T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 22-12-2011, n. 10078

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Premette in fatto la società odierna ricorrente di essere concessionaria dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (di seguito AAMS) per "l’attivazione e la conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi da divertimento ed intrattenimento nonché delle attività connesse" in virtù di procedura ad evidenza pubblica avviata sulla base dell’art. 14 bis, comma 4, del D.P.R. n. 640 del 1972, come modificato dal decreto legge n. 269 del 2003 collegato alla legge finanziaria per il 2004 e convertito in legge con la legge n. 236 del 2003, con cui è stata prevista la gestione in via telematica del gioco tramite apparecchi da divertimento ed intrattenimento che erogano vincite in denaro previa realizzazione di una o più reti da affidare in concessione da individuarsi mediante gara pubblica.

Precisa, inoltre, parte ricorrente di aver aderito alla facoltà di cui al decreto legge n. 30 (rectius: 39) del 2009 (cd. decreto Abruzzo), convertito in legge con legge n. 77 del 2009, riconosciuta agli operatori del settore concessionari di AAMS, consistente nell’attivazione della sperimentazione ed avvio a regime di sistemi di gioco costituiti dal controllo remoto del gioco attraverso videoterminali a fronte della possibilità di ottenere, per come previsto dall’art. 21, comma 7, del Decreto legge n. 78 del 2009, nell’ambito delle procedure di rinnovo delle concessioni, il diritto alla prosecuzione delle concessioni senza soluzione di continuità.

Parte ricorrente è stata quindi ammessa alla sperimentazione delle VLT ed autorizzata all’installazione di 11.953 apparecchi VLT, formulando richiesta di affidamento in concessione della rete per la gestione telematica del gioco lecito.

Rappresenta parte ricorrente come in tale contesto sia intervenuta la legge n. 220 del 2010 – cd. legge di stabilità per l’anno 2011 – con la quale sono state introdotte disposizioni relative ai rapporti concessori in essere e da costituire, prevedendo l’aggiornamento dello schema tipo di convenzione accessiva alle concessioni per l’esercizio e la raccolta non a distanza dei giochi pubblici, stabilendo i requisiti minimi per la partecipazione alla selezione e gli obblighi da inserire nelle convenzioni e prevedendo la sottoscrizione di un atto di integrazione della convenzione accessiva alla concessione entro 180 giorni della entrata in vigore della legge al fine di adeguarne i contenuti alle nuove prescrizioni.

Precisa, quindi, parte ricorrente che con decreto interdirigenziale del Direttore dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato del 28 giugno 2011 sono stati determinati i requisiti delle società concessionarie del gioco pubblico non a distanza e degli amministratori delle stesse, mentre con il decreto del Direttore dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato del 30 giugno 2011 sono state stabilite le modalità di trasmissione delle informazioni.

Con nota del 30 giugno 2011 è stato trasmesso lo schema di atto integrativo della Convenzione di concessione per la gestione della rete telematica degli apparecchi da divertimento ed intrattenimento, adottato sulla base dei predetti decreti, con invito alla relativa sottoscrizione che la società ricorrente ha rifiutato.

A sostegno dell’impugnazione proposta avverso gli indicati atti deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura:

1 – Illegittimità degli artt. 1, comma 77, 1 comma 78, 1 comma 79 della legge n. 220 del 2010 per inconciliabilità con il Trattato CE.

Nell’affermare parte ricorrente come i gravati provvedimenti costituiscano applicazione della legge n. 220 del 2010, deduce il contrasto di quest’ultima – nella parte in cui impone, nell’ambito di consolidati rapporti concessori, ulteriori obblighi privi di ragionevolezza – con le disposizioni del Trattato Ce che prescrivono il massimo accesso al mercato e l’abbattimento degli ostacoli al libero sviluppo delle prestazioni di beni e servizi.

Le contestate norma andrebbero, secondo parte ricorrente, disapplicate in quanto introducono un irragionevole restringimento della soglia di accesso allo svolgimento delle attività concessorie e della concorrenza senza che tali limitazioni trovino corrispondenza in rilevanti interessi dell’Amministrazione.

In particolare, l’art. 1, comma 78, lettera b) n. 4, nell’imporre al concessionario il mantenimento di un rapporto di indebitamento contenuto entro un determinato valore, stabilito dall’AAMS, inciderebbe su un parametro intimamente connesso a decisioni strategicooperative demandate alla capacità imprenditoriale.

Quanto all’art. 1, comma 78, lettera b) n. 5, che impone la consegna all’AAMS, entro quindici giorni dalla loro approvazione, del bilancio d’esercizio e delle rendicontazioni contabili trimestrali, relative alla società concessionaria e a quella dalla stessa controllata, accompagnate da apposita relazione di certificazione redatta da una primaria società di revisione contabile, lamenta parte ricorrente come la stessa imponga un notevole aggravio di natura economica di carattere irragionevole, anche con riferimento alle società controllate.

Quanto all’art. 1, comma 78, lettera b) n. 6, che introduce il divieto di finanziamenti o garanzie a favore di società collegate o controllate dal concessionario, ed all’art. 1, comma 78, lettera b) n. 7, che subordina la distribuzione dei dividendi all’adempimento degli obblighi di investimento, tali norme, in quanto limitano la libera concorrenza e l’attività di impresa, sarebbero in contrasto con i principi del Trattato Ce e con l’art. 41 della Costituzione.

In contrasto con la libertà di circolazione e di stabilimento sarebbe inoltre l’art. 1, comma 78, lettera b) n. 8, che sottopone all’autorizzazione dell’AAMS le operazioni imprenditoriali di fusione, scissione, trasferimento dell’azienda, mutamento di sede sociale o di oggetto sociale, scioglimento della società.

Parimenti illegittima sarebbe la previsione di cui all’art. 1, comma 78, lettera b) n. 9 nonché quella di cui all’art. 1, comma 78, lettera b) n. 10.1 che impone una patrimonializzazione idonea, e quella contenuta al n. 10.3, che impone alla controllante di assicurare al concessionario i mezzi derivanti dalla convenzione di concessione, essendo tali norme in contrasto con i principi di diritto societario che regolano gli obblighi del socio di una società per azioni, la cui responsabilità patrimoniale non può andare oltre il conferimento iniziale in quota capitale, ed in contrasto con i principi di libera concorrenza, sfavorendo i concessionari italiani imponendo loro obblighi patrimoniali sconosciuti in ambito comunitario.

Contesta, ancora, parte ricorrente, l’art. 1, comma 78, lettera b), punto 17 che sottopone ad autorizzazione dell’AAMS la destinazione a scopi diversi da investimenti legati alle attività oggetto di concessione della extraprofittabilità generata in virtù dell’esercizio delle attività di gioco, nonché l’art. 1, comma 78, lettera b), punti 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25 e 26 che introducono ulteriori obblighi di trasmissione dati ed informazioni introducendo sanzioni, penali e cause di decadenza.

Lamenta, quindi, parte ricorrente l’irragionevolezza e la sproporzione dell’innalzamento dei requisiti previsto per il solo settore delle concessioni dei giochi pubblici, a fronte delle elevate garanzie che i concessionari sono tenuti a prestare.

Nel rappresentare, parte ricorrente la difficoltà di raggiungimento e mantenimento di tali requisiti, denuncia come gli stessi comportino un ingessamento delle attività ed un indebito condizionamento della libertà di impresa che viene sottoposta a verifiche e gradimenti dell’AAMS.

La sottoposizione delle operazioni societarie all’autorizzazione dell’AAMS costituirebbe un ingiustificato aggravamento procedimentale che ritarderebbe e comprimerebbe l’esercizio dell’attività di impresa, oltre che porsi in violazione con il principio di libera concorrenza.

La creazione di nuovi parametri di solidità economica, avente valenza vessatoria, si porrebbe in contrasto con i principi di libertà di stabilimento, di libera prestazione dei servizi e di libera circolazione di capitali, nonché con il principio di libero affidamento e di certezza del diritto.

2 – In via subordinata, illegittimità per contrasto con gli artt. 3 e 41 della Costituzione.

Le norme introdotte con la legge n. 220 del 2010, nell’imporre gravose prescrizioni per i soli concessionari del gioco legale, sarebbero in contrasto con gli artt. 3 e 41 della Costituzione in quanto comportanti una incidenza diretta sul libero esercizio dell’attività di impresa restringendo ingiustificatamente la possibilità di accedere alla posizione di concessionario.

In particolare, risulterebbe violato il principio di ragionevolezza e di legittimo affidamento, nonché il principio di libertà dell’iniziativa imprenditoriale.

Deduce, altresì, parte ricorrente, il contrasto della legge n. 220 del 2010 con il c.d. decreto Abruzzo, travolgendo il legittimo affidamento dei concessionari nella stabilità delle condizioni stabilite con lo stesso.

Con riferimento agli atti applicativi della legge n. 220 del 2010 deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura:

3 – Illegittimità dei provvedimenti dell’AAMS per violazione dell’art. 1, comma 79, della legge n. 220 del 2010 per la pretesa di immediata applicazione alla convenzione in corso dei requisiti di capacità economicofinanziaria. Eccesso di potere per illogicità ed irragionevolezza della pretesa di modifica retroattiva delle condizioni di convenzione e per difetto di motivazione e sviamento. Violazione delle norme di correttezza dell’azione amministrativa fissata dalla Costituzione e dal Trattato CE.

Rappresenta parte ricorrente come l’art. 1, comma 79 della legge n. 220 del 2010 abbia imposto che alcuni dei requisiti individuati dal comma 78 debbano essere recepiti entro 180 giorni e debbano integrare le convenzioni già in essere, evidenziando come – ferma l’illegittimità di tale previsione – il gravato decreto interdirigenziale del 28 giugno 2011 e lo schema di atto integrativo della convenzione abbiano introdotto requisiti, obblighi e parametri esclusi dalla legge dalla immediata applicazione ai rapporti in essere, con conseguente violazione del regime transitorio previsto dalla citata norma, in tal modo alterando altresì l’equilibrio delle convenzioni.

Quanto al gravato decreto interdirigenziale, risulterebbero illegittimi gli artt. 5, 6, 7, 8 e 10.

Avuto riguardo allo schema di atto integrativo la denunciata illegittimità si riferirebbe agli articoli 5.2, 6, 8, 8.3, 8.4 e 12 che rispecchiano previsioni di legge circa la solidità patrimoniale che la legge aveva escluso dalla applicazione immediata alle vigenti convenzioni di concessione.

4 – Ulteriore violazione della medesima disposizione nonché dei punti 77 e 78 del medesimo art. 1 della legge n. 220 del 2010. Violazione e falsa applicazione della Direttiva 18/2004/CE e contrasto con gli artt. 3 e 41 della Costituzione e con i principi di legittimo affidamento del Trattato CE. Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, difetto dei presupposti e di motivazione.

Lamenta parte ricorrente l’irragionevolezza del decreto interdirigenziale del 28 giugno 2011 che ha introdotto requisiti di solidità patrimoniale sproporzionati ed impraticabili dagli attuali concessionari che si sono indebitati, come la ricorrente, con il sistema bancario per far fronte agli investimenti richiesti, così impedendo la prosecuzione delle concessioni in essere.

In particolare l’art. 8 del gravato decreto, che prescrive il rapporto tra passività fisse e capitale netto non superiore a 0,8, sarebbe irraggiungibile dalla ricorrente nell’esercizio in corso, stante l’indebitamento dalla stessa operato per far fronte all’acquisto di diritti di installazione VLT e contrasterebbe con le regole sottese alla vantaggiosità e redditività degli investimenti volte alo sviluppo dell’impresa, oltre che porsi in violazione con il principio della libertà di impresa e di libera concorrenza.

Analoghi profili di irragionevolezza ed illogicità affliggerebbero l’art. 9 del gravato decreto in quanto facente riferimento ad un indice numerico con riguardo al rapporto di indebitamento senza alcuna valutazione qualitativa sulle condizioni di impresa e senza alcun riferimento ai principi contabili internazionali.

Contesta, ancora, parte ricorrente, il nomenclatore recato dall’art. 1 del gravato decreto laddove offre la definizione delle attività correnti e della passività fisse, quest’ultima in contrasto con l’art. 9.2 del medesimo decreto.

Parimenti illogico sarebbe l’art. 2 del decreto che riconduce l’individuazione dei requisiti patrimoniali alle grandezze contabili indicate nei bilanci di esercizio, nonché l’erroneità della fissazione dei relativi parametri, tenuto conto che tale norma, immediatamente applicabile, è stata introdotta successivamente al primo trimestre dell’esercizio in corso, imponendo la correzione gestionale entro ristretti limiti temporali, laddove avrebbe dovuto trovare applicazione solo a decorrere dal bilancio di esercizio con chiusura 21 dicembre 2012.

Avuto riguardo all’art. 3 del gravato decreto, che disciplina il quadro informativo minimo dei dati economici, finanziari, tecnici e gestionali delle concessionarie, lamenta parte ricorrente l’indeterminatezza del momento della trasmissione dei dati.

