Cass. civ. VI – 1, Sent., 29-05-2012, n. 8594

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 15 maggio 2008 presso la cancelleria della Corte d’appello di Perugia, D.V.A.M. chiedeva la condanna del Ministero della giustizia a risarcirle i danni derivati dal mancato rispetto del termine di durata ragionevole di un giudizio civile di divisione iniziato con citazione notificata il 7 maggio 1980 dinnanzi al Tribunale di Latina, nel quale ella si era costituita con comparsa depositata il 23 giugno 1983 e nel quale venivano pronunciate una sentenza non definitiva depositata il 3 giugno 2003 e una sentenza definitiva depositata il 18 aprile 2007.

L’adita Corte d’appello, con decreto depositato il 7 settembre 2009, ha ritenuto che la durata ragionevole del giudizio presupposto fosse di cinque anni; ha rilevato una durata irragionevole pari a 18 anni;

ha condannato il Ministero della giustizia al pagamento, in favore della ricorrente, della somma di Euro 27.000,00 a titolo di danno non patrimoniale e di Euro 40.000,00 a titolo di danno patrimoniale, consistito nella mancata disponibilità della quota del fondo oggetto di divisione e nelle spese sostenute per poter continuare a svolgere la attività avicola in precedenza svolta sul detto fondo. In proposito, la Corte d’appello ha anche rilevato che il danno era provato dai documenti in atti e che sulla esistenza e sul guaritimi del detto danno l’amministrazione convenuta non aveva svolto rilievi di sorta.

Per la cassazione di questo decreto il Ministero della giustizia ha proposto ricorso sulla base di un motivo; ha resistito con controricorso l’intimata, la quale ha proposto altresì ricorso incidentale affidato a un motivo. Il Ministero della giustizia ha resistito, con controricorso, al ricorso incidentale.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo di ricorso, la ricorrente amministrazione denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 1223, 2043 e 2697 cod. civ..

La censura si riferisce al capo della decisione impugnata con il quale è stato riconosciuto alla istante il danno patrimoniale, rilevandosi che, secondo la giurisprudenza di legittimità, deve essere tenuto ben distinto l’oggetto della causa presupposta da quello del giudizio per equa riparazione, il quale non può costituire, neppure indirettamente, un mezzo per replicare il merito della precedente controversia. Nella specie, rileva il Ministero, il danno richiesto, consistente nelle spese sostenute a causa della mancata disponibilità del proprio fondo da parte della istante, costituiva l’oggetto stesso del giudizio di divisione, nel quale si discuteva del diritto di ciascuno degli eredi allo scioglimento della comunione esistente sul podere e alla conseguente divisione con il pagamento delle rendite pretese dalla odierna resistente nella misura di Euro 200,00 l’anno per ettaro. E su tale domanda si era pronunciato il Tribunale di Latina, attribuendo alla D.V. una quota pari a 7/50 delle rendite depositate. La medesima sentenza aveva altresì dichiarato inammissibile la domanda risarcitoria avente ad oggetto le rendite non percepite, perchè proposta nei confronti di soggetti non legittimati.

Con il ricorso incidentale, la resistente rileva che la Corte d’appello ha riconosciuto il danno non patrimoniale a far data dall’atto della sua costituzione nel giudizio, omettendo di considerare che ella aveva diritto, iure hereditatis, all’indennizzo anche per il periodo precedente, in cui era stato in giudizio il suo dante causa.

Il ricorso principale è fondato.

Questa Corte ha affermato il principio, che il Collegio condivide e al quale intende dare continuità, che ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, il danno risarcibile nel caso di violazione dell’art. 6, paragrafo 1, della CEDU è diverso da quello connesso al giudizio irragionevolmente lungo, in quanto non è rappresentato dalla lesione del bene della vita ivi dedotta, identificandosi, invece, nel danno arrecato come conseguenza immediata e diretta, e sulla base di una normale sequenza causale, esclusivamente dal prolungarsi della causa oltre il termine ragionevole. (Nella specie, il ricorrente, nel lamentare l’eccessiva durata di un giudizio di divisione ereditaria, aveva allegato come fonte di danno patrimoniale la indisponibilità, per tutto il corso della causa, di beni immobili caduti in successione e da lui rivendicati) (Cass. n. 23322 del 2005).

