Cass. civ. Sez. III, Sent., 29-05-2012, n. 8569

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con atto del 28 luglio 1999 C.M. citava in giudizio, davanti al Tribunale di Crotone, G.A. e la società assicuratrice Unipol affinchè fossero condannati in solido al risarcimento dei danni a lui causati nel sinistro stradale avvenuto in data (OMISSIS).

Il Tribunale, con sentenza del 28 novembre 2002, dichiarava che l’incidente si era verificato per esclusiva colpa del convenuto G., il quale aveva tamponato con la propria autovettura il motociclo condotto dal C., sbalzando quest’ultimo dal sellino. Riconosceva, quindi, in favore dell’attore la somma di 17.141,41 Euro a titolo di danno biologico, danno morale, danni al veicolo e spese mediche; rigettava, invece, l’ulteriore domanda di risarcimento del danno patrimoniale conseguente al licenziamento asseritamente patito dal C. a seguito dell’incidente.

2. Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello principale il C., contestando l’insufficiente liquidazione del danno, non comprensivo di quello conseguente al licenziamento patito in conseguenza della propria ridotta capacità lavorativa.

Proponevano altresì appello incidentale l’Unipol s.p.a. ed il G., censurando l’esclusiva attribuzione di responsabilità nella determinazione del sinistro.

3. La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 7 giugno 2006, rigettava entrambi gli appelli, con compensazione delle spese.

In ordine all’appello incidentale, il giudice di secondo grado concordava col primo giudice nell’attribuzione esclusiva della responsabilità del sinistro a carico del G..

Quanto all’appello principale, la Corte calabrese rilevava che il C. non aveva contestato il grado di invalidità permanente conseguente alle lesioni subite (pari al 10 per cento), ma aveva solo lamentato che, a causa di queste, gli fossero derivati postumi di depressione ed impotenza sessuale. Dalla consulenza tecnica d’ufficio espletata, peraltro, era emersa soltanto la sussistenza di uno stato depressivo di origine non determinata, sicchè il risarcimento stabilito dal Tribunale era da considerare corretto.

In relazione al mancato risarcimento del danno da licenziamento, la Corte territoriale osservava che la produzione delle dichiarazioni dei redditi da parte dell’appellante era tardiva e, quindi, inammissibile, trattandosi di documentazione che andava prodotta in primo grado ( art. 184 c.p.c.)- D’altra parte, poichè il C. non aveva contestato che la riduzione della sua capacità lavorativa specifica era pari al 15 per cento, doveva ritenersi che egli avrebbe potuto continuare a svolgere il suo lavoro di gommista, sia pure con maggiore fatica. La Corte d’appello – dopo aver dato atto della produzione, da parte dell’appellante, della pronuncia, passata in giudicato, con la quale il Giudice di pace di Crotone aveva riconosciuto a Ch.Mi. il risarcimento del danno conseguente alla corresponsione dello stipendio, in favore di C.M., durante il periodo di malattia perveniva alla conclusione che detta sentenza non poteva esplicare alcuna efficacia di giudicato, a causa della diversità delle parti di quel giudizio.

4. Avverso la sentenza di secondo grado propone ricorso per cassazione il C., con atto contenente tre motivi.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Il Collegio ha raccomandato la redazione della motivazione in forma semplificata.

1.1. Col primo motivo di ricorso il C. lamenta insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Osserva, in relazione al profilo del mancato risarcimento del danno da licenziamento, che la Corte d’appello non ha tenuto in alcuna considerazione la prova testimoniale svolta in primo grado, nè ha tratto le dovute conclusioni dall’esame della sentenza del Giudice di pace di Crotone la quale afferma, tra l’altro, che doveva ritenersi dimostrato che il C. non aveva potuto riprendere il proprio lavoro dopo l’incidente per cui è causa.

1.2. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), che il giudice di secondo grado abbia errato nell’affermare che la sentenza già sopra citata, emessa dal Giudice di pace di Crotone, non possa esplicare alcuna efficacia in questo giudizio. La sentenza in questione, infatti, è stata emessa in una causa promossa dal datore di lavoro del C. contro il medesimo G. e la s.p.a. Unipol per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti al licenziamento del C. stesso; e in quella sede è stato accertato, con pronuncia definitiva, che l’odierno ricorrente aveva perso il lavoro in conseguenza dell’incidente.

1.3. Col terzo ed ultimo motivo, infine, il C. censura la sentenza per falsa applicazione dell’art. 184 c.p.c.; a suo dire, infatti, la produzione della documentazione relativa alla denuncia dei redditi, avvenuta in sede di appello, non sarebbe tardiva, perchè i convenuti non avevano sollevato alcuna eccezione in merito alla documentazione prodotta in primo grado, limitandosi a farlo in sede di comparsa conclusionale, sicchè l’attore aveva necessariamente dovuto produrre tali documenti in appello.

Tutti e tre i motivi sono corredati da quesiti di diritto.

2. Rileva il Collegio che il presente ricorso si colloca, ratione temporis, nel periodo di vigenza dell’art. 366-bis cod. proc. civ., il quale imponeva che ciascun motivo di ricorso fosse concluso dalla formulazione di un quesito di diritto e che, in relazione alla censura di vizio di motivazione, venisse fornita chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale si assumeva che la motivazione fosse mancante, insufficiente o contraddittoria.

Alla stregua dei criteri enucleati dalla giurisprudenza di questa Corte, tutti i motivi di ricorso sono inammissibili per inidoneità dei quesiti.

Il primo motivo, infatti, contenente peraltro una censura di vizio di motivazione, si conclude con un quesito di diritto che ha già in sè la (ovvia) risposta, peraltro di nessuna utilità ai fini della decisione, (v., in senso analogo, le sentenze delle Sezioni Unite 30 ottobre 2008, n. 26020, e 2 dicembre 2008, n. 28536) . Il secondo motivo, a sua volta, si conclude con un quesito del tutto generico, che sollecita la Corte ad affrontare un tema in modo astratto, risolvendosi nella formulazione di una domanda priva di ogni concreto riferimento alla vicenda. Il terzo motivo, infine, contiene un quesito formulato in modo tale che alla Corte risulta preclusa la possibilità, di fornire un’adeguata risposta, anche perchè esso non va a scalfire la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha osservato che la produzione documentale era tardiva e che non era stata dedotta alcuna valida ragione che giustificasse il ritardato deposito; tanto più che la giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni ribadito che il termine per il deposito dei documenti, ai sensi dell’art. 184 cod. proc. civ., è perentorio e sottratto alla disponibilità delle parti (sentenza 20 novembre 2006, n. 24606, ordinanza 12 febbraio 2010, n. 3319).

3. Il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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