Contesta parte ricorrente anche gli artt. 4, 5, 6 e 7 del gravato decreto, stante il carattere penalizzante delle previste modalità di verifica del rispetto dei parametri economici e patrimoniali che non tengono conto delle onerose fideiussioni bancarie prestate dai concessionari, significando come gli indici di elasticità dell’attivo e del passivo non trovino alcun fondamento nella disciplina contabile di riferimento ed introducano una sorta di garanzia aggiuntiva che incrina l’equilibrio contrattuale, con correlato aggravio gestionale – discendente anche dalla subordinazione all’autorizzazione dell’AAMS della vita operativa della società – ed alterazione delle regole della concorrenza.

Le previsioni del gravato decreto sarebbero pertanto illogiche, sproporzionate ed in contrasto con i principi comunitari in tema di libertà di impresa e di concorrenza e come tali inconciliabili con le norme del Trattato CE.

Illegittima, irragionevole e vessatoria sarebbe, inoltre, la previsione di cui all’art. 10 del gravato decreto che impone alla società controllante un bilancio certificato ed una particolare patrimonializzazione in virtù della detenzione di quote di capitale in altra società di capitali ledendone la libertà di scelta in ordine all’aumento di capitale.

In contrasto con i principi comunitari e nazionali in materia di libertà di impresa e di concorrenza sarebbe inoltre l’art. 11 del gravato decreto che sottopone ad autorizzazione dell’AAMS – peraltro discrezionale ed arbitraria, stante l’utilizzo della formula "suscettibili di comportarè – la gestione societaria dei concessionari.

Generico e limitativo della libertà di impresa sarebbe inoltre l’art. 12 del gravato decreto che impedisce alle società la scelta dell’amministratore e del procuratore tra i soggetti che non abbiano maturato il previsto requisito del biennio di esperienza.

Con riguardo alle previsioni recate dallo schema di atto integrativo della convenzione di concessione, esorbitanti rispetto a quelle previste dalla legge di stabilità per il 2011, ne denuncia parte ricorrente il carattere arbitrario ed illogico, nonché l’illegittimità derivata da quella che affliggerebbe il gravato decreto.

In particolare, l’art. 4, lettera b) ricalcherebbe l’incostituzionalità della norma di legge di riferimento laddove prescrive la certificazione del bilancio da primaria società di revisione contabile, con rendicontazioni contabili certificate trimestrali anche per le società controllate.

Analoga censura viene sollevata con riferimento alla previsione di cui all’art. 8.3 che subordina l’autorizzazione ad effettuare investimenti in settori diversi alla certificazione di primaria società di revisione contabile della extraprofittabilità.

Con riferimento all’art. 9, lo stesso introdurrebbe un aggravio ulteriore rispetto alle censurate previsioni del gravato decreto in merito alla trasmissione dei dati di gioco, prevedendo oneri restrittivi e maggiormente gravosi rispetto all’art. 1, comma 78, lettera b) n. 19 della legge n. 220 del 2010, nel dettaglio illustrati.

Tale art. 9 e la corrispondente norma del decreto prevederebbero, in sostanza, una vera e propria attività di monitoraggio ed elaborazione dati estranea agli obblighi assunti dal concessionario ed unilateralmente imposta, che richiede l’organizzazione di una costosa struttura ah hoc, irragionevolmente travalicando la norma di riferimento.

Afferma, dunque, parte ricorrente come il complesso delle regole del gravato decreto recepito nelle schema di atto integrativo sia irragionevole e sproporzionato, introducendo parametri impossibili da rispettare.

Lamenta, ancora, parte ricorrente l’arbitraria introduzione, con gli artt. 11 e 12 del gravato schema, di nuove sanzioni e nuove clausole di decadenza, rappresentando come l’art. 2, comma 2, del decreto legge n. 40 del 2010, convertito in legge con legge n. 73 del 2010, richiamato quale fonte normativa di tali disposizioni, non autorizzi l’inserimento di nuove ipotesi di decadenza, con conseguenza carenza di potere dell’AAMS.

Le nuove ipotesi di decadenza sarebbero, inoltre, sproporzionate ed arbitrarie nella parte in cui non consentono al concessionario di giustificare le ragioni cha hanno inciso sul rispetto dei requisiti di capacità patrimoniale.

L’art. 11, inoltre, violerebbe la norma di riferimento la quale prevede la non automaticità nell’applicazione delle penali e presuppone il collegamento con un danno causato all’Amministrazione, con conseguente illegittimità della automatica applicazione della penale in caso di inadempimento.

Le penali previste, in quanto fissate tra un minimo ed un massimo caratterizzati da un ampio margine, sarebbero illogiche ed arbitrarie, giungendo a valori massimi troppo elevati.

Le previsioni di cui agli artt. 11 e 12 del gravato schema si porrebbero in violazione dei principi di partecipazione procedimentale affermati dall’art. 2, comma 2, che impongono di negoziare il contenuto delle modifiche della convenzione.

5 – Violazione dei principi del giusto procedimento – partecipazione e contraddittorio. Eccesso di potere per disparità di trattamento – Violazione dell’art. 2.2 del decreto legge n. 40 del 2010, convertito con modificazioni con legge n. 73 del 2010.

Nel rappresentare parte ricorrente come nella nota del 5 agosto 2011 si dia atto del confronto con qualificati soggetti rappresentanti dei concessionari di giochi pubblici, lamenta come alla stessa non sia stato consentito alcun apporto partecipativo, con conseguente violazione procedimentale e disparità di trattamento.

6 – Contraddittorietà e violazione e falsa applicazione delle finalità del cd. decreto Abruzzo convertito in legge con legge n. 77 del 2009. Violazione e contraddittorietà con il decreto direttoriale AAMS del 15 settembre 2009. Eccesso di potere per abnormità ed irragionevolezza. Violazione dell’art. 97 della Costituzione.

Nel ricordare parte ricorrente di aver approntato onerose fideiussioni bancarie a garanzia dei propri obblighi di concessionaria e di aver investito 180 milioni di euro per prenotare 11.953 autorizzazioni alla concessione di videoterminali di cui al decreto Abruzzo facendo affidamento sulla prosecuzione dell’attività senza soluzioni di continuità, come previsto dal decreto Abruzzo e dal decreto direttoriale del 15 settembre 2009, alle medesime condizioni contrattuali fatto salvo unicamente il mantenimento dei requisiti soggettivi di partecipazione alla procedura aperta a tutti i concessionari, impegnando tutte le sue risorse, lamenta l’aggravamento, per effetto del gravato decreto, della prosecuzione del regime concessorio anche sotto il profilo dell’equilibrio sinallagmatico contrattuale attraverso l’innalzamento dei requisiti di capacità patrimoniale e condizionando al rispetto dei nuovi requisiti la partecipazione alla futura gara, con introduzione di previsioni sproporzionate immediatamente applicabili che violano il principio del legittimo affidamento.

Affianca parte ricorrente, alla proposta azione impugnatoria, anche azione volta ad ottenere il risarcimento del danno, quantificato in euro 500.000,000,00 riferito al mantenimento della concessione.

Si sono costituite in resistenza le intimate Amministrazioni, sostenendo, con articolate controdeduzioni, l’infondatezza delle cesure proposte, con richiesta di corrispondente pronuncia.

Con ricorso per motivi aggiunti parte ricorrente ha impugnato il bando di gara per l’affidamento in concessione della realizzazione della conduzione della rete per la gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi da divertimento e intrattenimento, ivi compresi il capitolato d’oneri, il capitolate tecnico e lo schema di convenzione, nonché l’atto di approvazione dello schema di atto di convenzione, rinnovando l’impugnazione degli atti gravati con il ricorso introduttivo.

Chiede, inoltre, parte ricorrente la previa disapplicazione dell’art. 1, commi 77, 78 e 79 della legge n. 220 del 2010 e dell’art. 24, comma 25, del decreto legge n. 98 del 2011per contrasto con i principi del Tratto CE ovvero proposizione di domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia della Comunità Europea, nonché l’accertamento, previa rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 23 della legge n. 87 del 1953, della illegittimità di tale legge per contrasto dell’art. 1, commi 77, 78 e 79 con gli artt. 3 e 41 della Costituzione, nonché dell’art. 24, comma 25 del decreto legge n. 98 del 2011 con gli articoli 3, 21 e 41 della Costituzione.

Nel richiamare il contenuto del ricorso introduttivo del giudizio, precisa parte ricorrente come l’AAMS abbia indetto una nuova gara per l’affidamento in concessione dei servizi inerenti la realizzazione e conduzione della rete per la gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi da divertimento e intrattenimento cui la stessa deve partecipare al fine di ottenere la prosecuzione della concessione cui ha invece diritto in forza delle disposizioni normative che ne assicurano la continuità.

Avverso i gravati atti deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura:

1 – Violazione del principio del legittimo affidamento di rilevanza comunitaria e di buon andamento. Eccesso di potere per illogicità manifesta e evidente sproporzione degli oneri gravanti sul concessionario.

Afferma parte ricorrente di aver diritto all’aggiudicazione definitiva della concessione alla connessione dei nuovi sistemi di controllo remoto del gioco attraverso videoterminali di cui al cd. decreto Abruzzo, alle medesime condizioni contrattuali all’epoca vigenti alla sola condizione del mantenimento del possesso dei requisiti soggettivi di partecipazione di cui all’art. 38 del D.Lgs. n. 163 del 2006, senza aggravamenti nella prosecuzione del regime concessorio, laddove con decreto interdirigenziale 28 giugno 2011 sono stati previsti nuovi requisiti di solidità patrimoniale che aggravano i requisiti di partecipazione ed il contenuto della convenzione di concessione, con previsioni sproporzionate ed irragionevoli, impeditive della possibilità della prosecuzione dell’attività in concessione della ricorrente stante l’alterazione dell’equilibrio sinallagmatico.

Verrebbe in tal modo violato il principio del legittimo affidamento e preclusa la stessa possibilità per la ricorrente di partecipare alla nuova procedura.

Tra le innovazioni introdotte, contesta specificamente parte ricorrente la previsione della fideiussione e l’inserimento della penale di 90 milioni di euro; la modifica della scadenza temporale e di svincolo della fideiussione; l’incameramento delle fideiussioni in caso di decadenza dalla concessione; l’aumento della fideiussione e l’imposizione di una cauzione di partecipazione; l’introduzione del sistema di georeferenziazione (su cui pende diverso ricorso); la previsione del possesso di un capitale sociale interamente versato di euro 1.000.000,00; la previsione dell’incondizionata accettazione delle regole contenute nel capitolato d’oneri.

Lamenta, quindi, parte ricorrente l’intervenuta violazione dei diritti quesiti, significando come le nuove disposizioni risultino impeditive della partecipazione alla gara stante l’impossibilità per la ricorrente di soddisfare la documentazione di gara e di soddisfare i requisiti richiesti.

2 – Quanto al contenuto del nuovo schema di convenzione. Violazione del principio del legittimo affidamento e di buon andamento. Eccesso di potere per illogicità e sproporzione manifesta. Contrasto con il diritto comunitario.

Lamenta parte ricorrente come lo schema di convenzione, nell’introdurre modifiche peggiorative rispetto a quello precedente, precludano la sua partecipazione alla selezione, imponendo obblighi di mantenimento di requisiti di solidità patrimoniale impossibili da rispettare ed un aggravio economico.

Denuncia, inoltre, parte ricorrente la mancata acquisizione del parere preventivo del Consiglio di Stato sul contenuto della convenzione, nonché la vessatorietà ed iniquità delle previsioni peggiorative contenute nello schema di convenzione, vizi questi riferiti anche ai corrispondenti capitolati d’oneri, che sarebbero altresì affetti da illegittimità derivata in quanto applicativi degli atti impugnati con il ricorso introduttivo, di cui è stata denunciata l’illegittimità.

Rivolge parte ricorrente le proposte censure agli artt. 5.2.j inerente l’obbligo di redazione del bilancio; 5.8 inerente la possibilità dell’AAMS di incrementare il numero di apparecchi videoterminali; art. 5.9 inerente il corrispettivo per il nulla osta per ogni videoterminale; 6.4 inerente i requisiti di solidità patrimoniale; 6.7, 6.8 e 6.9 che richiamano il decreto impugnato; 8.1.a inerente la ricostituzione del capitale sociale; 8.1.b inerente il rapporto di indebitamento; 8.1.c inerente l’obbligo di certificazione del bilancio; 8.1.d inerente la distribuzione dei dividendi; 8.1.e inerente l’obbligo di comunicazione della composizione degli organi societari; 8.1.j inerente il mantenimento dei requisiti di solidità patrimoniale; 8.1.k inerente le modifiche statutarie; 8.2 inerente la trasmissione dei dati di gioco; 10.3 inerente l’esenzione di responsabilità dell’AAMS; 10.5 inerente obblighi della società controllante; 11.4. g inerente il corrispettivo per il nulla osta di ciascun videoterminale; 11.6 inerente la fornitura gratuita di PDA; 12.4 inerente la riscossione di premi non reclamati; 12.8 inerente gli obblighi di tracciabilità finanziaria; 13.5 inerente gli obblighi in materia di proprietà intellettuale; 14, inerente le penali per i casi di sospensione non autorizzata della raccolta del gioco;14.8 inerente il piano di sviluppo; 14.10 inerente lo stanziamento all’avvio della concessione di un determinato importo; 14.15 inerente i finanziamenti a società controllanti, controllate e collegate;14.16, 14.17, 14.18 inerenti la extraprofittabilità; 15.1.t.ii inerente l’obbligo di georeferenziazione; 15.2.m inerente il rispetto dell’andamento dei giochi; 15.5 inerente il divieto di utilizzo della rete telematica.

