone nel momento dell’epilogo finale del cruento scontro: D. ha confessato di essere l’autore del mortale accoltellamento; a lui appartiene l’arma del delitto; e nessun dubbio sussiste sul relativo autore materiale.

Mentre le lesioni riportate dell’appellante dimostrano soltanto che, nello scontro, anche la vittima esercitò violenza contro il rivale.

1.4 – Privo di fondamento è il mezzo di gravame per il riconoscimento della legittima difesa, gradatamele in forma putativa.

Sebbene non sia condivisibile l’assunto del primo giudice, il quale ha sostenuto che D., avendo volontariamente provocato la situazione di pericolo fin dal momento dell’incontro davanti (OMISSIS), non poteva, pertanto, invocare la esimente – e, invero, tra l’incontro iniziale e gli accadimenti successivi ricorre una "sostanziale cesura di carattere fattuale e logico", costituita dall’intervento pacificatore, dalla adesione di D. e dal rientro di costui nella propria abitazione – pur tuttavia l’appellante, in seguito "all’univoco atteggiamento aggressivo dello Z." il quale lo aveva seguito a casa, si pose "volontariamente e consapevolmente" nella situazione di pericolo, in quanto accettò "la sfida" del rivale e non ostante potesse agevolmente "sottrarsi alla contesa", preferì affrontare "spavaldamente" l’avversario, "uscendo dal retro dello stabile" e brandendo "una pericolosissima ascia"; tanto esclude, alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità, la legittima difesa anche nella forma putativa, in carenza di qualsivoglia errore scusabile circa la situazione di pericolo.

1.5 – Quanto alla eziologia dell’evento, le sopravenute concause iatrogene, non escludono il nesso causale tra la condotta lesiva dell’appellante e la morte della vittima.

Si tratta infatti di cause concorrenti che da sole non erano sufficienti a determinare l’evento.

1.6 – Corretta è la definizione giuridica del fatto ritenuta dal primo giudice.

La volontà omicida è conclamata dal mezzo lesivo impiegato, del numero dei colpi e dal distretto anatomico attinto sede di organi vitali.

Concorre ancora la considerazione complessiva di tutta la condotta del giudicabile, armatosi prima di un bastone, poi di una ascia e, infine, di un "micidiale coltello".

Mentre priva di pregio è la tesi difensiva, fondata sul rilievo della condotta tenuta dal D. dopo il mortale ferimento: la circostanza che l’appellante non abbia ulteriormente infierito contro la vittima esamine è atto equivoca, ai fini della postulata negazione del dolo omicida; infatti ben può correlarsi al convincimento del reo di aver conseguito l’intento letale.

1.7 – Non merita, infine, accoglimento la residua doglianza difensiva per il mancato contenimento della pena principale nel minimo irrogabile colla massima riduzione per le generiche.

Il primo giudice ha adeguatamente e condivisibilmente valutato gravità del fatto, contesto della azione delittuosa e personalità del colpevole.

2. – Ricorre per cassazione l’imputato, personalmente, mediante atto s.d., depositato il 5 marzo 2011, e col ministero del difensore di fiducia, avvocato Antonio Managò, mediante motivi nuovi, recanti la data del 13 ottobre 2011, depositati il 17 ottobre 2011.

L’imputato sviluppa cinque motivi con i quali dichiara promiscuamente di denunciare, à sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. b), c) ed e) inosservanza o erronea applicazione della legge penale, o di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nella applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 52 e 575 c.p. (secondo motivo); in relazione all’art. 59 c.p., comma 4, (terzo motivo); in relazione all’art. 41 c.p. (quarto motivo); in relazione all’art. 584 c.p. (quinto motivo) e in relazione agli artt. 62 bis, 69 e art. 133 c.p. (sesto motivo); inosservanza di norme processuali, in relazione all’art. 192 (primo, secondo motivo e quinto motivo), in relazione all’art. 546 cod. proc. pen. (primo motivo); nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.

Il difensore formula due motivi con i quali denunzia, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), vizio di motivazione e travisamento della prova in ordine al denegato riconoscimento della legittima difesa e, gradatamente, dell’eccesso colposo e della preterintenzionalità della condotta (primo motivo nuovo), e in ordine al mancato riconoscimento della provocazione (secondo motivo nuovo).

