Cass. civ. VI – 1, Sent., 29-05-2012, n. 8593 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 30 ottobre 2009 presso la Corte d’appello di Firenze, R.M. ha chiesto il riconoscimento dell’equa riparazione per la irragionevole durata di una procedura esecutiva, volta alla riconsegna di un appartamento locato, iniziata nel 1979 e conclusasi il 24 novembre 2000.

L’adita Corte d’appello, richiamate le precedenti pronunce emesse dalla Corte di cassazione nel medesimo giudizio, la prima con la quale il decreto di rigetto della domanda era stato cassato con rinvio, e, la seconda, con la quale era stata cassato il decreto impugnato per quanto atteneva al mancato riconoscimento del danno patrimoniale, ha ritenuto sussistente il detto danno, che in via parzialmente equitativa ha liquidato in 70.000,00 Euro, comprensivi di rivalutazione e interessi sino alla data della pronuncia. In particolare, la Corte d’appello ha rilevato che la ricorrente aveva posto a fondamento della propria domanda una situazione non dimostrata, e cioè quella che l’immobile fosse in buone condizioni di conservazione; condizione, questa, che doveva invece escludersi dovendosi presumere che la ricorrente non avesse eseguito sull’immobile lavori di manutenzione in considerazione dei cattivi rapporti con l’inquilino e non accadendo quasi mai che non vi sia soluzione di continuità tra rapporti di locazione.

Per la cassazione di questo decreto le amministrazioni soccombenti hanno proposto ricorso sulla base di un unico articolato motivo;

l’intimata ha resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale affidato a tre motivi; le amministrazioni hanno resistito con controricorso al ricorso incidentale.

Motivi della decisione

1. Deve preliminarmente essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per omessa notificazione dello stesso anche al Ministero dell’Economia e delle Finanze. Il decreto impugnato, invero, è stato emesso nei confronti del Ministero della Giustizia e della Presidenza del Consiglio dei ministri, i quali sono stati condannati al pagamento della somma indicata in favore della R..

Orbene, quand’anche il contraddittorio si fosse svolto nel giudizio di merito anche nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, non per questo il ricorso avrebbe dovuto necessariamente essere notificato alla detta amministrazione. Invero, la domanda di equa riparazione oggetto del presente giudizio attiene alla irragionevole durata di una procedura esecutiva dinnanzi al giudice ordinario, sicchè non vi era ragione di estendere il contraddittorio anche nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, succeduto nelle controversie introdotte dopo il 1 gennaio 2007, quale legittimato passivo, alla Presidenza del Consiglio dei ministri nei casi in cui venga in rilievo una domanda di equa riparazione per giudizi diversi da quelli svoltisi dinnanzi ai giudici ordinari o ai giudici militari. Tale rilievo impone altresì di escludere che fosse necessaria nel presente giudizio di legittimità la integrazione del contraddittorio, mediante ordine di notificazione del ricorso anche al predetto Ministero.

2. Con l’unico motivo di ricorso le amministrazioni ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., della L. n. 89 del 2001, art. 2 e segg. degli artt. 1223, 1226, 1227, 2056 e 2697 cod. civ., degli artt. 6, 13 e 35 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Le ricorrenti sostengono che il danno patrimoniale che può essere riconosciuto nei giudizi di equa riparazione è solo quello che costituisce effetto immediato e diretto del ritardo nella definizione del giudizio, mentre, nel caso di specie, il pregiudizio lamentato dalla istante consisteva nella mancata disponibilità dell’immobile nel periodo intercorso tra l’inizio dell’esecuzione e la data del rilascio, e cioè un pregiudizio non direttamente ricollegabile quale effetto immediato alla eccessiva durata della procedura esecutiva.