Contesta, inoltre parte ricorrente, attraverso analogo mero e scarno excursus delle norme, la disciplina sulle modalità di recesso come dettate dagli artt. 18.2 lettera s), 19.2 lettera t), 19.6.

Prosegue parte ricorrente nell’individuazione delle disposizioni asseritamente illegittime individuandole in quelle recate dagli artt. 21, inerente i contratti con i produttori awp e sistemi di gioco; 23 inerente l’utilizzo dei beni immateriali; 24 inerente gli accantonamenti per investimenti; 24.3 inerente gli investimenti; 26, 26.9, 26.11 inerenti le garanzie; 28 inerente il compenso del concessionario; 30 inerente le penali, lamentando in proposito l’introduzione di 34 penali assolutamente nuove; 31, 31.2.a, 31.2.b), 31.2.c), 31.2.f), 31.2.g), 31.2.h), 31.2.l), 31.2.m), 31.2.n), 31.2.p), 31.2.q), 31.2.r), 31.8, inerenti la revoca e la decadenza dalla concessione.

Ancora, parte ricorrente, con riferimento alle disposizioni recate dagli allegati alla convenzione, lamenta in particolare, in quanto introducono nuovi gravosi obblighi, le condizioni recate dall’allegato 2 sui nuovi livelli di servizio, dall’allegato 3 sui flussi finanziari e adempimenti contabili (in particolare gli artt. 2 sulle riscossioni del concessionario, art. 6 sui flussi finanziari). Quanto al capitolato d’oneri, deduce parte ricorrente il seguente motivo di censura:

– Violazione del principio del legittimo affidamento e di buon andamento. Eccesso di potere per illogicità e vessatori età. Contrasto col diritto comunitario. Illegittime previsioni del Capitolato d’oneri.

Elenca parte ricorrente le disposizioni contenute nel capitolato d’oneri ritenute illegittime.

– Illegittimità derivata.

Riproduce parte ricorrente le censure già dedotte con il ricorso introduttivo sia in forma di illegittimità derivata che quali vizi autonomi dello schema di convenzione allegato al bando di gara, deducendo le seguenti doglianze:

– In via preliminare e principale, si solleva questione sull’illegittimità delle norme della legge n. 220 del 2010, art. 1, commi 77, 78 e 79 per inconciliabilità con il Trattato CE.

– In via subordinata, illegittimità per contrasto con gli artt. 3 e 41 della Costituzione.

– Illegittimità dei provvedimenti dell’AAMS per violazione dell’art. 1, comma 79, della legge n. 220 del 2010 per la pretesa di immediata applicazione alla convenzione in corso dei requisiti di capacità economicofinanziaria. Eccesso di potere per illogicità ed irragionevolezza della pretesa di modifica retroattiva delle condizioni di convenzione e per difetto di motivazione e sviamento. Violazione delle norme di correttezza dell’azione amministrativa fissata dalla Costituzione e dal Trattato CE.

– Ulteriore violazione della medesima disposizione nonché dei punti 77 e 78 del medesimo art. 1 della legge n. 220 del 2010. Violazione e falsa applicazione della Direttiva 18/2004/CE e contrasto con gli artt. 3 e 41 della Costituzione e con i principi di legittimo affidamento del Trattato CE. Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, difetto dei presupposti e di motivazione.

– Violazione dei principi del giusto procedimento – partecipazione e contraddittorio. Eccesso di potere per disparità di trattamento – Violazione dell’art. 2.2 del decreto legge n. 40 del 2010, convertito con modificazioni con legge n. 73 del 2010.

– Violazione dell’art. 21, comma 7, del decreto legge n. 78 del 1990. Illegittimo affievolimento dei requisiti di partecipazione in caso di partecipazione di ATI.

Formula, altresì, parte ricorrente, azione risarcitoria relativamente ai danni conseguenti dai gravati provvedimenti.

Con memorie successivamente depositate le parti del presente giudizio hanno controdedotto a quanto ex adverso sostenuto, ulteriormente argomentando

Alla Pubblica Udienza del 13 dicembre 2011 la causa è stata chiamata e, sentiti i difensori delle parti, trattenuta per la decisione, come da verbale.

Motivi della decisione

Con il ricorso introduttivo del presente giudizio la società odierna ricorrente – concessionaria dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (hic hinde AAMS) sin dal 2004 per "l’attivazione e la conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi da divertimento ed intrattenimento nonché delle attività connesse" ed autorizzata all’installazione di 11.953 apparecchi VLT nell’ambito della sperimentazione ed avvio a regime di sistemi di gioco costituiti dal controllo remoto del gioco attraverso videoterminali di cui all’art. 21, comma 7, del Decreto legge n. 78 del 2009, sperimentazione avviata nell’ambito dell’attuazione del decreto legge n. 39 del 2009 (cd. decreto Abruzzo) – ha proposto azione impugnatoria avverso il decreto interdirigenziale del 28 giugno 2011 con cui sono stati determinati i requisiti delle società concessionarie del gioco pubblico non a distanza e degli amministratori delle stesse, avverso il decreto direttoriale del 30 giugno 2011 con cui sono state stabilite le modalità di trasmissione delle informazioni ed avverso la nota del 30 giugno 2011 con cui l’AAMS ha trasmesso lo schema di atto integrativo della Convenzione di concessione per la gestione della rete telematica degli apparecchi da divertimento ed intrattenimento, adottato sulla base dei predetti decreti, con invito alla relativa sottoscrizione, spiegando altresì azione risarcitoria.

Con ricorso per motivi aggiunti parte ricorrente ha, inoltre, proposto azione impugnatoria avverso il bando di gara per l’affidamento in concessione della realizzazione e della conduzione della rete per la gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi da divertimento e intrattenimento, ivi compresi il capitolato d’oneri, il capitolate tecnico e lo schema di convenzione, nonché l’atto di approvazione dello schema di atto di convenzione, rinnovando l’impugnazione degli atti gravati con il ricorso introduttivo.

Procedendo, nella gradata elaborazione logica delle questioni sollevate, alla disamina delle censure proposte con il ricorso introduttivo del giudizio, seguendo l’ordine suggerito dalla proposizione delle stesse, va preliminarmente precisato che il gravato decreto interdirigenziale, recante "Determinazione dei requisiti di solidità patrimoniale, del quadro informativo minimo dei dati economici, finanziari, tecnici e gestionali delle società concessionarie del gioco a distanza e dei requisiti di affidabilità, onorabilità, professionalità e indipendenza posseduti dagli amministratori, dal presidente e dai procuratori delle società stesse" trova il proprio fondamento normativo – per come espressamente indicato nelle premesse di tale decreto – nelle disposizioni dettate dalla legge 13 dicembre 2010 n. 220, recante "Disposizioni per la formazione annuale e pluriennale dello Stato (legge stabilità 2011)", cui intende dare attuazione.

In particolare, il gravato decreto dà attuazione alle disposizioni dettate dall’art. 1, commi 77, 78, 79 e 80 della citata legge n. 220 del 2010.

All’attuazione dell’art. 1, comma 79, n. 19, è invece specificamente deputato il gravato decreto dirigenziale del 30 giugno 2011 recante "Determinazione delle informazioni, dei dati e delle contabilità relativi alle attività di gioco che i soggetti titolari di concessione dell’esercizio e raccolta non a distanza dei giochi pubblici trasmettono al sistema centrale dell’Amministrazione Autonoma dei monopoli di Stato".

1 – Avverso i gravati decreti, sopra indicati, deduce, in primo luogo, la società odierna ricorrente il vizio di illegittimità derivata per contrasto delle norme dettate dalla legge n. 220 del 2010 – di cui gli stessi costituiscono attuazione -con i principi del Trattato CE che prescrivono il massimo accesso al mercato e l’abbattimento degli ostacoli al libero sviluppo delle prestazioni di beni e servizi, chiedendone la disapplicazione, ai sensi dell’art. 235 del Trattato – o la rimessione della questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia – in quanto introducono un irragionevole restringimento della soglia di accesso allo svolgimento delle attività concessorie e della concorrenza senza che tali limitazioni trovino corrispondenza in rilevanti interessi dell’Amministrazione.

La questione non merita favorevole esame.

Plurime sono le norme introdotte dalla legge n. 220 del 2010 di cui parte ricorrente lamenta l’incompatibilità con i richiamati principi del Trattato CE.

Segnatamente, chiede parte ricorrente la disapplicazione, in quanto asseritamente affette dai denunciati profili di incompatibilità con i principi recati dal Trattato CE, delle seguenti norme:

– la norma di cui all’art. 1, comma 78, lettera b) n. 4, della legge n. 220 del 2010 che impone al concessionario il mantenimento per l’intera durata della concessione di un determinato rapporto di indebitamento fissato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, in quanto inciderebbe su di un parametro intimamente connesso a decisioni strategicooperative proprie dell’attività imprenditoriale;

– l’art. 1, comma 78, lettera b) n. 5, che impone la consegna all’AAMS, entro quindici giorni dalla loro approvazione, del bilancio d’esercizio e delle rendicontazioni contabili trimestrali, relative alla società concessionaria e a quella dalla stessa controllata, accompagnate da apposita relazione di certificazione redatta da una primaria società di revisione contabile, in quanto introduce un notevole aggravio di natura economica di carattere irragionevole, anche con riferimento alle società controllate;

– l’art. 1, comma 78, lettera b) n. 6, che introduce il divieto di prestare finanziamenti o garanzie a favore di società, controllanti, controllate o collegate con il concessionario, in quanto limiterebbe la libera concorrenza e l’attività di impresa;

– l’art. 1, comma 78, lettera b) n. 7, che subordina la distribuzione dei dividendi all’adempimento degli obblighi di investimento, in quanto anch’essa limiterebbe la libera concorrenza e l’attività di impresa;

– l’art. 1, comma 78, lettera b) n. 8, che sottopone all’autorizzazione dell’AAMS le operazioni imprenditoriali che implicano mutamenti soggettivi del concessionario, quali quelle di fusione, scissione, trasferimento dell’azienda, mutamento di sede sociale o di oggetto sociale, scioglimento della società, in quanto in contrasto con la libertà di circolazione e di stabilimento;

– l’art. 1, comma 78, lettera b) n. 9, che sottopone ad autorizzazione preventiva le operazioni di trasferimento delle partecipazioni, anche di controllo, detenute dal concessionario suscettibili di comportare una riduzione dell’indice di solidità patrimoniale, in quanto in contrasto con la libertà di circolazione e di stabilimento;

– l’art. 1, comma 78, lettera b) n. 10.1 che impone una patrimonializzazione idonea e l’art. 1, comma 78, lettera b) n. 10.3, che impone alla controllante di assicurare al concessionario i mezzi derivanti dalla convenzione di concessione, essendo tali norme in contrasto con i principi di diritto societario che regolano gli obblighi del socio di una società per azioni, la cui responsabilità patrimoniale non può andare oltre il conferimento iniziale in quota capitale, ed in contrasto con i principi di libera concorrenza, sfavorendo i concessionari italiani imponendo loro obblighi patrimoniali sconosciuti in ambito comunitario;

– l’art. 1, comma 78, lettera b), punto 17 che sottopone ad autorizzazione dell’AAMS la destinazione a scopi diversi da investimenti legati alle attività oggetto di concessione della extraprofittabilità generata in virtù dell’esercizio delle attività di gioco, e l’art. 1, comma 78, lettera b), punti 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25 e 26 che introducono ulteriori obblighi di trasmissione dati ed informazioni stabilendo nuove ipotesi di sanzioni, penali e cause di decadenza.

Con riguardo alle riferite norme, lamenta parte ricorrente l’irragionevolezza e la sproporzione dell’innalzamento dei requisiti previsti per il solo settore delle concessioni dei giochi pubblici, a fronte delle elevate garanzie che i concessionari sono chiamati a prestare, da cui conseguirebbe un ingessamento delle attività societarie ed un indebito condizionamento della libertà di impresa laddove la stessa viene sottoposta a verifiche dell’AAMS, mentre la sottoposizione delle operazioni societarie all’autorizzazione dell’AAMS costituirebbe un ingiustificato aggravamento procedimentale che ritarderebbe e comprimerebbe l’esercizio dell’attività di impresa, oltre che porsi in violazione con il principio di libera concorrenza.

In contrasto con i principi di libertà di stabilimento, di libera prestazione dei servizi e di libera circolazione di capitali, nonché con il principio di libero affidamento e di certezza del diritto, sarebbe inoltre, secondo parte ricorrente, la creazione di nuovi parametri di solidità economica aventi carattere vessatorio.

La verifica in ordine alla compatibilità delle contestate norme, sopra sinteticamente illustrate nel loro contenuto, con i principi del Trattato CE richiamati da parte ricorrente quali parametri di valutazione, transita attraverso la corretta ricognizione della valenza di tali principi coniugata con la portata delle norme introdotte con la legge di stabilità per l’anno 2011 e con le finalità alle stesse sottesa.

In tale direzione va precisato che le norme denunciate di contrasto con i principi comunitari di libertà di stabilimento, di libera concorrenza, di libera prestazione di servizi e di libera circolazione di capitali, ineriscono ad un particolare settore, ovvero quello dei giochi pubblici, rispetto al quale sussiste il monopolio statale, che è oggetto, secondo la legislazione vigente, di concessioni del servizio pubblico del gioco.

