Cass. civ. VI – 1, Sent., 29-05-2012, n. 8587 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che A.M. e le altre trecentodiciotto (318) persone indicate in epigrafe, con ricorso del 18 giugno 2010, hanno impugnato per cassazione – deducendo tre motivi di censura -, nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze, il decreto della Corte d’Appello di Bologna depositato in data 22 gennaio 2010, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso dei predetti ricorrenti – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro dell’economia e delle finanze – il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso -, ha rigettato il ricorso;

che resiste, con controricorso, il Ministro dell’economia e delle finanze;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 18.000,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 30 marzo 2009, era fondata sui seguenti fatti: a) i predetti odierni ricorrenti, tutti militari appartenenti all’Arma dei Carabinieri ed asseritamente titolari del diritto alla corresponsione dell’indennità militare di cui al D.L. n. 379 del 1987, nonchè del diritto al computo, nella base di calcolo del trattamento pensionabile e dell’indennità di buonuscita, del compenso percepito a titolo di due ore di lavoro straordinario prestato ai sensi della L. n. 121 del 1981, art. 63 avevano proposto – con ricorso del 22 dicembre 1994 – la relativa domanda dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna; b) il Tribunale adito, con decreto del 19 dicembre 2008, aveva dichiarato la perenzione del ricorso;

che la Corte d’Appello di Bologna, con il suddetto decreto impugnato – dopo aver rilevato che l’eccezione di irricevibilità del ricorso ai sensi del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, sollevata dal Ministro dell’economia e delle finanze, non può trovare applicazione nell’ipotesi, quale quella in esame, in cui il processo nell’ambito del quale si è verificata la violazione era ormai perento per l’assenza dell’istanza sottoscritta dai ricorrenti, alla data della sua entrata in vigore, ed aver affermato che il processo presupposto è stato caratterizzato da protratta e non giustificata inattività, perchè è iniziato il 22 dicembre 1994 e si è concluso con decreto di perenzione in data 19 dicembre 2008, determinato dal fatto che l’istanza di fissazione dell’udienza di discussione, di cui alla L. n. 205 del 2000, art. 9 è stata sottoscritta dal difensore e non dai ricorrenti personalmente – ha escluso la sussistenza del danno non patrimoniale, rilevando che, alla data di tale istanza, i ricorrenti erano in una situazione soggettiva di evidente indifferenza rispetto all’esito del proprio ricorso, tanto è vero che non hanno provveduto ad attivarsi tempestivamente causando con il loro comportamento omissivo la perenzione del processo, con la conseguente irrilevanza non soltanto del periodo successivo a detta istanza, ma anche di quello anteriore, in considerazione del fatto che i ricorrenti non avevano posto in essere alcun atto idoneo ad impedire la perenzione.

Motivi della decisione

che, con i motivi di censura, viene denunciata dai ricorrenti come illegittima, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sia l’affermata non indennizzabilità della irragionevole durata del processo in ragione, soltanto, della dichiarata perenzione del processo presupposto, sia l’affermata totale indifferenza, in relazione alla posta in gioco, rispetto alla pretesa fatta valere dinanzi al Giudice amministrativo, nonchè l’apoditticità della motivazione;

che il ricorso merita accoglimento;

che questa Corte ha già più volte affermato i principi secondo cui, in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa, secondo cui l’innovazione, introdotta dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito in legge con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 1, comma 1 (per il quale la domanda non è proponibile se nel giudizio davanti al giudice amministrativo, in cui si assume essersi verificata la violazione, non sia stata presentata l’istanza di prelievo ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51), non può incidere sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti, in mancanza di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni contrarie, restano regolati, secondo il fondamentale principio tempus regit actum, dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere, e secondo cui – tuttavia – la mancata o ritardata presentazione dell’istanza di prelievo può incidere, entro i limiti dell’equità, sulla determinazione dell’entità dell’indennizzo, con riferimento all’art. 2056 cod. civ., richiamato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 28507 del 2005, pronunciata a sezioni unite, 24901 e 28428 del 2008, 14753 del 2010, nonchè l’ordinanza n. 5317 del 2011);

che, sempre in conformità con tale orientamento, è stato ulteriormente precisato che l’innovazione introdotta dal citato D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, è inapplicabile – in difetto di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni contrarie ed in ossequio al principio tempus regit actum – a quei procedimenti di equa riparazione aventi ad oggetto un giudizio amministrativo introdotto prima dell’entrata in vigore della predetta normativa (cfr., ex plurimis, l’ordinanza n. 115 del 2011);