Richiama in proposito la giurisprudenza di questa Corte secondo cui ai fini del diritto ad un’equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, il giudice, nell’accertare la durata del procedimento di rilascio coattivo di immobile da finita locazione ad uso di abitazione, onde verificarne la ragionevolezza, è tenuto a considerare anche il ritardo conseguente alla (doverosa) applicazione di atti legislativi o comunque normativi, ovvero di provvedimenti discrezionali dell’autorità amministrativa di graduazione degli sfratti. Tuttavia, qualora si accerti che la durata del procedimento esecutivo, come conformato in base a quegli atti, sia in concreto incompatibile con il precetto di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 il danno patrimoniale subito dal locatore non può essere individuato nella perdita, correlata alla temporanea indisponibilità dell’immobile locato ad uso abitativo, dei vantaggi economici tratti dal suo valore locativo al canone di mercato rispetto alla minore misura del corrispettivo dovuto sino al rilascio dal conduttore, in quanto tale pregiudizio non trova diretta causa nella durata del processo bensì nella violazione da parte del medesimo conduttore dell’obbligo di restituzione del bene alla scadenza della locazione abitativa, sanzionata dall’art. 1591 cod. civ., e nei riflessi negativi conseguenti alla emanazione dei provvedimenti legislativi di sospensione degli sfratti o di devoluzione all’autorità amministrativa della graduazione dell’assistenza della forza pubblica (Cass. n. 2250 del 2007; Cass. n. 16445 del 2010).

In sostanza, osservano le ricorrenti, il pregiudizio lamentato dalla locatrice trovava diretta causa nella violazione, da parte del conduttore, dell’obbligo di restituzione del bene alla scadenza della locazione, sanzionata dall’art. 1591 cod. civ. 3. Con il primo motivo del ricorso incidentale, la R. deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e segg. degli artt. 1223, 1226, 1227, 2056 e 2697 cod. civ., degli artt. 6, 35 e 41 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, del 1^ Protocollo addizionale, in relazione all’art. 112 cod. proc. civ., agli artt. 11, 111 Cost. e all’art. 117 Cost., comma 1, mancanza di corrispondenza tra chiesto pronunciato, omessa pronuncia su questione decisiva della controversia, omessa, carente o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.

La censura si appunta sul fatto che la Corte d’appello non avrebbe rilevato e accertato la violazione, per effetto della irragionevole durata della procedura di rilascio, del 1^ Protocollo addizionale a tutela del diritto di proprietà; violazione che era stata denunciata e della quale vi era prova in atti. Ove poi si ritenga che la L. n. 89 del 2001 non sia azionabile per ottenere tutela interna per la violazione del protocollo addizionale, la ricorrente incidentale sollecita la rimessione degli atti alla Corte costituzionale ovvero alla Corte di Giustizia.

3.1. Con il secondo motivo, la ricorrente incidentale rileva la inconsistenza dei criteri addotti dalla Corte d’appello per pervenire alla riduzione della misura del danno patrimoniale riconosciuto.

3.2. Con il terzo motivo la R. censura il decreto impugnato per non avere la Corte d’appello statuito, come la sentenza di questa Corte prescriveva, in ordine alla determinazione delle spese del secondo giudizio di legittimità. 4. L’unico motivo del ricorso principale è infondato.

Le amministrazioni ricorrenti omettono di considerare che la controversia introdotta dalla R. ha formato oggetto di una prima decisione della Corte d’appello di Perugia, di rigetto della domanda, impugnata dalla R. con ricorso per cassazione, deciso con sentenza di accoglimento n. 11046 del 2002, sulla base del seguente principio: nell’ambito applicativo della L. 24 marzo 2001, n. 89, che prevede il diritto ad un’equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo ai sensi dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, rientra anche il procedimento di esecuzione forzata di un provvedimento di rilascio d’immobile ad uso di abitazione, stante il collegamento, emergente anche dai principi elaborati dalla Corte europea (alla cui stregua va condotta l’interpretazione della L. n. 89 del 2001), tra soddisfazione concreta del diritto azionato e procedimento di esecuzione forzata. Nè in senso contrario può invocarsi l’art. 4 della citata legge – il quale, nel fissare termini e condizioni di proponibilità della domanda di riparazione, fa decorrere il termine di decadenza di sei mesi "dal momento in cui la decisione, che conclude il … procedimento, è divenuta definitiva" – atteso che l’espressione "decisione definitiva" non coincide con quella di sentenza passata in giudicato, bensì indica il momento in cui il diritto azionato ha trovato effettiva realizzazione; tale momento, nell’esecuzione per il rilascio di un immobile, va individuato in quello della riconsegna del bene all’avente diritto.