Secondo quanto affermato dalla Corte di Giustizia (causa C458/03, Parking Brixen; C260/04 sentenza del 13 settembre 2007), alle concessioni di servizi pubblici sono applicabili le disposizioni dettate dagli artt. 43 e 49 del Trattato CE, nonché il divieto di discriminazione per motivi di cittadinanza, che sono specifica espressione del principio della parità di trattamento.

In particolare, l’art. 43 del Trattato vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, stabilendo che la libertà di stabilimento comporta l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, la costituzione e la gestione di imprese, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini.

L’art. 49 del Trattato vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro e le restrizioni all’apertura di agenzie, succursali o filiali, affermando che la libertà di stabilimento implica l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini.

Tali norme vanno lette congiuntamente alle disposizioni recate dall’art. 45 del Trattato – che esclude dall’applicazione delle norme dedicate al diritto di stabilimento le attività che nello Stato membro partecipino anche occasionalmente all’esercizio di pubblici poteri – ed alle disposizioni dettate dall’art. 46 – che lasciano impregiudicata l’applicabilità delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che prevedono un regime particolare per i cittadini stranieri e che siano giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica.

Nell’assegnazione delle concessioni di servizi pubblici inerenti il gioco, ritiene la Corte di Giustizia che le autorità nazionali sono tenute ad osservare il divieto di discriminazione e il principio di trasparenza, attraverso la garanzia di un adeguato livello di pubblicità, che consenta l’apertura del mercato dei servizi alla concorrenza nonché il controllo sull’imparzialità dei procedimenti di aggiudicazione (sentenza 7 dicembre 2000, causa C324/98, Telaustria e Telefonadress), mentre le deroghe a tali principi, ammesse nei soli casi e per i motivi stabiliti dai citati artt. 45 e 46 del Trattato CE devono essere connotate dai caratteri di necessità e proporzionalità rispetto agli obiettivi perseguiti, altrimenti violandosi i principi del Trattato che impongono di aprire il mercato dei servizi alla concorrenza ed il divieto di discriminazione in base alla cittadinanza.

Il principio della parità di trattamento e il divieto di discriminazione in base alla cittadinanza si traducono, quindi, avuto riguardo alla materia della concessione di servizi pubblici, nell’obbligo di trasparenza che garantisca, a favore di ogni potenziale offerente, un adeguato livello di pubblicità che consenta l’apertura della concessione di servizi alla concorrenza, nonché il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione (citate sentenze Telaustria e Telefonadress e Parking Brixen).

Ancora, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, gli Stati membri sono liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in materia di giochi e, eventualmente, di definire con precisione il livello di protezione perseguito, fermo restando l’obbligo che le restrizioni che essi impongono soddisfino i requisiti della proporzionalità rispetto ai motivi imperativi di interesse generale perseguiti (sentenze 6 novembre 2003, causa C243/01, Gambelli e C359/04 e C360/04, Placanica).

Tra i motivi imperativi di interesse generale sono ricompresi gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione della frode e dell’incitazione dei cittadini ad una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale (sentenza Placanica citata).

Le concessioni di gioco pubblico, che costituiscono una species delle concessioni di servizi ed hanno ad oggetto una materia riservata allo Stato, possono dunque essere disciplinate in modo tale da perseguire prevalenti interessi pubblici e generali, di tutela dell’ordine pubblico, dei consumatori e della buona fede pur dovendo farsi ricadere nel raggio d’applicazione del Trattato UE e, in particolare, delle disposizioni che vietano qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità, di quelle relative alla libera circolazione delle merci, alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi, nonché ai principi espressi in via pretoria dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e, in particolare, quelli di non discriminazione, trasparenza, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità (parere del Consiglio di Stato, Sezione II, del 13 aprile 2011, affare 1264/2011).

Le pubbliche amministrazioni che stipulano contratti di concessione di pubblici servizi di gioco e scommessa sono, quindi, tenute a rispettare le norme fondamentali del Trattato e, segnatamente, gli articoli 43 e 49 CE e, in particolare, il divieto di discriminazione in base alla cittadinanza nonché il principio di parità di trattamento, che comportano un obbligo di trasparenza consistente nella garanzia, a favore di ogni potenziale offerente, di un adeguato livello di pubblicità che consenta l’apertura della concessione di servizi alla concorrenza, nonché il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione (Corte di Giustizia, 13 settembre 2007, C260/04, citata).

Deve, inoltre, evidenziarsi come il settore dei giochi pubblici, in ragione degli interessi coinvolti (obiettivi di ordine pubblico, di tutela dei consumatori, di prevenzione della frode), ma anche in considerazione del suo significativo valore economico, richiede che le dinamiche competitive si sviluppino ad opera di soggetti caratterizzati da onorabilità e solidità economicofinanziaria, in modo da prevenire l’esercizio delle attività di gioco per fini criminali o fraudolenti e tener conto dell’impatto del settore sulle entrate dello Stato.

Per come affermato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella segnalazione del 28 giugno 2007 resa nei confronti dell’AAMS, le eventuali restrizioni alla concorrenza non devono esorbitare quanto necessario al raggiungimento degli indicati scopi, dovendo comunque essere evitate posizioni dominanti, tenuto conto che il mercato dei giochi e delle scommesse è caratterizzato da importanti barriere all’ingresso di tipo amministrativo (necessità di ottenere un titolo per operare), ma anche di tipo tecnico (necessità di costituire una rete distributiva).

Ne consegue, secondo l’Autorità, che la concorrenza deve svilupparsi assicurando la competizione all’interno del mercato stesso (concorrenza nel mercato) e nella fase di ingresso al mercato (concorrenza per il mercato), e perciò da un lato, evitando di attribuire titoli ad operare in via esclusiva e, dall’altro, garantendo la contendibilità dei diversi giochi e scommesse, in occasione del rilascio di nuovi titoli e, in particolare, le condizioni di accesso non dovrebbero essere tali da favorire gli operatori già attivi sul mercato.

Quanto sin qui illustrato costituisce la cornice di riferimento nel cui ambito inquadrare ed esaminare la questione di incompatibilità con il Trattato CE dedotta da parte ricorrente con riferimento alle sopra illustrate norme della legge n. 220 del 2010.

Tali norme sono state adottate, per come espressamente affermato all’art. 1, comma 77, della stessa "Per assicurare un corretto equilibrio degli interessi pubblici e privati nell’ambito dell’organizzazione e della gestione dei giochi pubblici, tenuto conto del monopolio statale in materia di giochi…, nonché dei principi, anche dell’Unione europea, in materia di selezione concorrenziale validi per il settore, concorrendo altresì a consolidare i presupposti della migliore efficienza ed efficacia dell’azione di contrasto della diffusione del gioco irregolare o illegale in Italia, della tutela dei consumatori, in particolare minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei giochi" prevedendo a tal fine, l’avvio senza indugio, da parte del Ministero dell’economia e delle finanzeAAMS dell’ "’aggiornamento dello schematipo di convenzione accessiva alle concessioni per l’esercizio e la raccolta non a distanza, ovvero comunque attraverso rete fisica, dei giochi pubblici" orientando tale aggiornamento, per come precisato al successivo comma 78, in particolare all’obiettivo di selezionare concessionari per i quali viene prescritto il possesso di determinati requisiti (stabiliti alla lettera a)) nonché l’obbligo di sottoscrizione di convenzioni accessive alla concessione recanti clausole, condizioni e termini idonei ad assicurare il rispetto degli obblighi previsti alla lettera b).

L’adeguamento a taluni degli obblighi previsti dalla lettera b) dell’art. 1, comma 78, della legge n. 220 del 2010 deve, inoltre, avvenire, per come stabilito dal comma 79 del citato articolo, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, anche nei confronti dei soggetti concessionari ai quali sono già consentiti l’esercizio e la raccolta non a distanza dei giochi pubblici, i quali sono chiamati a sottoscrivere l’atto di integrazione della convenzione accessiva alla concessione occorrente per adeguarne i contenuti alle disposizioni ivi richiamate.

Vengono, dunque, con la legge in esame, introdotte disposizioni di principio inerenti i requisiti che i concessionari debbono possedere – sia quelli da selezionare in sede di procedura aperta, sia quelli con concessioni già in essere – al fine di rafforzare sia la solidità economicofinanziaria dei concessionari che i profili di onorabilità ed affidabilità, tenuto conto del rilevante valore economico delle attività connesse con il gioco, che impone di apprestare un efficace sistema di tutela per prevenirne l’esercizio in maniera fraudolenta o per fini criminali, nella considerazione della diffusione del gioco irregolare e del pericolo di infiltrazione della criminalità organizzata, nonché a tutela dei consumatori.

L’attività di raccolta di giochi, scommesse e concorsi pronostici, riservata ex lege allo Stato, in quanto integrante un servizio pubblico suscettibile di concessione a terzi, ben può, conseguentemente, conoscere limitazioni all’esercizio di impresa e di autorganizzazione imprenditoriale, nei ricordati limiti della ragionevolezza e proporzionalità e fermo restando il divieto di discriminazione, stante la preminenza degli interessi pubblici sottostanti.

Poste le riassunte premesse, sulla base dell’analisi della corretta portata delle norme di cui parte ricorrente assume il contrasto con i principi del Trattato CE, le stesse risultano volte al raggiungimento degli indicati scopi di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza e della tutela dei consumatori, assicurando un corretto equilibrio tra gli interessi pubblici e privati nell’ambito dell’organizzazione e della gestione dei giochi pubblici, trovando quindi giustificazione nei motivi imperativi di interesse generale indicati dalla Corte di Giustizia e sopra richiamati.

Né il livello di protezione apprestato dalle contestate norme risulta esorbitante o sproporzionato in relazione alla tutela di interessi sostanziali di carattere imperativo.

Parimenti non scalfiti risultano essere i principi di parità di trattamento e di divieto di discriminazione in base alla cittadinanza, non recando le contestate norme alcun limite all’accesso alle concessioni del servizio pubblico basato sull’appartenenza ad uno Stato e non creando alcuna posizione di favore o di sfavore nei confronti di appartenenti ad un determinato Stato.

L’innalzamento – per effetto delle contestate norme – dei requisiti richiesti per assumere e conservare la titolarità delle concessioni in questione e la previsione di più stringenti obblighi regolanti il relativo rapporto hanno difatti portata generalizzata, che in nessun modo attinge a profili condizionati dalla cittadinanza, risultando applicabili a tutti i soggetti appartenenti agli Stati membri, con conseguente salvezza del principio di parità di trattamento e di non discriminazione sulla base della cittadinanza, garantendo comunque tali norme la libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi, dovendo in proposito ricordarsi come, per quanto dianzi illustrato, tali principi possono comunque subire limitazioni in ragione di prevalenti esigenze imperative di interesse generale.

Aggiungasi che già la creazione di un’unica rete dei flussi informativi e finanziari rivenienti dalla gestione del gioco su cui far circolare tutti i dati corrisponde anche a una fondamentale esigenza di ordine pubblico volta a rendere possibile un rapido, agevole e trasparente controllo dell’Amministrazione sulla gestione del gioco, in vista dell’obiettivo di evitare ogni abuso o infiltrazione criminale nella gestione della raccolta del gioco stesso.

Esigenza questa connessa alla stessa logica del regime concessorio e autorizzatorio cui il gioco e le scommesse sono assoggettate nell’ordinamento italiano, e che più volte è stata ritenuta dalla giurisprudenza, nazionale ed europea, idonea a giustificare limitazioni alle libertà comunitarie da parte degli Stati membri (Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 ottobre 2005, n. 5203; Corte di Giustizia, sentenze 6 marzo 2007, cause riunite C338/04, C359/04 e C360/04 e 13 settembre 2007, causa C260/04, già citata).

La garanzia del pieno rispetto dei principi comunitari sulla concorrenza in materia di concessioni pubbliche statali generatrici di entrate erariali si traduce nel divieto di pratiche o di rapporti negoziali di natura commerciale con soggetti terzi non precedentemente previsti in forma espressa e regolati negli atti di gara, transitando il rispetto della libera concorrenza e della libera prestazione dei servizi, in materia di concessioni di servizi pubblici, attraverso la garanzia della pubblicità e della trasparenza che, con riguardo alle norme in esame, non vengono in alcun modo intaccati.

Deve, pertanto, escludersi che le contestate norme si pongano in contrasto con i ricordati principi di diritto comunitario sanciti dal Trattato CE, ricadendo le concessioni di pubblici servizi di gioco e scommessa nel raggio d’applicazione del Trattato UE avuto riguardo alle disposizioni che vietano qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità, a quelle relative alla libera circolazione delle merci, alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi, declinate nei principi di non discriminazione, trasparenza, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità.