La Corte d’appello, accogliendo la domanda di ristoro del danno patrimoniale proposta dalla istante con riferimento alla eccessiva durata di un giudizio di divisione avente ad oggetto un podere è incorsa nella denunciata violazione di legge, atteso che ha identificato il danno patrimoniale riconosciuto alla istante con le conseguenze della mancata disponibilità della quota del bene oggetto di divisione. Nel lamentare come pregiudizio economico della irragionevole durata del processo di divisione gli oneri sostenuti per la prosecuzione dell’attività avicola in precedenza svolta, la interessata in buona sostanza ha allegato, come fonte del danno, il mancato possesso dei cespiti inclusi nell’asse ereditario che, da imprenditrice agricola, avrebbe potuto utilizzare; ma la mancata assegnazione, all’apertura della successione, della quota del podere spettante al proprio dante causa include il danno che deriva dalla loro indisponibilità. Esso, dunque, non può rivestire alcun rilievo nel giudizio di equa riparazione.

Dalle considerazioni sin qui svolte discende la fondatezza del ricorso principale, relativamente alla sola statuizione del decreto impugnato concernente il riconoscimento del danno patrimoniale. In relazione a tale statuizione il decreto impugnato va quindi cassato e, non apparendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., con il rigetto della domanda di riparazione del danno patrimoniale.

Il ricorso incidentale, con il quale viene censurato il decreto della Corte d’appello di Firenze con riferimento alla statuizione concernente il danno non patrimoniale, è infondato.

Dal ricorso incidentale, che contiene una puntuale descrizione dello svolgimento del giudizio presupposto emerge che il giudizio presupposto è iniziato con citazione notificata il 7 maggio 1980;

che di tale giudizio era parte il padre della ricorrente incidentale, costituitosi nel giugno 1980 e deceduto il 14 dicembre 1980 che la ricorrente incidentale ebbe a costituirsi in giudizio, a seguito del decesso del padre, con comparsa del 23 giugno 1983.

In tale contesto, l’assunto della ricorrente, secondo cui la Corte d’appello avrebbe errato nel non riconoscerle l’equa riparazione del danno non patrimoniale anche quale erede del padre, si rivela del tutto infondato. Per essere deceduto pochi mesi dopo l’inizio del giudizio di divisione, invero, il padre della ricorrente incidentale non ha potuto subire alcun pregiudizio dalla durata del processo presupposto. D’altra parte, la ricorrente incidentale non può reclamare una pregiudizio per la durata del processo svoltasi tra il momento del decesso del suo dante causa e la sua costituzione in giudizio. E’ noto che in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, qualora la parte costituita in giudizio sia deceduta anteriormente al decorso del termine di ragionevole durata del processo, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo, iure proprio, soltanto per il superamento della predetta durata verificatosi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la continuità della sua posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall’art. 110 cod. proc. civ., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89 del 2001 non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto patema subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla sua rapida conclusione (Cass. n. 23416 del 2009;

Cass. n. 1309 del 2011; Cass. n. 13803 del 2011).

Nel caso di specie, dunque, la Corte d’appello correttamente ha ritenuto irragionevole la durata del processo presupposto per 18 anni, atteso che, esclusa la violazione della durata ragionevole in danno del suo dante causa, la ricorrente incidentale si è costituita nel 1983 e il giudizio si è protratto sino al 2007, dovendosi detrarre da tale periodo la durata ritenuta ragionevole dalla Corte d’appello nella misura di cinque anni, con statuizione che non ha formato oggetto di censura da parte della ricorrente incidentale.

In conclusione, accolto il ricorso principale e rigettato quello incidentale, il decreto impugnato deve essere cassato con esclusivo riferimento alla domanda di riparazione del danno patrimoniale; con la precisazione che, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., la causa può, per questo profilo, essere decisa nel merito con il rigetto della domanda di danno patrimoniale. Il decreto impugnato va invece confermato per le altre statuizioni concernenti la riparazione del danno non patrimoniale e la condanna dell’amministrazione al pagamento delle spese del giudizio di merito, nella misura già riconosciuta dalla Corte d’appello di Firenze e non oggetto di specifica censura da parte della ricorrente incidentale.

In considerazione dell’esito complessivo della lite, sussistono invece giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta l’incidentale;

cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di riconoscimento della equa riparazione del danno patrimoniale; conferma le statuizioni del decreto impugnato relativamente al danno non patrimoniale e alle spese del giudizio di merito; compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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