2.1 – Con il primo motivo il ricorrente, dopo aver testualmente riportato il contenuto dei motivi di appello, deduce: erroneamente la Corte territoriale ha operato un richiamo per relationem riguardo alla "credibilità" di Z.D., mentre era da apprezzare la "non totale veridicità delle dichiarazioni rese" dal testimone;

costui ha "descritto la dinamica dei fatti in maniera tale da minimizzare la carica di livore che aveva animato il proprio cugino nella scelta di proseguire la colluttazione anche dopo la separazione dei contendenti da parte degli astanti"; pertanto la ricostruzione dei fatti "avrebbe dovuto essere più cauta e circospetta";

incoerentemente, la Corte territoriale, disattendendo le conclusioni del primo giudice ha riconosciuto la ininfluenza delle condotte nella prima fase della vicenda, in quanto esso D. si allontanò, dirigendosi verso casa; mentre Z. "si adoperò a inseguirlo per continuare la colluttazione". 2.2 – Con il secondo motivo il ricorrente censura il diniego del riconoscimento della legittima difesa, ritenuto frutto di "una vera e propria stortura interpretativa" e oppone: quando Z.D. scorse esso D. "uscire dal retro della (..), abitazione con in mano una ascia, la vittima Z.G. era all’interno proprio della predetta abitazione cercando a tutti i costi di entrarvi e bussando (sic) in maniera veemente"; in quel frangente "si era creata una condizione obiettiva di pericolo" non solo per il giudicabile "ma soprattutto" per "la sorella di quest’ultimo", la quale si trovava "sola all’interno della abitazione ed era aggredita da Z.G. in maniera veemente e insistente"; non sono, pertanto, configurabili nè il caso della sfida, nè la possibilità del commodus discessus.

2.3 – Con il terzo motivo il ricorrente argomenta la sussistenza della legittima difesa putativa in considerazione del luogo isolato, dell’ora notturna, della pregressa colluttazione, dell’inseguimento da parte di Z., del tentativo di introduzione nella abitazione "in maniera violenta, percotendo violentemente e insistentemente il portone di ingresso", del pericolo per la sorella, la quale, trovandosi in casa "sola e indifesa", qualora "il portone fosse stato sfondato, sarebbe stata aggredita dallo Z.". 2.4 – Con il quarto motivo il ricorrente contesta la ricorrenza del nesso eziologico tra la propria condotta e l’evento mortale, opponendo che la "marziana omissione" degli interventi terapeutici dovuti costituiva fatto "inusitato ed eccezionale", il quale non poteva essere inserito "nell’alveo" della "evoluzione causale della condotta" del giudicabile.

2.5 – Con il quinto motivo il ricorrente censura, in via gradata la qualificazione giuridica del reato, ribadendo, previa riproduzione dei motivi di appello, la tesi della preterintenzione e, in proposito argomentando: i rilievi della Corte territoriale sono "meramente suggestivi"; le ferite furono inferte per indurre Z. a desistere dalla aggressione; contraddittoriamente i giudici di appello hanno riconosciuto la cesura tra la prima fase della vicenda e le condotte successive; l’intento omicida è escluso dalla cessazione di ogni azione lesiva nei confronti dell’antagonista, allorchè questi cadde a terra, dall’abbandono dell’arma, dal ritorno a casa in attesa dei Carabinieri; le considerazioni della Corte di assise di appello in proposito sono "assolutamente congetturali" e destituite di fondamento.

2.6 – Con il sesto motivo l’imputato si duole del trattamento sanzionatorio, stigmatizzando le considerazioni della Corte territoriale al riguardo, ritenute "assolutamente pretestuose e apodittiche", e la omessa valutazione "delle argomentazioni difensive", contenute nei motivi di impugnazione (non meglio illustrate).

2.7 – Col primo motivo nuovo il difensore, previo diffuso richiamo di precedenti di legittimità, deduce: dalla ricostruzione dei fatti, operata dai giudici di merito, emerge la legittima difesa; premesso che, in relazione al primo incontro tra i protagonisti, difetta la prova che sia stato D., piuttosto che Z., a provocare lo scontro, la Corte territoriale – dato atto della cesura tra la succitata prima fase degli accadimenti e i successivi sviluppi – ha accertato che, mentre D. aveva accolto l’invito a desistere e si era diretto verso casa sua, Z. aveva, invece, perseverato nell’atteggiamento aggressivo, portandosi a sua volta presso l’abitazione del ricorrente e "bussando veementemente alla sua porta"; siffatta condotta della vittima aveva concretizzato una "situazione di pericolo e di offesa ingiusta"; non ricorre la ritenuta ipotesi della sfida; D. per difendersi e per "sottrarre la propria sorella, nel caso in cui lo Z. fosse riuscito a sfondare la porta, ad una inconsulta reazione da parte dello stesso", fu costretto a munirsi di "una piccola ascia", che, tuttavia, non adoperò e della quale, poi, si disfece; novamente aggredito da Z., che il cugino non riusciva a trattenere, e avendo "già riportato delle gravi lesioni", dovette allora estrarre dalla tasca il "piccolo coltello" che recava seco, "per evitare di essere sopraffatto e ucciso" dall’avversario, più giovane e notevolmente più prestante; le nove ferite superficiali inferte "nella parte alta e sinistra del corpo" della vittima, rivelano che l’intento del ricorrente era soltanto quello "di potersi sganciare dalla morsa in cui era stretto"; sia nella seconda che nella terza fase della vicenda non c’era la possibilità del commodus discessus";

in via gradata la Corte territoriale avrebbe dovuto riconoscere l’eccesso colposo di legittima difese o, quanto meno, qualificare la condotta come omicidio preterintenzionale, mancando la prova dell’aminus necandi.