Riconosciuta – contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente – la corrispondenza tra le previsioni recate dalle contestate norme con rilevanti interessi pubblici sottesi alle concessioni di pubblici esercizi di gioco e scommessa, il denunciato restringimento della soglia di accesso allo svolgimento delle attività concessorie non si pone in contrasto con i richiamati principi comunitari in quanto lo stesso prescinde dalla nazionalità dei soggetti selezionati o da selezionare, essendo i nuovi requisiti richiesti in ugual misura in capo a tutti i soggetti con i quali instaurare o proseguire un rapporto di tipo concessorio ed essendo i nuovi obblighi vincolanti per tutti i soggetti appartenenti agli Stati membri, cosicchè nessuna discriminazione viene perpetrata, né il restringimento della platea dei soggetti in possesso dei richiesti requisiti ed in grado di far fronte ai previsti obblighi regolanti il rapporto concessorio può ritenersi costituire una irragionevole limitazione della concorrenza, trovando tale innalzamento della soglia di idoneità ad assumere la veste di concessionario ampia e legittima giustificazione nei ricordati motivi di interesse pubblico, ritenuti dalla giurisprudenza comunitaria ampiamente idonei a fissare elevati livelli di protezione attraverso restrizioni proporzionali ai fini perseguiti.

Né, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, può ritenersi che, per effetto dell’introduzione di requisiti e di obblighi sconosciuti in ambito comunitario verrebbero sfavoriti i concessionari italiani, posto che il possesso dei requisiti richiesti va verificato, con riferimento a soggetti appartenenti ad altri Stati membri, sulla base dei criteri della corrispondenza ed equivalenza in condizioni di reciprocità, dovendo le stesse condizioni richieste ai soggetti italiani essere applicate anche ai soggetti stabiliti in altri Stati dell’Unione Europea.

Discende, dalle considerazioni sin qui illustrate, l’infondatezza della esaminata censura volta a lamentare il contrasto delle indicate norme recate dall’art. 1, comma 78, della legge n. 220 del 2010 con i principi del Trattato CE, per l’effetto non dovendo procedersi alla loro disapplicazione né ritenendo di dover proporre domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia della Comunità Europea.

2 – Sotto altro profilo, denuncia parte ricorrente, in via subordinata, l’illegittimità delle indicate norme per contrasto con gli artt. 3 e 41 della Costituzione, nella parte in cui introducono gravose prescrizioni per i soli concessionari del gioco legale, incidenti sul libero esercizio dell’attività di impresa ed ingiustificatamente restrittive della possibilità di accedere alla posizione di concessionario.

Tale censura può essere affrontata e decisa attraverso il richiamo delle considerazioni già sopra illustrate circa le finalità sottese alle contestate norme che, nell’escludere la sussistenza di profili di incompatibilità con i principi del Trattato CE, consentono al Collegio di negativamente delibare in ordine ai denunciati profili di illegittimità costituzionale delle contestate norme.

Va, inoltre, rilevato che l’art. 41 della Costituzione, nel garantire la libertà di iniziativa economica, stabilisce che essa deve armonizzarsi con fini di utilità sociali, nel cui ambito vanno collocate quelle restrizioni all’accesso a determinati settori per effetto della previsione di specifici requisiti, volte ad assicurare determinati livelli di affidabilità e di solidità economicofinanziaria dei soggetti che intrattengono rapporti con le Amministrazioni le quali sono chiamate a svolgere funzioni ed interventi di controllo in ragione delle specificità di determinati settori in cui sono coinvolti rilevanti interessi pubblici, senza che in ciò possa ravvisarsi compromissione della tutela costituzionale della libera iniziativa privata, giacché lo stesso art. 41 Cost. ammette la possibilità di limitare tale libertà onde contemperarla con l’utilità sociale e non compromettere la sicurezza pubblica, la libertà e la dignità umana.

La riserva statale in materia di giochi pubblici, che, come già illustrato, integra un servizio pubblico suscettibile di concessione a terzi, l’ingente valore economico del settore, i pericoli di abuso e di infiltrazione della criminalità organizzata nella gestione della raccolta del gioco, la necessità di tutela dei consumatori, nel costituire il fondamento del regime concessorio del settore, giustificano altresì le particolari restrizioni introdotte dalle norme di cui alla legge n. 220 del 2010 laddove prescrivono requisiti minimi per la partecipazione alla selezione dei concessionari declinandoli in varie tipologie, e determinano gli obblighi che gli stessi sono chiamati ad adempiere a seguito della sottoscrizione della relativa convenzione.

Le caratteristiche del settore impongono, più che consentire, la previsione di elevati livelli di affidabilità, di onorabilità e di solidità economicofinanziaria dei concessionari – tenuto anche conto dell’impatto del settore sulle entrate dello Stato – così trovando giustificazione quelle disposizioni che incidono, limitandola ai predetti fini, la possibilità di divenire concessionari del gioco pubblico anche attraverso prescrizioni che incidono, comprimendolo, sull’esercizio dell’attività di impresa al fine di renderla compatibile con gli interessi che si intendono perseguire attraverso la previsione di specifici requisiti ed obblighi dei concessionari.

Le norme di cui parte ricorrente lamenta l’illegittimità costituzionale rispondono all’esigenza di rafforzare i presupposti per la proficua gestione delle attività date in concessione e per tutelare – oltre che l’interesse patrimoniale dell’Amministrazione – gli interessi pubblici volti al contrasto degli abusi, del gioco illegale e dell’infiltrazione criminale, non potendo pertanto ravvisarsi alcuna irragionevole compromissione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. e soggetta ai ricordati limiti

La previsione di severi requisiti soggettivi delle società concessionarie e di obblighi da recepire nelle relative convenzioni, nel rispondere alle predette finalità di ordine pubblico nel rispetto dei criteri di ragionevolezza e proporzionalità, e nell’essere rivolta alla generalità dei possibili destinatari, non si traducono, pertanto, in una violazione dei principi di parità di trattamento e di libertà di iniziativa economica.

Quanto alla lamentata restrizione della platea dei soggetti aventi i requisiti per poter divenire concessionari ed in possesso della capacità di sostenere gli obblighi introdotti dalle denunciate norme di cui alla legge n. 220 del 2010, osserva il Collegio che tale conseguenza, discendente dall’innalzamento del livello dei requisiti e dalla maggiore onerosità degli obblighi da assumere in sede di convenzione di concessione, non si traduce in una violazione del richiamato principio di parità di trattamento e di libertà di concorrenza, consentendo la specificità del settore e gli interessi pubblici coinvolti le previste limitazioni all’accesso alla qualità di concessionario, conoscendo la libertà di iniziativa economica e i principi di libera concorrenza e di uguaglianza deroghe imposte da esigenze imperative di ordine pubblico purchè rispondenti ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità, che nella specie non risultano violati.

Ed invero, applicando le suindicate coordinate interpretative alle contestate norme, le relative previsioni manifestano la loro finalizzazione al perseguimento degli indicati interessi pubblici, prevalenti su quelli dei privati che aspirano a conservare od acquisire la posizione di concessionario.

In particolare, l’imposizione al concessionario, di cui al’art. 1, comma 78, lettera b) n. 4 della legge n. 220 del 2010, del mantenimento di un rapporto di indebitamento contenuto entro un determinato valore, stabilito dall’AAMS, risponde all’esigenza di assicurare una corretta e proficua gestione delle attività affidate in concessione attraverso la previsione di uno specifico requisito di solidità economicofinanziaria anche in relazione ai meccanismi di remunerazione del concessionario, analogamente a quanto avviene con riferimento all’imposizione, di cui all’art. 1, comma 78, lettera b) n. 5, della consegna all’AAMS, entro quindici giorni dalla loro approvazione, del bilancio d’esercizio e delle rendicontazioni contabili trimestrali, relative alla società concessionaria e a quella dalla stessa controllata, accompagnate da apposita relazione di certificazione redatta da una primaria società di revisione contabile, che consente altresì un controllo da parte dell’Amministrazione della situazione societaria, senza che la ragionevolezza di tale previsione possa venire intaccata dall’aggravio economico conseguente a tale adempimento, giustificato in ragione delle finalità perseguite.

Alle medesime finalità rispondono, inoltre, le previsioni di cui all’art. 1, comma 78, lettera b) n. 9 e n. 10.1 che impongono una patrimonializzazione idonea e quella contenuta al n. 10.3, che impone alla controllante di assicurare al concessionario i mezzi derivanti dalla convenzione di concessione.

Risponde, invece, all’esigenza di evitare abusi ed infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco pubblico la norma, di cui all’art. 1, comma 78, lettera b) n. 6, che introduce il divieto di finanziamenti o garanzie a favore di società collegate o controllate dal concessionario, mentre l’art. 1, comma 78, lettera b) n. 7, nel subordinare la distribuzione dei dividendi all’adempimento degli obblighi di investimento, mira a garantire l’efficienza del sistema di gestione affidato al concessionario, sul quale incombono, sulla base delle convenzioni accessive alla convenzione, specifici obblighi di investimento volti a rendere efficiente il servizio, trovando la limitazione della libertà di scelta imprenditoriale adeguata giustificazione nelle finalità perseguite.

Alla necessità di esercitare nel settore della gestione del gioco un efficace controllo – connessa alla stessa logica del regime concessorio – al fine di tutelare le esigenze di ordine pubblico già ricordate, risponde la sottoposizione all’autorizzazione dell’AAMS, di cui all’art. 1, comma 78, lettera b) n. 8, delle operazioni imprenditoriali di fusione, scissione, trasferimento dell’azienda, mutamento di sede sociale o di oggetto sociale, scioglimento della società.

Sempre nelle medesime finalità risiede la giustificazione delle previsioni recate dall’art. 1, comma 78, lettera b), punto 9, che sottopone ad autorizzazione preventiva dell’AAMS le operazioni di trasferimento delle partecipazioni, anche di controllo, detenute dal concessionario suscettibili di comportare, nell’esercizio in cui si perfeziona l’operazione, una riduzione dell’indice di solidità patrimoniale, e ci cui al n. 17, che sottopone ad autorizzazione dell’AAMS la destinazione a scopi diversi da investimenti legati alle attività oggetto di concessione della extraprofittabilità generata in virtù dell’esercizio delle attività di gioco.

Alle ricordate finalità di controllo, strettamente connesse con gli interessi pubblici e di tutela dell’ordine pubblico, rispondono le norme contenute nell’art. 1, comma 78, lettera b), punti 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25 e 26 che introducono obblighi di trasmissione di dati ed informazioni introducendo sanzioni, penali e cause di decadenza.

Trattasi di previsioni che, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, trovano specifica rispondenza in dichiarati scopi di preminente interesse pubblico cui risulta funzionale l’innalzamento dei requisiti per l’accesso al settore delle concessioni dei giochi pubblici e la previsione di specifici obblighi, in virtù dell’ingente rilievo economico dello stesso e dei pericoli di infiltrazione criminale, estraneo ad altri settori soggetti al regime concessorio.

Né, per le considerazioni sopra illustrate – e non potendo non rilevarsi una certa genericità delle censure proposte in modo quasi seriale avverso le contestate norme – l’innalzamento dei requisiti e la previsione di stringenti obblighi risultano affetti da irragionevolezza o sproporzionati rispetto alle finalità perseguite.

Quanto all’affermato condizionamento dell’attività di impresa alle verifiche ed autorizzazioni dell’AAMS, con conseguente aggravio procedimentale e limitazione della libertà di impresa e del principio di libera concorrenza, le stesse trovano la propria ragion d’essere nella necessità della sottoposizione del settore delle concessioni dei giochi pubblici a rigorosi controlli e barriere all’ingresso stante la rilevanza e delicatezza degli interessi pubblici coinvolti.

Non può, inoltre, tradursi in un profilo di illegittimità costituzionale la rappresentata difficoltà, per la società ricorrente, di raggiungimento e di mantenimento dei previsti requisiti, rispondendo l’introduzione di nuovi parametri di solidità economica all’interesse primario all’affidamento della concessione a soggetti che rendano idonee garanzie, non riconducibili alla mera prestazione di fideiussioni.

Quanto alla denunciata violazione dei principi di affidamento e di certezza del diritto, per avere la società ricorrente aderito alla facoltà, di cui al decreto legge n. 39 del 2009 (cd. decreto Abruzzo), convertito in legge con legge n. 77 del 2009, riconosciuta agli operatori del settore concessionari di AAMS, consistente nell’attivazione della sperimentazione ed avvio a regime di sistemi di gioco costituiti dal controllo remoto del gioco attraverso videoterminali a fronte della possibilità di ottenere, per come previsto dall’art. 21, comma 7, del Decreto legge n. 78 del 2009, nell’ambito delle procedure di rinnovo delle concessioni, il diritto alla prosecuzione delle concessioni senza soluzione di continuità, osserva il Collegio come il richiamato art. 1, comma 7, prevede, per garantire l’esito positivo della concreta sperimentazione e dell’avvio a regime di sistemi di gioco costituiti dal controllo remoto del gioco attraverso videoterminali di cui al cd. decreto legge Abruzzo, l’indizione delle procedure occorrenti per un nuovo affidamento in concessione della rete per la gestione telematica del gioco, stabilendo l’affidamento della concessione agli attuali concessionari che ne abbiano fatto richiesta entro il 20 novembre 2009 e che siano stati autorizzati all’installazione dei videoterminali, con conseguente prosecuzione della stessa senza alcuna soluzione di continuità.