A seguito di riassunzione, la Corte d’appello di Perugia ha parzialmente accolto la domanda, riconoscendo alla istante, per la irragionevole durata, stimata in 11 anni, della procedura esecutiva oggetto del presente giudizio, la somma di Euro 11.000,00 a titolo di danni non patrimoniali, e rigettando invece la domanda avente ad oggetto la richiesta di riparazione dei danni patrimoniali, ritenendo non fornita la prova della perdita di occasioni di redditività superiore al canone locativo in atto, attraverso la prova delle condizioni materiali dell’immobile, nonchè almeno l’allegazione dell’esistenza di concrete proposte-trattative.

Anche il secondo decreto ha formato oggetto di ricorso per cassazione, conclusosi con la sentenza n. 23769 del 2008, di accoglimento del ricorso, quanto al danno patrimoniale, ravvisando sussistente un vizio di ordine logico nell’inquadramento delle tematiche venute all’esame della Corte territoriale, e ciò sia con riferimento alla questione della prova dello stato di manutenzione dell’immobile, che sarebbe stata rilevante solo ai fini della determinazione del danno; sia con riferimento alla mancata allegazione di trattative, sintomatica del fatto che solo la libera disponibilità dell’alloggio consente l’accesso alla fase concreta delle trattative, che peraltro nulla ha a che vedere con il danno in sè rappresentato proprio dell’impossibilità di partecipare al concreto mercato delle locazioni. Questa Corte ha dunque cassato il decreto della Corte d’appello di Perugia, demandando alla Corte d’appello di Firenze il riesame della questione dei danni patrimoniali, alla luce delle rilevate lacune e delle riportate considerazioni.

Per effetto di tale decisione, dunque, costituivano elementi accertati la irragionevole durata della procedura esecutiva e la ammissibilità della domanda avente ad oggetto il danno patrimoniale subito dalla proprietaria a causa della irragionevole durata della procedura esecutiva e della impossibilità di disporre del bene locato per il periodo accertato nei precedenti giudizi di merito.

4.1. Orbene, la Corte d’appello di Firenze ha rinnovato l’esame ed è pervenuta alla conclusione della esistenza del denunciato danno non patrimoniale.

Il ricorso principale non può essere accolto perchè, facendo riferimento alle richiamate sentenze di questa Corte, mira a superare il principio di diritto affermato in questo giudizio con la prima sentenza del 2002 e ribadito, nella sostanza, dalla seconda decisione, atteso che in discussione, all’esito del secondo giudizio di legittimità, risultava soltanto la prova del danno con riferimento alle condizioni di manutenzione dell’immobile e agli effetti concreti della indisponibilità dell’immobile stesso da parte della proprietaria.

Le critiche mosse dalle amministrazioni ricorrenti mirano, invero, ad affermare il diverso principio, recepito dalla giurisprudenza di questa Corte ma inapplicabile nel presente giudizio in virtù delle preclusioni e dei vincoli conseguenti alle due richiamate sentenze, per cui il danno patrimoniale per irragionevole protrarsi di una procedura di rilascio di un immobile per finita locazione non può essere individuato nella perdita, correlata alla temporanea indisponibilità dell’immobile locato ad uso abitativo, dei vantaggi economici tratti dal suo valore locativo al canone di mercato rispetto alla minore misura del corrispettivo dovuto sino al rilascio dal conduttore, in quanto tale pregiudizio non trova diretta causa nella durata del processo bensì nella violazione da parte del medesimo conduttore dell’obbligo di restituzione del bene alla scadenza della locazione abitativa, sanzionata dall’art. 1591 cod. civ., e nei riflessi negativi conseguenti alla emanazione dei provvedimenti legislativi di sospensione degli sfratti o di devoluzione all’autorità amministrativa della graduazione dell’assistenza della forza pubblica.

Il ricorso principale deve quindi essere rigettato.

5. Il primo motivo del ricorso incidentale può ritenersi assorbito dalla reiezione del ricorso principale.

Con tale motivo, la ricorrente incidentale mira a fare affermare il principio per cui il rimedio interno offerto dalla L. n. 89 del 2001 dovrebbe essere esperibile anche nel caso in cui si intenda ottenere tutela per altri diritti fondamentali tutelati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quale, nel caso, il diritto di proprietà, oggetto di tutela ad opera dell’art. 1 del Primo Protocollo addizionale. Peraltro, la domanda originariamente proposta dalla ricorrente era unicamente calibrata sulla irragionevole durata della procedura esecutiva, dalla quale si assumeva fossero derivati danni patrimoniali, poi in concreto, sia pure in una misura censurata dalla ricorrente incidentale con il secondo motivo, riconosciuti dalla Corte d’appello con il provvedimento impugnato.

