Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 28-10-2011) 18-11-2011, n. 42648

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

– 1 – C.C. ricorre per cassazione avverso l’ordinanza 14.4/6.5.2011 dei tribunale di Reggio Calabria, di conferma della misura cautelare della custodia in carcere per il delitto di associazione a delinquere di tipo mafioso, disposta con ordinanza, emessa in data 28.2.2011 dal gip dello stesso tribunale, rilevando, con un unico motivo di ricorso, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento: in particolare deduce che l’unica circostanza, elevata arbitrariamente ad indizio grave, ma in realtà solo costitutiva di un possibile sospetto, era data dal fatto che il giorno del 3.7.2008 egli si trovasse a Reggio in coincidenza con la data di un summit mafioso al quale, secondo i giudici di merito, egli avrebbe partecipato.

– 2 – Il ricorso non merita accoglimento perchè infondato.

Una serie di puntuali indicazioni giudiziali costituiscono l’apparato argomentativo dell’ordinanza impugnata, ai quali i motivi di ricorso dimostrano di non prestare attenzione, solo proponendo una soluzione alternativa a quella condivisa dai giudici di merito. I quali sottolineano, da un lato, la particolare importanza del summit di ‘ndraghetisti del 3.7.2008, indetto, con la partecipazione di uomini di livello, per giudicare in ordine alle mancanze e trascuranze degli affiliati, in particolare in ordine ad un grave addebito mosso a G.F. reo di aver consentito ad un soggetto non affiliato di partecipare ad una riunione di mafia, dall’altro, enumerano una serie di circostanze significative della partecipazione alla riunione dell’indagato: i contatti telefonici di O. M. con numerosi soggetti della fascia tirrenica, tra i quali l’attuale ricorrente, per incontrarsi a Reggio, il fatto che da altra conversazione telefonica, la sera del 2.7.2008, tra O. M. e O.D., emergeva che i due avrebbero partecipato il giorno successivo alla riunione; il fatto che da una conversazione tra i due O. delle ore 9,24 del 3.7.2008, si trae agevolmente che essi avrebbero ritardato all’appuntamento mafioso per attendere tale " C." che doveva gioco forza individuarsi nell’attuale ricorrente, unico nome peraltro registrato nell’utenza in uso a O.M.; il fatto, ancora, che in altra telefonata dello stesso giorno delle ore 11,08 l’indagato riferisce al fratello di trovarsi insieme ad O.D. e che dai riscontri tecnici risultava che l’utenza telefonica del C. si trovava in località (OMISSIS) e poco dopo a (OMISSIS); il fatto, infine che alle ore 12,12 alle ore 16.45 di quel giorno le utenze telefoniche, e del C. e di tutti gli altri partecipanti alla riunione, si spengono, chiaro segnale di una riunione dei titolari delle utenze dove occorreva per segretezza non dare notizie della propria localizzazione.

A fronte di dati così significativi il ricorrente giustifica la sua presenza in Reggio Calabria per dover ottenere il pagamento di merce venduta alla Sodial corrente in (OMISSIS) e deduce la mancanza di ogni altro elementi indiziario al di fuori di quello considerato dai giudici di merito. Ma è fin troppo facile obiettare, da un lato, che l’incontro con il suo debitore l’indagato o chi per lui avrà potuto averlo in ore diverse da quelle funzionali alla partecipazione al summit, segnalare, dall’altro, che la partecipazione ad un summit mafioso così qualificato come quello de quo costituisce un serio e pesante indizio di una affiliazione ed ad elevato livello, nella consorteria ‘ndraghetista. Ed è noto che in tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno "status" di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi, la cui realizzazione, e la conseguente condotta relativa del partecipe, non costituisce elemento costitutivo del delitto. (v., per tutte, Sez. 1, 11.12.2007/12.1.2008, P.G. in proc. Adolante e a., Rv 238838).

Ora il tentativo del ricorrente di dare una spiegazione alternativa alle conversazione telefoniche si rivela del tutto inidoneo allo scopo per via dell’articolato discorso giustificativo giudiziale attento ai tempi, ed ai collegamento delle telefonate considerate il giorno 3-7 ed il giorno precedente. Ed è noto che in materia di intercettazioni telefoniche, l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza. Ed in effetti la ricostruzione delle circostanze indizianti, nella specie, si rivela precisa,chiara e concordante, sorretta, per i riferimenti al contesto, da criteri di seria ragionevolezza: il compito di questa Corte di conseguenza deve limitarsi a verificare se le giustificazioni date dal giudice del merito siano compatibili, con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento. E la verifica, risolvendosi positivamente, esime dalla ricerca di riscontro, superflui a fronte del chiaro significato attribuito alle conversazioni intercettate. La giurisprudenza di legittimità sul punto non registra arresti di sorta: alle indicazioni di reità provenienti da conversazioni intercettate non si applica il canone di valutazione di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3, perchè esse non sono assimilabili alle dichiarazioni che il coimputato del medesimo reato o la persona imputata in procedimento connesso rende in sede di interrogatorio dinanzi all’autorità giudiziaria e, conseguentemente, per esse vale la regola generale del prudente apprezzamento del giudice (v. per,tutte, Sez. 1, 23.9/11.10.2010, Pisanello e a., Rv 248290; Sez. 5, 26.3/8.6.2010, Cavallaro e a., Rv 247447; Sez. 4, 28.9/26.10.2006, Della vendura, Rv 235020).

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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