Il descritto quadro normativo ha trovato applicazione nell’epoca di vigenza dello stesso anche nei confronti della ricorrente, la quale si è avvalsa delle relative previsioni, senza che possa tuttavia ritenersi l’insorgenza, sulla base delle indicate previsioni, per come sembra presupporre parte ricorrente, di un diritto al rinnovo ex lege dell’affidamento sulla base dei soli requisiti all’epoca previsti, da ritenere immodificabili, contrastando tale ricostruzione con i principi fondamentali dell’ordinamento nazionale e comunitario, avuto particolare riguardo a quelli che governano le procedure di affidamento dei servizi pubblici che, come già dianzi illustrato, debbono avvenire nel rispetto dei principi di non discriminazione, di pubblicità e di trasparenza.

Peraltro, la citata sentenza della Corte di Giustizia del 13 settembre 2007 C260/04 ha accertato la violazione degli artt. 43 CE e 49 CE da parte dello Stato Italiano in occasione del rinnovo di 329 concessioni per l’esercizio delle scommesse ippiche senza previa gara di appalto, mentre la Commissione Europea ha aperto una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia in relazione alla proroga fino al 31 dicembre 2011 della concessione di servizi di raccolta di gioco tramite apparecchi.

La norma invocata da parte ricorrente va, pertanto, correttamente interpretata secondo una lettura orientata a renderla compatibile con il contesto comunitario, per cui nessun legittimo affidamento può ritenersi essere insorto in capo alla società ricorrente in ordine al mantenimento della concessione sulla base dei requisiti previsti al momento dell’affidamento.

3 – Negativamente delibate le questioni inerenti il denunciato contrasto delle norme della legge n. 220 del 2010, sopra illustrate, con i principi comunitari e con gli artt. 3 e 41 della Costituzione, deve procedersi alla disamina delle censure con cui parte ricorrente lamenta l’illegittimità dei gravati provvedimenti adottati dall’AAMS per violazione dell’art. 1, comma 79, della legge n. 220 del 2010, laddove pretendono di dare immediata applicazione alle convenzioni in corso anche alle previsioni inerenti requisiti di capacità economicofinanziaria, obblighi e parametri che sono dalla stessa legge esclusi dall’ambito di immediata applicazione ai rapporti in essere, con conseguente violazione del regime transitorio previsto dalla citata norma, in tal modo alterando l’equilibrio delle convenzioni.

L’art. 1, comma 79, della legge n. 220 del 2010, dispone che "Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i soggetti concessionari ai quali sono già consentiti l’esercizio e la raccolta non a distanza dei giochi pubblici sottoscrivono l’atto di integrazione della convenzione accessiva alla concessione occorrente per adeguarne i contenuti ai principi di cui al comma 78, lettera b), numeri 4), 5), 7), 8), 9), 13), 14), 17), 19), 20), 21), 22), 23, 24), 25) e 26)".

Nel riportarsi al regime transitorio come introdotto dalla citata norma, afferma parte ricorrente, con riferimento al gravato decreto interdirigenziale del 28 giugno 2011, che, alla luce delle previsioni suscettibili di immediata applicazione ai rapporti concessori in essere, risulterebbero illegittimi gli artt. 4, 5, 6, 7, 8 e 10 del decreto relativi ai requisiti di solidità patrimoniale, agli indici di elasticità dell’attivo e del passivo, all’indice di copertura delle immobilizzazioni, all’indice di autonomia finanziaria e all’idonea patrimonializzazione del soggetto controllante.

Osserva in proposito il Collegio che, ferma restando la ricostruzione di parte ricorrente circa l’individuazione delle norme suscettibili di immediata applicazione ai sensi del comma 79 dell’art. 1 della legge n. 220 del 2010, non risultano chiare le ragioni per cui i contestati articoli del gravato decreto contrasterebbero con la portata del citato comma, né parte ricorrente specifica i profili di estraneità delle previsioni in essi recate con le disposizioni legislative di immediata applicazione.

Inoltre, per come già dianzi illustrato, il gravato decreto interdirigenziale del 28 giugno 2011 reca "Determinazione dei requisiti di solidità patrimoniale, del quadro informativo minimo dei dati economici, finanziari, tecnici e gestionali delle società concessionarie del gioco a distanza e dei requisiti di affidabilità, onorabilità, professionalità e indipendenza posseduti dagli amministratori, dal presidente e dai procuratori delle società stesse" in attuazione delle disposizioni dettate dalla legge 13 dicembre 2010 n. 220, richiamando espressamente, nelle premesse, l’art. 1, commi 77, 78, 79 e 80 della citata legge n. 220 del 2010, cui intende dare attuazione.

Il gravato decreto interdirigenziale, avente valore genrale, traduce, quindi, in previsioni di dettaglio quelle recate dalla legge di stabilità, offrendo un preciso e puntuale quadro definitorio dei requisiti e degli obblighi applicabili alle società concessionarie del gioco pubblico, senza che risulti in alcun modo l’immediata applicabilità ai rapporti in essere delle norme di cui gli artt. 4, 5, 6, 7, 8 e 10 del decreto stesso, con conseguente infondatezza della esaminata censura di asserita violazione del regime transitorio.

Analoghe censure di contrasto con il regime transitorio stabilito dalla legge di stabilità per l’anno 2011 deduce parte ricorrente avverso lo schema di atto integrativo della convenzione di concessione, avuto riguardo agli articoli 5.2, 6, 8, 8.3, 8.4 e 12 che rispecchierebbero previsioni di legge circa la solidità patrimoniale che la legge avrebbe invece escluso dalla applicazione immediata alle vigenti convenzioni di concessione.

In via preliminare, al fine di correttamente delimitare la portata della decisione che il Collegio è chiamato ad adottare, deve evidenziarsi che tale schema integrativo della convenzione è stato dalla resistente Amministrazione inviato alla società ricorrente ai fini della sua sottoscrizione, così conformando alle previsioni ivi contenute la concessione in essere.

Precisato come il gravato schema sia destinato ad essere applicato anche alle nuove convenzioni, è di tutta evidenza che le censure sollevate da parte ricorrente, con le quali viene lamentata l’immediata applicazione alle vigenti concessioni – per il tramite della richiesta di sottoscrizione del gravato schema – di norme invece sottratte a tale applicazione, siano rivolte avverso tale specifico ambito di operatività dello schema e come tali devono essere riguardate e decise.

Ne consegue che eventuali profili di illegittimità delle disposizioni dello schema integrativo, in quanto riferiti e parametrati al mancato rispetto del regime transitorio stabilito dal comma 79 dell’art. 1 della legge n. 220 del 2010, non avrà generale portata caducante delle stesse, ma unicamente efficacia caducante dello schema in quanto atto di cui viene richiesta la sottoscrizione da parte della società ricorrente al fine di adeguare la vigente convenzione di concessione alle previsioni dettate dalla legge di stabilità per l’anno 2011.

Tanto chiarito, e procedendo all’esame delle contestate norme, l’art. 5.2 del gravato schema, intitolato ai mutamenti soggettivi del concessionario, subordina l’autorizzazione dell’AAMS alla valutazione del rispetto anche dei requisiti di solidità patrimoniale, del rapporto di indebitamento e di idonea patrimonializzazione come definiti con il decreto interdirigenziale del 28 giugno 2011.

Osserva al riguardo il Collegio come il rispetto dei requisiti di solidità patrimoniale, previsti dall’art. 1, comma 78, lettera a), n. 4 e l’idonea patrimonializzazione, di cui all’art. 1, comma 78, lettera b), n. 10.1, siano estranei all’obbligo di adeguamento delle concessioni in essere previsto dal comma 79 del citato articolo.

Peraltro, il citato articolo fa espresso riferimento ai requisiti di solidità patrimoniale e di idonea patrimonializzazione come stabiliti dal decreto interdirigenziale del 28 giugno 2011 in attuazione dell’art. 1, comma 78, lettera b), n. 4 – di immediata applicazione – che prevede il mantenimento, per l’intera durata della concessione, del rapporto di indebitamento entro un determinato valore.

Pur a fronte del corretto riferimento, nel gravato schema, alla norma di immediata applicazione recata dalla legge n. 220 del 2011, rileva tuttavia il Collegio come al rapporto di indebitamento – costituente un obbligo del concessionario – non possono essere ricondotti anche i requisiti di solidità patrimoniale e l’idonea patrimonializzazione, espressamente previsti da norme sottratte all’applicazione alle concessioni in essere, con conseguente fondatezza delle esaminata censura ai fini sopra illustrati.

Analoghe considerazioni devono essere svolte con riferimento all’art. 6 dello schema di convenzione, intitolato all’indice di solidità patrimoniale, che contiene anch’esso il riferimento l’art. 1, comma 78, lettera b), n. 4 di immediata applicazione, disciplinando tuttavia requisiti di solidità patrimoniale che, previsti dalla lettera a), n. 4, del comma 79 dell’art. 1 della legge n. 220 del 2010, sono sottratti, ai sensi del comma 79, all’obbligo di adeguamento delle concessioni in atto, dovendo pertanto accogliersi il corrispondente profilo di censura sollevato.

Merita parimenti accoglimento, per le medesime considerazioni sopra illustrate e ai limitati fini sopra indicati, la censura con cui parte ricorrente lamenta l’illegittimo riferimento, all’art. 8.1 del gravato schema – intitolato alla extraprofittabilità – ai requisiti di solidità patrimoniale che, come evidenziato, sono sottratti dalla immediata applicazione alle concessioni in essere.

Deve, invece, essere disattesa la doglianza volta a censurare l’art. 8, punto 3, del gravato schema, laddove prescrive, ai fini dell’autorizzazione da parte dell’AAMS, la presentazione di documentazione attestante l’extraprofittabilità certificata da una primaria società di revisione contabile, trovando tale previsione corrispondenza nell’art. 1, comma 78, lettera b), n. 5, di immediata applicazione.

Quanto all’articolo 8, punto 4, il riferimento ai requisiti di solidità patrimoniale trova le ragioni della propria illegittimità nelle considerazioni sopra illustrate in ordine alla non immediata applicabilità della previsione di cui all’art. 1, comma 78, lettera a) n. 4 che li disciplina, dovendo accogliersi il corrispondente profilo di censura.

Avuto riguardo all’art. 12 dello schema integrativo, con cui viene disciplinato il procedimento di decadenza dalla concessione, non può trovare immediata applicazione la disposizione di cui al comma 2, lettera c), che fa riferimento all’indice di solidità patrimoniale, nonché quella di cui alla lettera d) che nel rinviare all’art. 8, comma 1, richiama ancora una volta i requisiti di solidità patrimoniale insuscettibili di immediata applicazione alle convenzioni in essere, e ciò in ragione delle considerazioni sopra illustrate.

Consegue, da quanto sin qui esposto, che non possono trovare applicazione ai rapporti concessori in essere le disposizioni dello schema integrativo della convenzione di concessione di cui è stata rilevata l’illegittimità in quanto volte a dare immediata applicazione a norme che invece sfuggono, per espressa previsione del comma 79, dall’obbligo di darvi immediata applicazione, non potendo tali norme essere inserite, stante l’assenza di un valido fondamento normativo, nella disciplina dei rapporti concessori già instaurati.

4 – Sotto un ulteriore profilo, denuncia parte ricorrente l’irragionevolezza del decreto interdirigenziale del 28 giugno 2011 nella parte in cui introduce requisiti di solidità patrimoniale sproporzionati ed impraticabili dagli attuali concessionari.

Tali censure vengono sinteticamente ed in modo piuttosto ripetitivo dirette avverso gli artt. 8, 9, 1, 2, 3, 4,5,6, 7, 10, 11, e 12 del gravato decreto interdirigenziale.

I dedotti profili di illogicità e sproporzione delle contestate previsioni del decreto devono essere rigettati laddove fanno riferimento, quale parametro di denunciata illegittimità, alle difficoltà per la società ricorrente, indebitatasi con il sistema bancario per far fronte agli investimenti imposti nell’ambito del rapporto concessorio, a soddisfare i previsti requisiti ed obblighi, trattandosi di circostanza di mero fatto che non può in alcun modo tradursi in profili di illegittimità delle previsioni che hanno introdotto tali prescrizioni.

Deve, inoltre, rilevarsi, con carattere assorbente di molte delle questioni sollevate, che le disposizioni introdotte dal gravato decreto interdirigenziale costituiscono precisa attuazione delle norme dettate dalla legge n. 220 del 2010, della cui conformità ai principi del Trattato CE e della Costituzione si è già dato atto, non potendo pertanto essere nuovamente sollevate avverso tale decreto profili di violazione dei principi di libera concorrenza, di parità di trattamento, di libertà di circolazione di beni e servizi, di libertà di impresa, che sono già stati esaminati con riferimento alle norme primarie di cui le disposizioni dettate dal decreto interdirigenziale impugnato costituiscono mera attuazione.

In applicazione delle superiori coordinate che devono guidare la disamina delle censure proposte, deve ritenersi l’infondatezza delle dedotta illegittimità dell’art. 8 del gravato decreto, argomentata sull’assunto che il previsto rapporto tra passività fisse e capitale netto non superiore a 0,8, sarebbe irraggiungibile dalla ricorrente nell’esercizio in corso stante l’indebitamento dalla stessa operato per far fronte all’acquisto di diritti di installazione VLT, non potendo le difficoltà della ricorrente a raggiungere il previsto requisito ridondare in un vizio di illegittimità della disposizione. Quanto, invece, all’asserito contrasto della previsione di tale indice con le regole sottese alla vantaggiosità e redditività degli investimenti volte allo sviluppo dell’impresa, trattasi di affermazione generica ed apodittica da cui, peraltro, non è possibile desumere profili di erroneità o irragionevolezza, aventi giuridica rilevanza, inficianti la contestata previsione. Con riferimento all’asserita violazione dei principi di libertà di impresa e di libera concorrenza, come già dianzi ampiamente illustrato, l’introduzione di requisiti di solidità e stabilità economicofinanziaria non costituisce, di per sé, violazione di tali principi, trovando essa ampia giustificazione nelle esigenze di tutela di prevalenti interessi pubblici che tali restrizioni consentono.