2.8 – Col secondo motivo nuovo il difensore sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto accordare la provocazione, in quanto "il comportamento della vittima giustificava ampiamente la concessione della detta attenuante". 3.-Il ricorso è infondato.

3.1 – Deve in limine rilevarsi la inammissibilità del secondo motivo nuovo redatto dal difensore: la doglianza del ricorrente è estranea rispetto ai punti devoluti col ricorso principale e, perfino, con l’appello (v., per tutte, circa la inammissibilità delle censure non riconducibili ai punti impugnati: Sez. 1^, 9 maggio 2005, n. 33662, Balocchino, massima n. 232406, secondo la quale: "deve ritenersi inammissibile un motivo nuovo di ricorso, presentato ai sensi dell’art. 585 cod. proc. pen., comma 4, avente ad oggetto un punto della decisione non investito dall’atto di ricorso originario, operando la preclusione prevista dall’art. 167 disp. att. c.p.p. e art. 167 disp. trans c.p.p., anche se la deduzione riguarda l’inutilizzabilità prevista dall’art. 191 cod. proc. pen., comma 2, occorrendo pur sempre che l’eccezione venga proposta con l’atto di ricorso principale", nonchè il richiamato arresto delle Sezioni Unite, 25 febbraio 1998, n. 4683, Bono).

3.2 – Per il resto non ricorre il vizio della violazione di legge:

– nè sotto il profilo della inosservanza (per non aver il giudice a quo applicato una determinata disposizione in relazione all’operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della norma, ovvero per averla applicata sul presupposto dell’accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie;

– nè sotto il profilo della erronea applicazione, avendo la Corte territoriale esattamente interpretato le norme applicate, alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte, nè, oltretutto, opponendo il ricorrente alcuna alternativa interpretazione a quella correttamente seguita nel provvedimento impugnato.

3.3 – Neppure ricorre vizio alcuno della motivazione.

Il giudice di merito ha dato conto adeguatamente – come illustrato nel paragrafo che precede sub 1. – delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicità di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione (v. per tutte:

Cass., Sez. 1^, 5 maggio 1967, n. 624, Maruzzella, massima n. 105775 e, da ultimo, Cass., Sez. 4^, 2 dicembre 2003, n. 4842, Elia, massima n. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità.

Questa Corte non rileva nel tessuto motivazionale del provvedimento impugnato:

– nè il vizio della contraddittorietà della motivazione che consiste nel concorso (dialetticamente irrisolto di proposizioni (testuali ovvero extra testuali, contenute in atti del procedimento specificamente indicati dal ricorrente), concernenti punti decisivi e assolutamente inconciliabili tra loro, tali che l’affermazione dell’una implichi necessariamente e univocamente la negazione dell’altra e viceversa;

– nè il vizio della illogicità manifesta che consegue alla violazione di alcuno degli altri principi della logica formale e/o dei canoni normativi di valutazione della prova ai sensi dell’art. 192 cod. proc. pen., ovvero alla invalidità (o scorrettezza) dell’argomentazione per carenza di connessione tra le premesse della abduzione o di ogni plausibile nesso di inferenza tra le stesse e la conclusione.

Epperò i rilievi, le deduzioni e le doglianze espressi dal ricorrente, benchè inscenati sotto la prospettazione di vitia della motivazione, si sviluppano tutti nell’orbita delle censure di merito, sicchè, consistendo in motivi diversi da quelli consentiti dalla legge con il ricorso per cassazione, sono inammissibili à termini dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 3.

Il giudice a quo ha dato conto adeguatamente – come illustrato nel paragrafo che precede sub 1. – delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicità di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione (v. per tutte: Cass., Sez. 1^, 5 maggio 1967, n. 624, Maruzzella, massima n. 105775 e, da ultimo, Cass., Sez. 4^, 2 dicembre 2003, n. 4842, Elia, massima n. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità; laddove le deduzioni, le doglianze e i rilievi residui espressi dal ricorrente, benchè inscenati sotto la prospettazione di vitia della motivazione, si sviluppano tutti nell’orbita delle censure di merito, sicchè, consistendo in motivi diversi da quelli consentiti dalla legge con il ricorso per cassazione, sono inammissibili à termini dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 3. 3.4 – Conseguono il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione, a favore delle parti civili, delle spese del presente giudizio, congruamente liquidate nel dispositivo infrascritto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida nella somma complessiva di Euro 3.500 (tremilacinquecento), oltre spese generali, I.V.A. e c.p.a. come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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