Appare dunque evidente la novità della questione posta con il primo motivo e la eccentricità del tema della applicabilità della L. n. 89 del 2001 anche a fini di tutela di diritti fondamentali diversi da quello alla ragionevole durata del processo, al quale invece si riferisce espressamente la citata legge. Stante la inammissibilità della censura risultano irrilevanti sia la richiesta di sollevare questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 111, 11 Cost. e/o all’art. 117 Cost., della L. n. 89 del 2011, art. 2 nella parte in a cui esclude che il rimedio interno introdotto possa essere utilizzato per sollevare innanzi al giudice nazionale questioni inerenti lesioni di diritti riconosciuti dalla Convenzione diversi dal solo diritto alla ragionevole durata del processo di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione; sia la richiesta di rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di Giustizia, in considerazione dell’avvenuta comunitarizzazione dei principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

6. Il secondo motivo del ricorso incidentale è infondato.

Le deduzioni svolte dalla ricorrente incidentale con riferimento agli apprezzamenti della Corte d’appello in ordine alla determinazione del danno in base al presunto stato di manutenzione dell’immobile involgono accertamenti di fatto, in ordine ai quali il decreto impugnato contiene una motivazione non illogica nè contraddittoria, e le censure proposte con il motivo in esame non evidenziano, in contrario, carenze o illogicità del convincimento in proposito formulato dal giudice di merito.

La Corte d’appello ha invero rilevato che la ricorrente aveva indicato il danno da lei subito per la c.d. perdita di occasioni e lo aveva determinato solo con riferimento ad un canone di locazione riferito ad un appartamento di quelle dimensioni ed ubicazione, ma, evidentemente, in buono stato di manutenzione. Stato che la Corte d’appello, sulla base di un adeguato ragionamento presuntivo, basato sulla durata della locazione, sui non buoni rapporti tra locatore e conduttore e sulla circostanza di comune esperienza che vi è quasi sempre soluzione di continuità tra un inquilino e il successivo – intervallo che, nel caso di specie, doveva essere stato di rilevante entità -, ha escluso che potesse essere buono e ha quindi liquidato in via equitativa, a fronte di una domanda di Euro 137.592,43, in Euro 70.000,00, compresi interessi e rivalutazione monetaria alla data della decisione.

Le censure della ricorrente, come detto, non appaiono idonee ad inficiare un simile ragionamento, anche perchè non contestano puntualmente il riferimento del provvedimento impugnato alla impossibilità di locazione, stante le non buone condizioni di manutenzione dell’immobile, per un periodo di rilevante durata, anche tenuto conto della valorizzazione del fatto di comune esperienza che tra un rapporto di locazione e l’altro passa del tempo.

La liquidazione equitativa del danno patrimoniale operata dalla Corte d’appello si sottrae, dunque, alla proposta censura.

7. E’ invece fondato il terzo motivo del ricorso incidentale.

La sentenza di questa Corte n. 23769 del 2008 demandava alla Corte d’appello di Firenze anche di statuire sulle spese del giudizio di legittimità. A tanto la Corte territoriale non ha provveduto, in quanto il decreto si conclude con la condanna al pagamento delle spese del procedimento, che deve ritenersi siano solo quelle del procedimento svoltosi dinnanzi alla Corte territoriale, atteso il riferimento alla posizione assunta dall’Avvocatura dello Stato nel giudizio e alla significativa riduzione del quantum.

Il decreto impugnato deve quindi essere cassato in parte qua. Non essendo peraltro necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, procedendosi in questa sede alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, determinate in complessivi Euro 2.600,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

In considerazione della sostanziale reciproca soccombenza, sussistono giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e il primo e il secondo motivo del ricorso incidentale; accoglie il terzo motivo del ricorso incidentale, cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna le amministrazioni ricorrenti al pagamento delle spese del pregresso giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.600,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge; compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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