Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 28-10-2011) 18-11-2011, n. 42632

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L.F. ricorre per cassazione avverso l’ordinanza 20/28.4.2011 della corte di appello di Roma che, quale giudice della esecuzione, respingeva la di lui istanza volta allo scioglimento del cumulo di pene disposto in data 27.4.2009 dal P.G. presso la predetta Corte di appello, al fine di escludervi la pena conseguente alla condanna della predetta Corte in data 12.4.2008 per il delitto di rapina ostativo alla concessione dei benefici penitenziari.

Il ricorso è manifestamente infondato e quindi, inammissibile.

Si deve premettere che l’eventuale scioglimento del cumulo delle pene in esecuzione, se ed in quanto finalizzato a distinguere la parte di pena riferibile a reati ostativi all’applicazione di benefici penitenziari, ai sensi dell’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, da quella riferibile a reati non ostativi, non può mai, comunque, formare oggetto di autonoma pronuncia da parte del giudice dell’esecuzione, dovendosi al riguardo ritenere competente soltanto la magistratura di sorveglianza, in funzione della decisione, ad essa spettante, circa la concedibilità o meno dei suddetti benefici (v, per tutte, Sez. 17.1/7.2.1085, Sgaranella, Rv 167778).

Comunque deve dirsi che l’invocato "petitum" si risolverebbe in una pronuncia meramente teorica, in contrasto con il disposto dell’art. 568 c.p.p., comma 4, che prevede la possibilità di impugnazione solo in presenza di un attuale concreto interesse, che il ricorrente omette di indicare nella specie. Non è proprio possibile allora richiedere tout court lo scioglimento del cumulo in vista di un ipotetico, futuro, interesse non meglio indicato. Pertanto, il cumulo deve essere sciolto quando, dal separato esame delle singole componenti della pena unica, possa derivare per il condannato un qualche concreto, individualizzato beneficio.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000; Cass. S.U. 27.6.2001, Cavalera Rv. 219532) – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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