Avuto riguardo alla norma di cui all’art. 9 del gravato decreto, di cui parte ricorrente lamenta l’irragionevolezza ed illogicità nella parte in cui fa riferimento ad un indice numerico con riguardo al rapporto di indebitamento senza alcuna valutazione qualitativa sulle condizioni di impresa e senza alcun riferimento ai principi contabili internazionali, osserva il Collegio che, ferma la discrezionalità del legislatore nel disciplinare una determinata materia e dell’Amministrazione, chiamata a dare attuazione a norme di rango primario, risponde ad esigenze di certezza del diritto e di parità di trattamento la previsione astratta di un indice uguale per tutti, laddove una parametrazione del rapporto di indebitamento alle condizioni dell’impresa previa valutazione qualitativa della stessa si porrebbe in contrasto, oltre che con i predetti principi, anche con quello di buon andamento dell’azione amministrativa, sottoponendo tale indice a criteri incerti ed indeterminati con correlativo aggravamento procedimentale.

Prive di pregio risultano essere le contestazioni mosse da parte ricorrente avverso il nomenclatore recato dall’art. 1 del gravato decreto, laddove offre la definizione delle attività correnti e delle passività fisse, quest’ultima in asserito contrasto con l’art. 9.2 del medesimo decreto, trattandosi di definizioni aventi carattere descrittivo utili ai fini della individuazione della esatta portata delle norme recate dal decreto, evitando problemi di tipo interpretativo, mentre nessun contrasto con l’art. 9, comma 2, può essere riscontrato con riferimento alla definizione delle passività correnti, che una volta definite nel loro significato quali debiti che si prevede di ripagare entro l’anno, ben possono essere diversamente disciplinate in relazione a determinati ambiti, come avviene, ai sensi del citato art. 9, comma 2, con riferimento al computo del rapporto di indebitamento nei casi in cui la società concessionaria sia controllata da atra società, in cui eventuali passività correnti dovute a debiti per finanziamenti infruttiferi ricevuti dal socio di maggioranza possono non essere computate nella posizione finanziaria netta.

Avuto riguardo alla previsione di cui all’art. 2 del gravato decreto, che riconduce l’individuazione dei requisiti di solidità patrimoniale alle grandezze contabili indicate nei bilanci di esercizio, le difficoltà evidenziate da parte ricorrente circa la correzione gestionale entro ristretti limiti temporali, applicandosi tale norma successivamente al primo trimestre dell’esercizio in corso, non è suscettibile di invalidare detta previsione.

Analogamente, non può ritenersi integrare un vizio di illegittimità della norma di cui all’art. 3 del gravato decreto, che disciplina il quadro informativo minimo dei dati economici, finanziari, tecnici e gestionali delle concessionarie, la dedotta indeterminatezza del momento della trasmissione dei dati, in disparte profili inerenti l’interesse alla proposizione della relativa censura.

Quanto alla censura con cui parte ricorrente contesta gli artt. 4, 5, 6 e 7 del gravato decreto stante il carattere penalizzante delle previste modalità di verifica del rispetto dei parametri economici e patrimoniali, che non terrebbero conto delle onerose fideiussioni bancarie prestate dai concessionari, osserva il Collegio come tali articoli rechino dei criteri di valutazione di carattere contabile e tecnico, la cui fissazione, rimessa alla discrezionalità tecnica dell’Amministrazione – come tale sindacabile in presenza di profili di erroneità o di macroscopici vizi della funzione – non appare censurabile, non trovando le doglianze di parte ricorrente corrispondenza in ammissibili profili di censura.

Risponde alla logica sottesa alla disciplina introdotta con la legge n. 220 del 2010 – di cui sopra si è dato ampiamente atto – la previsione di cui all’art. 10 del gravato decreto che impone alla società controllante un bilancio certificato ed una particolare patrimonializzazione in virtù della detenzione di quote di capitale in altra società di capitali, non potendo quindi tale norma ritenersi ingiustificatamente lesiva della libertà di impresa.

Analoghe considerazioni valgono per la censura proposta avverso l’art. 12 del gravato decreto che impedisce alle società la scelta dell’amministratore e del procuratore tra i soggetti che non abbiano maturato il previsto requisito del biennio di esperienza.

Funzionale all’esigenza di garantire uno stringente controllo sulle società che gestiscono i giochi pubblici risulta essere l’art. 11 del gravato decreto, che sottopone ad autorizzazione dell’AAMS la gestione societaria dei concessionari.

Consegue da quanto illustrato l’infondatezza delle censure con le quali parte ricorrente lamenta il carattere illogico, sproporzionato ed il contrasto con i principi comunitari in tema di libertà di impresa e di concorrenza, delle esaminate norme del gravato decreto interdirigenziale.

Parte ricorrente articola, inoltre, un analogo excursus delle norme contenute nello schema di atto integrativo della convenzione di concessione lamentando – con invero forse eccessivamente sintetiche e quasi seriali censure – come alcune di esse siano arbitrariamente ed illogicamente esorbitanti rispetto a quelle previste dalla legge di stabilità per il 2011.

Procedendo al loro esame ed avuto riguardo all’art. 4, lettera b) dello schema, che prescrive la certificazione del bilancio da primaria società di revisione contabile, con rendicontazioni contabili certificate trimestrali anche per le società controllate ed all’8, comma 3, che subordina l’autorizzazione ad effettuare investimenti in settori diversi alla certificazione da primaria società di revisione contabile della extraprofittabilità, le censure con cui parte ricorrente lamenta come tali previsioni ricalcherebbero l’incostituzionalità delle norme di legge di riferimento, trovano le ragioni della loro infondatezza nelle considerazioni sopra espresse con riguardo alla delibazione in ordine all’assenza dei denunciati profili di incostituzionalità delle contestate norme.

Con riferimento all’art. 9 dello schema integrativo relativo alla trasmissione dei dati di gioco, che fa riferimento al decreto direttoriale del 30 giugno 2011 – anch’esso impugnato – sostiene parte ricorrente come tali norme introdurrebbero un aggravio ulteriore rispetto alle previsioni di cui all’art. 1, comma 78, lettera b) n. 19 della legge n. 220 del 2010, imponendo una vera e propria attività di monitoraggio ed elaborazione dati estranea agli obblighi assunti dal concessionario ed unilateralmente imposta, che richiede l’organizzazione di una costosa struttura ah hoc, irragionevolmente travalicando la norma di riferimento.

Osserva in proposito il Collegio come la puntuale indicazione delle informazioni, dei dati e delle contabilità da inviare in via telematica all’AAMS costituisca una specificazione dell’obbligo previsto dall’art. 1, comma 78, lettera b) della legge di stabilità per l’anno 2011, e ciò conformemente alla natura della disciplina di dettaglio recata dal gravato decreto direttoriale, che non risulta esorbitante rispetto alle finalità sottese all’acquisizione, prevista da norma di rango primario, dei dati relativi all’attività di gioco, demandando tale norma la loro specificazione, appunto, ad un decreto direttoriale.

Né può assumere rilevanza, a fronte dell’interesse sotteso all’acquisizione delle previste informazioni – che risulta essere funzionale alla possibilità di esercizio da parte dell’AAMS di un controllo efficace, puntuale e tempestivo sull’attività di gioco, che trova giustificazione nella delicatezza del settore anche in ragione degli ingenti valori economici allo stesso sottesi ed alla sua suscettibilità ad infiltrazioni criminali – la circostanza che gli obblighi imposti a tal fine ai concessionari rivestano natura onerosa in termini di organizzazione della raccolta delle informazioni, trovando tale imposizione ragionevole giustificazione alla luce degli interessi coinvolti.

Censura, inoltre, parte ricorrente l’introduzione, con gli artt. 11 e 12 del gravato schema, di nuove sanzioni e nuove clausole di decadenza, rappresentando come l’art. 2, comma 2, del decreto legge n. 40 del 2010, convertito in legge con legge n. 73 del 2010, richiamato quale fonte normativa di tali disposizioni, non autorizzi l’inserimento di nuove ipotesi di decadenza, con conseguenza carenza di potere dell’AAMS.

Dispone il citato art. 2, al comma 2, che "… Le amministrazioni statali concedenti, attraverso adeguamenti convenzionali ovvero l’adozione di carte dei servizi, ivi incluse quelle relative alle reti fisiche di raccolta del gioco, assicurano l’effettività di clausole idonee a garantire l’introduzione di sanzioni patrimoniali, nel rispetto dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e non automaticità, a fronte di casi di inadempimento delle clausole della convenzione imputabile al concessionario, anche a titolo di colpa, la graduazione di tali sanzioni in funzione della gravità dell’inadempimento, nonché riduzione di meccanismi tesi alla migliore realizzazione del principio di effettività della clausola di decadenza dalla concessione, oltre che di maggiore efficienza, efficacia ed economicità del relativo procedimento nel rispetto del principio di partecipazione e del contraddittorio."

Se in tale norma deve rinvenirsi la fonte del potere per l’Amministrazione di prevedere clausole che introducono sanzioni patrimoniali a fronte di casi di inadempimento delle clausole della convenzione imputabile al concessionario, deve rilevarsi come gli artt. 11 e 12 del gravato schema di atto integrativo prevedano l’irrogazione di sanzioni con riferimento alla violazione delle prescrizioni e degli obblighi introdotti dal comma 78 dell’art. 1 della legge n. 220 del 2010, graduando tali sanzioni in relazione alla gravità dell’inadempimento, con previsione della sanzione della decadenza dalla concessione nelle ipotesi più gravi, nel rispetto del principio di proporzionalità.

Tali previsioni si completano con quelle recate dall’art. 2, comma 2, del decreto legge n. 40 del 2010, con la conseguenza che le sanzioni ivi previste devono essere applicate in esito ad un procedimento svolto nel contraddittorio con le parti, previo accertamento della violazione, nel rispetto delle prerogative difensive, con determinazione della sanzione da applicare sulla base delle risultanze procedimentali, per cui nessuna automaticità nell’applicazione delle sanzioni è rinvenibile alla luce della complessiva disciplina dettata in materia, né risultano violati i principi di proporzionalità ed adeguatezza della sanzione, imposti dalla norma primaria che completa la disciplina dettata dal gravato schema integrativo.

Il richiamo, di cui al citato art. 2, comma 2, al principio di partecipazione e del contraddittorio non si traduce, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, nella negoziazione con i concessionari della stipula e del contenuto dell’atto integrativo della convenzione di concessione, ripetendo tale atto i propri contenuti dalla disciplina, anche di dettaglio, recata dal complesso di norme che governano la materia, mentre il vincolo del rispetto dei predetti principi è rivolto, con ogni evidenza, al procedimento accertativo dell’inadempimento volto all’eventuale applicazione della sanzione da parametrare alla gravità della stessa.

Parimenti infondata deve ritenersi la censura con cui parte ricorrente lamenta l’intervenuta violazione dei principi del giusto procedimento, di partecipazione e del contraddittorio per non essere stata coinvolta nella predisposizione del gravato decreto con il quale sono stati fissati i requisiti di patrimonialità, impedendole di fornire un apporto partecipativo pur essendo il maggior concessionario italiano e pur dandosi atto, nella nota dell’AAMS del 5 agosto 2011, che lo stesso è stato emanato dopo appropriati confronti.

Al riguardo, è sufficiente osservare come non sia rinvenibile, nella normativa di riferimento, alcun obbligo di previa consultazione dei maggiori concessionari al fine di adottare atti di regolamentazione secondaria in attuazione di norme primarie, non essendo previsto in tale settore, a differenza di quanto avviene per le Autorità indipendenti di regolazione, alcuna procedura di notice and comment da parte degli operatori interessati ed avendo comunque l’Amministrazione acquisito il contributo delle associazioni di categoria.

Con un ultimo motivo di censura, lamenta parte ricorrente l’intervenuta violazione delle finalità del cd. decreto Abruzzo convertito in legge con legge n. 77 del 2009, nonché la violazione e la contraddittorietà dei gravati atti con il decreto direttoriale AAMS del 15 settembre 2009.

Al riguardo, ricorda parte ricorrente di aver approntato onerose fideiussioni bancarie a garanzia dei propri obblighi di concessionaria e di aver investito 180 milioni di euro per prenotare 11.953 autorizzazioni alla concessione di videoterminali di cui al decreto Abruzzo facendo affidamento sulla prosecuzione dell’attività senza soluzioni di continuità, come previsto dal decreto Abruzzo e dal decreto direttoriale del 15 settembre 2009, alle medesime condizioni contrattuali fatto salvo unicamente il mantenimento dei requisiti soggettivi di partecipazione alla procedura aperta a tutti i concessionari, impegnando tutte le sue risorse.