che tale orientamento giurisprudenziale ha ottenuto sostanziale avallo dalla Corte EDU (decisione 2 giugno 2009, Daddi contro Italia, specificamente sull’interpretazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, in senso conforme alla CEDU), la quale inoltre, con due recenti decisioni (del 16 marzo 2010, Volta et autres contro Italia, e del 6 aprile 2010, Falco et autres contro Italia), ha ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi ed alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quella di mille/00 Euro annue normalmente liquidate, con valutazione di detto danno che consente al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarità della fattispecie, a liquidazioni dell’indennizzo più riduttive rispetto a quelle precedentemente ritenute congrue (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 14753 del 2010 cit. e 1359 del 2011);

che, inoltre ed in particolare, questa Corte ha affermato il principio per il quale, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo amministrativo, l’istituto della perenzione decennale dei ricorsi, introdotto dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 9 – nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche di cui al D.L. n. 112 del 2008, art. 54 convertito in legge dalla L. n. 133 del 2008 – non si traduce in una presunzione di disinteresse per la decisione di merito al decorrere di un tempo definito dopo che la domanda sia stata proposta, ma comporta soltanto la necessità che le parti siano messe in condizione, tramite apposito avviso, di soffermarsi sull’attualità dell’interesse alla decisione e di manifestarlo, con la conseguenza che la mancata presentazione dell’istanza di fissazione, rendendo esplicito l’attuale disinteresse per la decisione di merito, giustifica l’esclusione della sussistenza del danno per la protrazione ultradecennale del giudizio, ma non impedisce una valorizzazione dell’atteggiamento tenuto dalle parti nel periodo precedente, quale sintomo di un interesse per la decisione mano a mano decrescente, e quindi come base per una decrescente valutazione del danno e del relativo risarcimento (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 6619 del 2010 e 3271 del 2011);

che, ancora, è stato precisato che in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo amministrativo, la proponibilità della relativa domanda avanti alla corte d’appello esige che nel giudizio presupposto, in cui si assume essersi verificata la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, sia stata presentata l’istanza di prelievo, ai sensi- del citato D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, e secondo le modalità del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51, comma 2, ancorchè tale atto e l’eventuale istanza di fissazione d’udienza ai sensi della L. n. 205 del 2000, art. 9, comma 2, siano privi della sottoscrizione personale della parte, mancando una specifica deroga al principio generale, per il quale gli atti processuali di parte sono posti in essere direttamente dal difensore costituito con rituale procura, e nonostante la norma da ultimo citata preveda che la predetta istanza debba essere sottoscritta dalla parte personalmente, pena l’improcedibilità di quel giudizio, in quanto la violazione della norma in parola non può determinare anche effetti procedurali negativi sul diverso giudizio di equa riparazione promosso dalla parte avanti alla corte d’appello, cui non spetta stabilire se il giudizio presupposto dovesse essere dichiarato improcedibile (cfr. l’ordinanza n. 25832 del 2010);

che infine, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata del processo i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni in esso coinvolte, ciò ad eccezione dei casi in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al il richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, nei quali casi l’esistenza di questè situazioni, costituenti abuso del processo, deve essere provata puntualmente dall’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte – come nella specie – sia stata dichiarata manifestamente infondata (cfr., ex plurimis e tra le ultime, le sentenze nn. 9938 del 2010, 25595 del 2008, 21088 del 2005; cfr., altresì, le sentenze nn. 18780 del 2010 e 10500 del 2011);

che, nella specie, i Giudici a quibus hanno sostanzialmente – ed erroneamente – fondato la ratio decidendi, in violazione di tutti i su richiamati principi ed adottando una motivazione chiaramente insufficiente, soltanto sulla dichiarata perenzione del giudizio presupposto, senza accertare, innanzitutto, se ed a chi sia stato nella specie notificato l’avviso di cui alla L. n. 205 del 2000, art. 9, comma 2, e, soprattutto, negando l’indennizzo sulla base della sola dichiarazione di perenzione dello stesso processo presupposto, intervenuta comunque a distanza di circa quattordici anni dall’inizio di tale processo, senza peraltro verificare la sussistenza dei presupposti della fattispecie di abuso del processo sulla base delle prove eventualmente dedotte dal Ministro resistente;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alle censure accolte;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;

che il processo presupposto de quo ha avuto una durata complessiva di quattordici anni circa (dal 22 dicembre 1994, data del ricorso introduttivo del processo presupposto, al 19 dicembre 2008, data del deposito del decreto di perenzione);

che questa Corte, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 500,00 per ciascuno degli anni di durata complessiva del processo;

che, nella specie, sulla base dei criteri adottati da questa Corte e dianzi richiamati il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 va determinato in Euro 7.000,00 per i quattordici anni circa di irragionevole durata in favore di ciascuno dei ricorrenti, oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, par. 4, e B, par. 1, allegate al D.M. giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi, in complessivi Euro 33.650,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 32.400 (Euro 600,00+Euro 31.800,00 per gli altri trecentodiciotto ricorrenti) per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore di ciascun ricorrente, della somma di Euro 7.000,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore delle parti ricorrenti, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 33.650,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 32.400,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

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