Lamenta, pertanto, l’aggravamento, per effetto dei gravati atti, delle condizioni per la prosecuzione del regime concessorio anche sotto il profilo dell’equilibrio sinallagmatico contrattuale attraverso l’innalzamento dei requisiti di capacità patrimoniale da applicare anche alla futura gara, con introduzione di previsioni sproporzionate immediatamente applicabili che violerebbero il principio del legittimo affidamento.

Tale censura è in parte ripetitiva di analoga doglianza già precedentemente esaminata, cosicchè, nel doversi rinviare a quanto già innanzi esposto circa l’assenza di un regime preferenziale garantito alla ricorrente sulla base della previgente normativa, va ulteriormente rilevato che la normativa richiamata da parte ricorrente deve intendersi superata per effetto delle norme sopravvenute che hanno impresso un nuovo assetto al regime concessorio in materia di giochi pubblici, introducendo requisiti ed obblighi ritenuti maggiormente idonei ad assicurare il perseguimento di quegli interessi pubblici, ivi compresi quelli di ordine pubblico, più volte ricordati come intimamente connessi con il settore dei giochi.

Se non vi è dubbio che la normativa primaria sopravvenuta abbia introdotto condizioni del rapporto concessorio più severe e stringenti, tuttavia ciò non si traduce – stante la rilevata conformità della stessa ai principi comunitari e a quelli costituzionali – in profili di illegittimità dei relativi atti applicativi, non potendo l’innalzamento dei requisiti e la previsioni di più stringenti obblighi che devono conformare il rapporto concessorio assumere valenza inficiante gli stessi.

All’intero ricorso è invero sottesa una medesima trama argomentativa che, nel far leva sugli impegni economici e finanziari assunti dalla ricorrente, tramuta in vizi di illegittimità dei gravati atti le negative ricadute che la stessa subisce per effetto della contestata previsione di nuovi obblighi concessori e dell’innalzamento dei requisiti, che inciderebbero, squilibrandolo, sul sinallagma del rapporto concessorio.

Tuttavia tali ricadute costituiscono meri dati di fatto inidonei a tradursi in profili di illegittimità dei gravati atti, tenuto conto che le scelte della ricorrente in ordine all’acquisizione di diritti di installazione di videoterminali sono state dalla stessa liberamente assunte a fronte della sola garanzia ammissibile consistente nella prosecuzione nelle relative attività in caso di aggiudicazione in esito alla procedura di selezione da avviare, al fine di garantire la continuità del sistema.

Giova, peraltro, ricordare che nelle convenzioni di concessione è prevista una clausola generale di rinvio ad atti integrativi che dovessero rendersi necessari per sopravvenute norme di legge e regolamentazione tecnica del settore.

Nessun fondamento può dunque trovare la pretesa di parte ricorrente al proseguimento della concessione alle medesime condizioni stabilite sotto la vigenza della precedente normativa alla sola condizione del mantenimento dei requisiti originariamente previsti, essendo le concessioni in tale specifico settore suscettibili di modifica e di aggiornamento sulla base della normativa sopravvenuta, il cui recepimento è peraltro espressamente previsto nell’atto accessivo della concessione.

Alla luce di tutte le considerazioni sin qui illustrate, il ricorso introduttivo del presente giudizio va dunque solo parzialmente accolto, limitatamente alle indicate previsioni di cui allo schema di atto integrativo della convenzione di concessione, nella parte in cui impone ai concessionari, in costanza di concessione, requisiti ed obblighi che l’art. 1, commi 78 e 79, della legge n. 220 del 2010 non prevedono come di immediata applicazione, con salvezza comunque di tali disposizioni ai fini della loro applicazione alle future concessioni, non essendo lo schema di atto integrativo della convenzione di concessione, quale atto riferito alla nuove concessioni, investito dalla portata delle censure di cui è stata rilevata la fondatezza.

Il ricorso va, invece, rigettato quanto al resto, avuto anche riguardo alla proposta domanda risarcitoria, non derivando dalle disposizioni di cui è stata accertata l’illegittimità alcun pregiudizio, dedotto e comprovato, per la società ricorrente.

Con ricorso per motivi aggiunti parte ricorrente ha impugnato il bando di gara per l’affidamento in concessione della realizzazione della conduzione della rete per la gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi da divertimento e intrattenimento, ivi compresi il capitolato d’oneri, il capitolato tecnico e lo schema di convenzione, nonché l’atto di approvazione dello schema di atto di convenzione, rinnovando l’impugnazione degli atti gravati con il ricorso introduttivo del giudizio.

Chiede, innanzitutto, parte ricorrente la previa disapplicazione dell’art. 1, commi 77, 78 e 79 della legge n. 220 del 2010 e dell’art. 24, comma 25, del decreto legge n. 98 del 2011 per contrasto con i principi del Trattato CE ovvero proposizione di domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia della Comunità Europea, nonché l’accertamento, previa rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 23 della legge n. 87 del 1953, della illegittimità di tale legge per contrasto dell’art. 1, commi 77, 78 e 79 con gli artt. 3 e 41 della Costituzione, nonché dell’art. 24, comma 25 del decreto legge n. 98 del 2011 con gli articoli 3, 21 e 41 della Costituzione.

Tali questioni sono state già sollevate con il ricorso introduttivo del presente giudizio e negativamente delibate nell’ambito della disamina dello stesso, potendo pertanto rinviarsi alle considerazioni in precedenza illustrate cui affidare le ragioni del rigetto delle corrispondenti censure.

Sotto altro profilo, deduce parte ricorrente l’illegittimità del gravato bando di gara, gara alla quale la stessa dovrebbe partecipare al fine di ottenere la prosecuzione della concessione cui avrebbe invece diritto in forza delle previgenti disposizioni normative che ne hanno assicurato la continuità, lamentando la violazione del principio del legittimo affidamento e del principio di buon andamento sull’assunto di avere diritto all’aggiudicazione definitiva della concessione alla connessione dei nuovi sistemi di controllo remoto del gioco attraverso videoterminali, di cui al cd. decreto Abruzzo, alle medesime condizioni contrattuali all’epoca vigenti alla sola condizione del mantenimento del possesso dei requisiti soggettivi di partecipazione di cui all’art. 38 del D.Lgs. n. 163 del 2006, senza aggravamenti nella prosecuzione del regime concessorio.

Le argomentazioni spese da parte ricorrente a sostegno di tale motivo sono sostanzialmente ripetitive di quelle articolate a sostegno della doglianza introdotta con il ricorso introduttivo del giudizio basata anch’essa sull’asserito diritto alla prosecuzione della concessione in corso alle medesime condizioni originariamente previste, e deve essere anch’essa rigettata sulla base delle considerazioni sopra esposte, cui si fa rinvio.

Avuto riguardo alle ulteriori censure sollevate da parte ricorrente, le stesse devono essere dichiarate inammissibili per carenza di interesse in capo alla ricorrente alla loro proposizione.

In corretta applicazione della normativa dettata dalla legge n. 220 del 2010, l’Amministrazione resistente ha indetto una procedura di selezione per l’affidamento in concessione della realizzazione e della conduzione operativa della rete per le gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi da divertimento ed intrattenimento nonché delle attività e delle funzioni connesse.

Con riferimento a tale bando ed agli atti allo stesso connessi, lamenta parte ricorrente – oltre all’esaminato profilo di violazione del legittimo affidamento – l’introduzione, soprattutto ad opera del gravato schema di atto di convenzione, di modifiche peggiorative rispetto a quello precedente, che sarebbero preclusive della sua partecipazione alla selezione, imponendo obblighi di mantenimento di requisiti di solidità patrimoniale impossibili da rispettare, oltre che un aggravio economico.

Risulta dalla documentazione versata al fascicolo di causa che la società ricorrente abbia presentato domanda di partecipazione alla procedura di selezione, non ancora conclusasi.

Ciò posto occorre fare riferimento ai consolidati principi giurisprudenziali elaborati con riferimento all’interesse all’impugnazione del bando che indice una procedura di selezione.

Al riguardo, deve evidenziarsi che il momento in cui si concretizza l’interesse all’impugnazione degli atti di una procedura selettiva sorge con la lesione attuale della posizione del partecipante, la quale si verifica con la sua esclusione dalla selezione o dall’aggiudicazione a favore di altri.

Può, quindi, ritenersi ammissibile l’impugnazione immediata del bando e delle clausole ritenute lesive in esso contenute solo allorchè la lex specialis contenga prescrizioni discriminatorie e comunque a monte ostative alla partecipazione da parte del ricorrente, evenienza che nella fattispecie non è riscontrabile né è stata dedotta e comprovata.

L’interesse all’impugnazione degli atti di una procedura di selezione – ed il connesso onere di tempestiva impugnazione – sorge solo a fronte dell’esclusione dalla procedura o di clausole del bando immediatamente preclusive della partecipazione alla stessa, dovendo altrimenti il ricorso dichiararsi inammissibile per carenza di interesse attuale e concreto, stante l’assenza di una lesione alla posizione giuridica sostanziale vantata.

Sono, pertanto, immediatamente impugnabili solo quelle disposizioni della disciplina di selezione concernenti i requisiti soggettivi di partecipazione e quelle che integrano un’immediata preclusione alla partecipazione. Dette clausole, infatti, vano ritenute immediatamente impugnabili se recanti impedimenti all’ammissione dell’interessato alla selezione che risultino esattamente e storicamente identificate, preesistenti alla selezione stessa e non condizionate dal suo svolgimento e, perciò, in grado di ledere immediatamente e direttamente l’interesse sostanziale del soggetto che ha chiesto di partecipare alla procedura. Ogni diversa questione inerente l’applicazione del bando e del capitolato può e deve essere proposta unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento e a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell’interessato per effetto del provvedimento di esclusione, che segna per l’interessato un arresto procedimentale.

Solo con riferimento alle clausole che comportano la sicura esclusione dalla gara sussiste, quindi, un interesse attuale e concreto alla proposizione dell’impugnazione, mentre tutte le altre vanno impugnate insieme con l’esclusione o con l’atto conclusivo della procedura sfavorevole al ricorrente, perché solo in questi casi sorge l’interesse del concorrente ad impugnare il bando come gli altri atti della procedura.

Applicando gli indicati principi alla fattispecie in esame, osserva il Collegio come parte ricorrente, che ha presentato domanda di ammissione alla procedura, non abbia impugnato clausole del bando e della disciplina di gara immediatamente preclusive alla possibilità della sua partecipazione alla gara – né parte ricorrente ha comprovato la sussistenza di siffatte ipotesi di esclusione automatica – lamentando piuttosto l’impossibilità di soddisfare i requisiti richiesti dal bando stante il loro aggravamento rispetto a quanto stabilito in precedenza ed in ragione degli oneri dalla stessa assunti in vigenza della concessione.

Rappresenta, in sostanza, parte ricorrente, una difficoltà di ordine fattuale a poter rispettare tutte le prescrizioni, anche documentali, richieste dal bando e dallo schema di atto di convenzione allo stesso allegato, difficoltà che attiene alla propria specifica condizione come sostanzialmente discendente dalla precedente assunzione di obblighi inerenti la concessione di cui è allo stato titolare, censurando l’aggravamento dei requisiti e degli obblighi previsti dalla disciplina di selezione rispetto a quanto precedentemente stabilito.

Pertanto, non avendo parte ricorrente dimostrato in che modo, per effetto delle contestate clausole, essa sarebbe immediatamente esclusa dalla selezione, deve ritenersi l’insussistenza, allo stato, di un interesse attuale e concreto, in capo alla ricorrente, all’impugnazione dei gravati atti, dai quali non discende alcuna immediata lesione della posizione sostanziale dalla stessa vantata, con conseguente inammissibilità dell’azione introdotta con motivi aggiunti nella parte in cui è rivolta, non all’indizione della selezione – relativamente alla quale il Collegio si è precedentemente espresso – ma alle previsioni contenute nella disciplina di selezione e relative ai requisiti di partecipazione ed all’assetto del futuro rapporto di concessione.

In conclusione, il ricorso introduttivo del presente giudizio va parzialmente accolto, limitatamente alle indicate previsioni di cui allo schema di atto integrativo della convenzione di concessione, nella parte in cui impone ai concessionari, in costanza di concessione, requisiti ed obblighi che l’art. 1, commi 78 e 79, della legge n. 220 del 2010 non prevede come di immediata applicazione, con salvezza comunque di tali disposizioni ai fini della loro applicazione alle future concessioni, mentre il ricorso va rigettato quanto al resto.

L’azione impugnatoria introdotta con i motivi aggiunti va in parte rigettata, mentre va dichiarata inammissibile per carenza di interesse attuale e concreto all’impugnazione relativamente alle censure proposte avverso le previsioni contenute nei gravati atti relative ai requisiti di partecipazione ed all’assetto del futuro rapporto di concessione.

Va conseguentemente rigettata la domanda risarcitoria proposta con i motivi aggiunti.

Il tenore della pronuncia consente di disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

– Roma – Sezione Seconda

definitivamente pronunciando sul ricorso N. 7314/2011 R.G., come in epigrafe proposto, così statuisce:

– accoglie in parte il ricorso introduttivo del giudizio nei limiti e nel senso di cui in motivazione, rigettandolo quanto al resto;

– rigetta in parte il ricorso per motivi aggiunti, dichiarandolo inammissibile quanto al resto;

– compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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